All’Angelus dedicato al tema della fraternità il Papa saluta i partecipanti al congresso nazionale ad Ancona
Apprezzamento per le Acli impegnate nella riflessione sul lavoro a trent’anni dalla "Laborem Exercens" *
L’Eucaristia è "sorgente di vita e di speranza per ogni uomo e per il mondo intero". Lo ha detto il Papa all’Angelus di domenica 4 settembre, a Castel Gandolfo, salutando in collegamento radiotelevisivo i partecipanti al congresso eucaristico italiano ad Ancona, dove si recherà domenica 11 per presiedere la messa conclusiva. Benedetto XVI ha anche espresso apprezzamento alle Acli, che hanno promosso un incontro di studio sul tema del lavoro. In precedenza il Pontefice aveva dedicato la riflessione introduttiva al tema della fraternità.
Cari fratelli e sorelle!
Le Letture bibliche della Messa di questa domenica convergono sul tema della carità fraterna nella comunità dei credenti, che ha la sua sorgente nella comunione della Trinità. L’apostolo Paolo afferma che tutta la Legge di Dio trova la sua pienezza nell’amore, così che, nei nostri rapporti con gli altri, i dieci comandamenti e ogni altro precetto si riassumono in questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (cfr. Rm 13, 8-10). Il testo del Vangelo, tratto dal capitolo 18° di Matteo, dedicato alla vita della comunità cristiana, ci dice che l’amore fraterno comporta anche un senso di responsabilità reciproca, per cui, se il mio fratello commette una colpa contro di me, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, facendogli presente che ciò che ha detto o fatto non è buono. Questo modo di agire si chiama correzione fraterna: essa non è una reazione all’offesa subita, ma è mossa dall’amore per il fratello. Commenta Sant’Agostino: "Colui che ti ha offeso, offendendoti, ha inferto a se stesso una grave ferita, e tu non ti curi della ferita di un tuo fratello? ... Tu devi dimenticare l’offesa che hai ricevuto, non la ferita di un tuo fratello" (Discorsi 82, 7).
E se il fratello non mi ascolta? Gesù nel Vangelo odierno indica una gradualità: prima tornare a parlargli con altre due o tre persone, per aiutarlo meglio a rendersi conto di quello che ha fatto; se, malgrado questo, egli respinge ancora l’osservazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire il distacco che lui stesso ha provocato, separandosi dalla comunione della Chiesa. Tutto questo indica che c’è una corresponsabilità nel cammino della vita cristiana: ciascuno, consapevole dei propri limiti e difetti, è chiamato ad accogliere la correzione fraterna e ad aiutare gli altri con questo particolare servizio.
Un altro frutto della carità nella comunità è la preghiera concorde. Dice Gesù: "Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Mt 18, 19-20). La preghiera personale è certamente importante, anzi, indispensabile, ma il Signore assicura la sua presenza alla comunità che - pur se molto piccola - è unita e unanime, perché essa riflette la realtà stessa di Dio Uno e Trino, perfetta comunione d’amore. Dice Origene che "dobbiamo esercitarci in questa sinfonia" (Commento al Vangelo di Matteo 14, 1), cioè in questa concordia all’interno della comunità cristiana. Dobbiamo esercitarci sia nella correzione fraterna, che richiede molta umiltà e semplicità di cuore, sia nella preghiera, perché salga a Dio da una comunità veramente unita in Cristo. Domandiamo tutto questo per intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa, e di San Gregorio Magno, Papa e Dottore, che ieri abbiamo ricordato nella liturgia.
©L’Osservatore Romano 5-6 settembre 2011
CORTE PENALE DELL’AJA
Vittime preti pedofili denunciano il Papa
"E’ colpevole di crimini contro l’umanità"
Clamorosa iniziativa dell’associazione Snap. "Benedetto XVI ha diretta e superiore responsabilità per gli stupri e le altre violenze sessuali commesse nel mondo" *
BRUXELLES - Un gruppo di associazioni delle vittime dei preti pedofili, la Snap (Survivors network of those abused by priests) e il Centro per i diritti costituzionali (Center for Costitutional Right) ha depositato oggi presso la Corte penale internazionale dell’Aja un ricorso in cui accusa il Papa e tre alti esponenti del Vaticano - il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, il suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano, e il prefetto della Congregazione della dottrina della fede, cardinale William Levada - di crimini contro l’umanità per la copertura dei reati commessi da prelati contro i minori. Sul suo sito l’associazione spiega di aver deciso questo "storico passo" per proteggere "tutti i bambini innocenti e gli adulti vulnerabili".
Nella denuncia si chiede alla Corte penale internazionale di "incriminare il Papa" per la sua "diretta e superiore responsabilità per i crimini contro l’umanità degli stupri e altre violenze sessuali commesse nel mondo". Nei prossimi giorni i responsabili della Snap lanceranno un tour in Europa per illustrare le loro accuse e sostenere la denuncia al Cpi, che si occupa di crimini di guerra e contro l’umanità.
I legali delle associazioni hanno presentato all’Aja un dossier di 80 pagine ed hanno spiegato che il ricorso alla Corte internazionale si è reso necessario "poiché le azioni legali condotte a livello nazionale non sono state sufficienti a impedire che gli abusi contro i minori continuassero". La denuncia, a quanto si è appreso, riguarda in particolare cinque casi di abusi sessuali avvenuti in Congo e negli Stati Uniti e commessi da prelati provenienti dal Belgio, dall’India e dagli Usa.
Sarà ora il procuratore generale della Corte, Louis Moreno-Ocampo, a dover decidere se accogliere o meno il ricorso andando incontro al rischio di sollevare un acceso quanto delicato dibattito sul ruolo e le competenze della Cpi. La speranza dei ricorrenti è che la Corte dell’Aja decida quanto meno di aprire un’indagine preliminare per verificare se il caso rientra sotto la sua giurisdizione. La Corte penale internazionale, organismo indipendente dall’Onu, è diventata operativa il primo luglio de 2002 e, in base al trattato costitutivo sottoscritto a Roma, viene chiamata a giudicare i presunti responsabili di crimini contro l’umanità e i genocidi. L’ultima iniziativa partita della Corte è stato il mandato d’arresto emesso nei confronti di Muammar Gheddafi.
Il primo commento all’iniziativa da parte Vaticana è arrivato da Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e prefetto emerito di Propaganda Fide. "Qui c’è, dobbiamo dirlo molto concretamente, il solito tentativo anti-cattolico che tende in qualche maniera ad offuscare un’immagine che, dal punto di vista umano, è quanto di più prestigioso abbiamo nella nostra società", ha affermato il cardinale.
* la Repubblica, 13 settembre 2011
Gli indignados delle parrocchie
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2011)
“La Chiesa parli! Si apre il giornale e si legge di questi baccanali. E intanto la manovra colpisce chi sempre è stato colpito”. Il popolo delle parrocchie riunito per il Congresso eucaristico nazionale appare indignato, rattristato, disorientato. È la folla di uomini e donne che vediamo ogni giorno intorno a noi, al supermercato, in autobus, in ufficio. Sono venuti ad Ancona, raccontano, per un “momento di crescita spirituale” e ritrovarsi a “testimoniare Gesù”. Affollano con fervore la Via Crucis, la processione eucaristica, la messa in duomo del cardinale Bagnasco. Un popolo che non alza la voce, ma riflette le angosce esistenziali dell’Italia e vorrebbe “agire per il bene comune” e risorgere. Il lavoro è la preoccupazione dominante. Il tema torna sistematicamente tra le preghiere dei fedeli durante le celebrazioni.
Alla Chiesa il popolo delle parrocchie chiede in maniera quasi ossessiva “credibilità e testimonianza”. Nello sfacelo italiano dell’anno 2011, mi dice la giovane pellegrina Rosa nel padiglione della Fiera, la Chiesa è vista come “elemento che unisce”, ma accanto a lei un ragazzo interloquisce: “La Chiesa dovrebbe essere meno neutrale e più critica”.
Giovanni, 53 anni, è venuto fin qui da Potenza. “Mi alleno - dice sorridendo - a seguire il messaggio di Cristo”. Lo incontro sui gradini della cattedrale. Riflette il disagio e lo smarrimento di tanti fedeli. Si riconosce nelle parole del papa e dei vescovi, ma è anche in preda al malessere per la situazione del Paese. “Si apre il giornale e si vede la foto di un bimbo che soffre e accanto il resoconto di baccanali. Provo indignazione. Un po’ di onestà, mense più parche, basta con questo mondo di vanità...”.
È un universo che attende un canale in cui convogliare il proprio desiderio di rinascita. A volte sfiduciato, più spesso concentrato su quanto di positivo può fare nel proprio ambiente. Vincenzo, anconetano di origine tarantina, è schietto: “Come uscirne? E’ impossibile”. Poi soggiunge: “Bisogna reagire”. Una signora di mezza età confessa: “A livello gerarchico non possiamo incidere. Cerco di vivere positivamente”. Un’altra fedele, di ritorno dalla comunione, soggiunge: “Provo tristezza perché non vedo un senso in ciò che accade al nostro Paese. Spero in un cambiamento nel cuore e e nella mente dei politici”.
Capelli neri, un vestito rosso, una bimba avvinghiata alla gamba, un’infermiera esclama “Le è andata male! Mi chiamo Redenta. Ho incontrato Gesù a 16 anni: mi aiuta, mi accompagna. Sì lo sfacelo c’è, però io cerco di dare la mia testimonianza e prego per la conversione di chi agisce male”.
Tra la folla, venuta per assistere oggi alla messa conclusiva con il Papa, i giovani sono i più combattivi. “Noi cattolici sentiamo che il nostro dovere è l’impegno quotidiano, amare gli altri, garantire ospitalità, favorire la liberazione dal male. Ma in questa situazione politica la Chiesa deve prendere posizione, dire pane al pane, vino al vino”, prorompe Giuseppe Politanò, giovane cooperatore del Progetto Policoro. Gli fa eco un amico: “Con questa politica che esprime interessi privati la Chiesa dovrebbe essere meno neutrale e più critica. Mi spaventa il silenzio della Chiesa”.
Sergio Casadonte, di Palmi, parla della necessità di rafforzare la speranza e di lottare per il bene comune nonostante tutto. Adam, calabrese anche lui, insiste: “La Chiesa non deve avere paura di parlare”. Tre insegnanti, uscite da un dibattito ecumenico, confessano: “Siamo afflitte per il disastro in cui sta precipitando l’Italia. Ma da credenti siamo anche afflitte per quei cattolici, che hanno sostenuto e sostengono il governo più brutto della nostra storia. C’è una Chiesa che si è compromessa con il potere e c’è un’altra Chiesa che chiede rinnovamento”.
Nel grande disorientamento il cardinale Bagnasco chiede ai cattolici di rimanere “insieme” e di agire insieme nelle forme storicamente possibili. Difficile dire che sbocco politico può avere l’indicazione. Il pessimismo è diffuso. Forse tanto più grande in quanto questa galassia di uomini e donne non grida, ma osserva pacatamente che la situazione è disastrosa. Come la parrocchiana che commenta:“Abbiamo toccato il fondo. La normalità è diventata l’eccezione”. O il prete che osserva che la manovra del governo “mette soltanto toppe, i cui effetti poi si vedranno”. A bassa voce questo popolo invoca una “svolta di sobrietà e credibilità”.
Ma è una massa magmatica, impossibile da ridurre ad uno schema. Eppure nelle nuove generazioni si manifestano mutamenti sotterranei. Don Niccolò Anselmi, responsabile nazionale della pastorale giovanile, racconta del pellegrinaggio che un gruppo di ragazzi ha appena fatto nel carcere anconetano con la croce della Gmg di Madrid: “Assistiamo ad un lento riavvicinamento dei giovani ad un impegno sociopolitico, non ideologico ma attento ai bisogni dei più deboli. Hanno una fede più esigente”.
D’altronde a Madrid c’è anche chi ha seguito le messe e poi è andato a manifestare con gli indignados.
VATICANO
L’appello del Papa davanti agli operai
"Impegno contro disoccupazione e precariato" *
Benedetto XVI ad Ancona. La messa celebrata nell’area dei cantieri navali, davanti a tanti operai di aziende in crisi e allo loro famiglie. "Hanno dato agli uomini pietre al posto di pane"
ANCONA - Serve un nuovo modello di sviluppo, "uno sviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quella povera, malata o disagiata". E’ questo l’appello lanciato dal Papa durante la messa nella giornata conclusiva del congresso eucaristico ad Ancona. Una messa celebrata nell’area dei cantieri navali, davanti a tanti operai di aziende in crisi e allo loro famiglie.
Davanti a loro (e a circa 100mila persone) Benedetto XVI spiega come la "forza del potere e dell’economia" non siano sufficienti da sole a organizzare le società: "L’uomo cade spesso nell’illusione di poter trasformare le pietre in pane", ma non si possono mettere da parte Dio, i valori, l’etica, confinandoli al privato, e "certe ideologie" che hanno tentato di farlo, cercando solo di assicurare "a tutti sviluppo" e "benessere materiale", hanno fallito, dando agli "uomini pietre al posto di pane". Perché tra gli impegni imprescindibili dei cristiani c’è quello di restituire dignità al lavoro superando disoccupazione e precariato. "Una spiritualità eucaristica - afferma Benedetto XVI- è via per restituire dignità ai giorni dell’uomo e quindi al suo lavoro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi della festa e della famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato e il problema della disoccupazione".
Poi il Santo Padre continua la sua riflessione sull’eucarestia e sul suo significato nella vita quotidiana, anche e soprattutto nell’attuale momento storico e in questa fase di crisi economica e di valori: "Spesso confondiamo la libertà con l’assenza di vincoli, con la convinzione di poter fare da soli, senza Dio, visto come un limite alla libertà. E’ questa un’illusione che non tarda a volgersi in delusione, generando inquietudine e paura e portando, paradossalmente, a rimpiangere le catene del passato".
Benedetto XVI pranzerà con alcuni assistiti dalla Caritas e una rappresentanza di operai in cassaintegrazione, tra cui un gruppo di Fincantieri e uno di Merloni. Nel pomeriggio, alle 17, incontrerà famiglie e parroci nel duomo di San Ciriaco e poi, a seguire, in piazza Plebiscito, 500 giovani.
* la Repubblica, 11 settembre 2011
Chiesa, la svolta non c’è stata
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 9 settembre 2011)
Con l’Italia sull’orlo del baratro la Chiesa resta aggrappata al dogma che Berlusconi non va messo di fronte alle sue responsabilità. Invece di fare capire al più indegno premier della Repubblica che l’Italia ha bisogno di altro, la gerarchia ecclesiastica continua ad attestarsi su esortazioni generiche. Non fa l’unica cosa che dovrebbe: ritirargli la cambiale in bianco concessagli per diciassette anni. Il varo della manovra al Senato spinge l’Avvenire a un editoriale costellato di auspici. È “necessario cambiare registro e passo”. I giovani sono “sempre più in fondo alla lista delle priorità dell’azione politica”. Non c’è ancora un “fisco amico della famiglia”, le nuove generazioni sono ingabbiate nel precariato e “continuiamo a chiedere una svolta nella lotta all’economia sommersa e all’evasione fiscale”. No, la svolta non c’è stata. Il boss dei boss, come le amichette chiamano il premier, non ha nessuna intenzione di fare sul serio.
La norma delle manette a chi evade tre milioni di euro soltanto se rappresentano il 30 per cento del fatturato del contribuente infedele, fa sbellicare dalle risa tutti gli uffici fiscali dell’Occidente. E fa vomitare. Non c’è stata nemmeno la svolta nelle politiche familiari da parte di un premier, che con l’occhio umido da coccodrillo afferma di aiutare con ventimila euro al mese la “famiglia in difficoltà” del real fornitore di cortigiane Tarantini. “Caro Direttore”, chiede un lettore di Avvenire, un uomo che ha rubato allo Stato può cavarsela donando una sommetta di beneficenza al prete? No, risponde il direttore: “La via diritta per un evasore fiscale pentito è una soltanto: fare il proprio dovere verso la comunità civile di cui è parte”.
E allora cosa ancora deve avvenire perché le gerarchie ecclesiastiche affermino con chiarezza evangelica che questa leadership corrotta, laida e totalmente inefficiente non gode più della loro fiducia? Per molto meno, una leggina farraginosa sulle coppie di fatto o un finanziamento in più alle scuole confessionali dai sacri palazzi sono partite in passato direttive per organizzare manifestazioni di massa! Il mondo cattolico, al cui interno esistono tante energie che aspettano solo di concorrere assieme agli altri cittadini alla rinascita dell’Italia, è come immobilizzato dal diktat delle alte sfere per cui non si deve attaccare Berlusconi. Qualche critichina sì. Ma guai a dire ciò che pensa l’Europa intera. L’incapace se ne vada. A luglio l’associazionismo cattolico è sembrato alzare la testa. Alcune associazioni hanno varato un manifesto “per la Buona politica”. Nel momento cruciale del balletto indegno sulle manovre due-tre-quattro-cinque la cappa del silenzio è nuovamente calata. È indubbio che il disagio, il malumore, l’inquietudine e l’angoscia per il futuro siano largamente diffusi nel mondo cattolico. Ne sono un segno anche le pagine che il giornale dei vescovi dedica da settimane all’evasione fiscale, al quoziente familiare, ai problemi dei giovani.
La gravità del momento traspare anche da singole frasi di alti esponenti della Chiesa. Il cardinale Tettamanzi, che in queste ore lascia ufficialmente la guida della diocesi di Milano, ha lanciato l’allarme che quasi nulla è cambiato nella vita politica italiana dopo Tangentopoli. Il cardinale Re, al congresso eucaristico di Ancona, ha evocato il dramma della disoccupazione. Il cardinale Bagnasco ha denunciato le “cifre impressionanti” dell’evasione fiscale e ha sottolineato la pressione che grava sulle famiglie. Il cardinale Bertone in un intervento alle Acli ha scandito che i “diritti sociali sono parte integrante della democrazia sostanziale e l’impegno a rispettarli non può dipendere meramente dall’andamento delle borse e del mercato”. Poi, però, scena muta quando il governo vara l’articolo 8 della manovra, che rottama lo Statuto dei lavoratori e colpisce direttamente le famiglie italiane. Perché sono i padri e le madri di famiglia, che domani saranno gettati sul lastrico (La Stampa ha dedicato una pagina intera alle ampie possibilità di licenziare), a sostenere economicamente centinaia di migliaia di giovani immersi nel precariato.
Rispetto all’urgenza di pronunciare una parola chiara e definitiva sul malgoverno di Berlusconi (sulprofilo di etico le parole ormai sono insufficienti), le massime autorità ecclesiastiche preferiscono muoversi, restando al coperto. Sperando nella nascita di un partito di centrodestra postberlusconiano “quando sarà”. Non è un caso che l’unico - in campo Pdl - a mettere pubblicamente la faccia per chiedere la rimozione urgente di Berlusconi sia Giuseppe Pisanu, uomo di solida formazione cattolico-democratica. L’ala ciellina dei Lupi e Formigoni non ha avuto lo stesso coraggio.
Certamente una parte consistente dell’episcopato non ne può più del Cavaliere, delle sue ninfette e della totale mancanza di una visione di governo.
Pisanu non avrebbe fatto la sua sortita se non percepisse di godere del silenzioso sostegno di settori importanti della gerarchia ecclesiastica. Buttiglione nell’Udc rilancia con tempismo sulle pagine di Avvenire la proposta di un ritiro del premier accompagnato da un salvacondotto giudiziario (altra aberrazione inconcepibile per un paese occidentale). Ma l’Italia merita molto più che ordinarie manovre da congiurati. E i cattolici meritano una parola chiara verso chi ha portato il paese alla catastrofe. La partenza di Berlusconi dovrà essere un atto di pulizia e di liberazione, non il frutto di una piccola cospirazione.
EUCARISTIA: "PER MOLTI", MA NON "PER TUTTI". DAL VATICANO UNA NUOVA TRADUZIONE DEL MESSALE ROMANO *
33665. ROMA-ADISTA. Nel giro di uno o due anni cambierà la versione italiana delle parole della consacrazione del calice nella celebrazione della messa: sostituendo l’odierno "per tutti", in uso da oltre trent’anni, con la formula "per molti", più aderente al testo latino del Missale Romanum, che recita "pro multis". Il cambiamento avviene per volontà di papa Benedetto XVI, che ha comunicato il suo "indirizzo" al prefetto della Congregazione per il Culto divino, card. Francis Arinze, il quale a sua volta ne ha informato i presidenti delle diverse Conferenze episcopali nazionali in una lettera datata 17 ottobre 2006 e resa nota la scorsa settimana. La formula in latino, presente nel Missale Romanum, unico per tutte le nazioni e su cui si basano le traduzioni autorizzate nelle lingue nazionali, è: "accipite et bibite ex eo omnes: / hic est enim calix sanguinis mei / novi et aeterni testamenti: / qui pro vobis et pro multis effundetur / in remissionem peccatorum. / Hoc facite in meam commemorationem". L’espressione "pro multis" fu tradotta in italiano "per tutti" e nella maggior parte delle altre lingue in modo analogo: in tedesco "für alle", in inglese "for all", in spagnolo "por todos los hombres". In francese si recita invece "pour la multitude".
Il nuovo indirizzo vaticano era nell’aria da tempo ma mancava ancora una conferma ufficiale. Quel che è sicuro è che una resa letterale di "pro multis" non incontra il favore di molti vescovi e, malgrado le pressioni del Vaticano, era improbabile che le Conferenze episcopali decidessero autonomamente di affrontare la questione senza un ordine esplicito, tanto che Arinze impone un termine di "uno o due anni" per "prepararsi ad introdurre" la traduzione secondo le indicazioni del Dicastero. Lo scorso luglio, la Commissione liturgica della Conferenza episcopale statunitense, impegnata nella valutazione della nuova traduzione inglese della messa (v. Adista n. 57/06), aveva respinto un emendamento che voleva introdurre la formula "for the many" (per i molti) al posto di "for all" (per tutti) nella resa di "pro multis". La Commissione aveva motivato il rifiuto perché la "stragrande maggioranza dei membri della Conferenza episcopale è a favore di ‘per tutti’". Significativamente, però, i vescovi statunitensi avevano anche ritenuto non fosse il caso di affrontare la questione, vista l’"espressa intenzione" del Vaticano di esprimersi su questo punto. Nella lettera, il card. Arinze spiega la scelta di una resa "più precisa" della formula "pro multis" con l’intento di chiarire che "la salvezza non arriva in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione di ciascuno". Inoltre, il testo dei Vangeli sinottici è concorde nel fare uno "specifico riferimento a ‘molti’" (cfr. Mt 26,28 e Mc 14,24) e, tradizionalmente, il rito romano latino ha sempre recitato "pro multis" e non "pro omnibus". Il cardinale aggiunge che "per tutti", più che una "fedele traduzione", è "una spiegazione del genere più adatto ad una catechesi" e quindi non è più in linea con l’Istruzione Liturgiam authenticam che prescrive traduzioni "più fedeli al testo latino".
Il nuovo indirizzo per la traduzione arriva in seguito ad una consultazione, avviata nel luglio 2005, tra tutte le Conferenze episcopali nazionali in accordo Congregazione per la Dottrina della Fede. La discussione, a quel che risulta, è stata in alcuni casi molto tesa - non solo negli Stati Uniti - soprattutto perché cadeva in un momento in cui il dibattito liturgico è particolarmente acceso e il Vaticano sembra impegnato su più fronti in una "controriforma" della riforma liturgica introdotta dal Concilio Vaticano II. Il timore è che i fedeli non capiscano il nuovo testo o lo interpretino esclusivamente nel senso di una "restrizione" del numero dei salvati, una preoccupazione condivisa dallo stesso Arinze che invita i vescovi a "intraprendere la necessaria catechesi dei fedeli su questo punto".
Su questa stessa linea, in seguito alle recenti polemiche sulla direzione dell’officiante durante la messa (v. Adista n. 73/06), risulta significativa la calorosa esaltazione della liturgia di rito bizantino - in cui il prete è rivolto "verso Oriente" e non "verso il popolo" - cui il papa ha assistito il 30 novembre nella chiesa di San Giorgio durante il suo viaggio in Turchia. Il cerimoniere pontificio, mons. Piero Marini, generalmente considerato un sostenitore della riforma liturgica conciliare, sottolinea con enfasi le ragioni teologiche per cui, nel rito bizantino, "tutti i fedeli guardano ad Oriente, da dove Cristo verrà un giorno nella sua gloria": il sacerdote, infatti, "intercede presso il Signore per il suo popolo; egli cammina davanti al popolo verso l’incontro con il Signore". Di seguito, il testo della lettera inviata dal card. Arinze ai presidenti della Conferenze episcopali nazionali, in una nostra traduzione dal testo inglese pubblicato sul bollettino della Commissione liturgica della Conferenza episcopale statunitense. (alessandro speciale)
Gli immigrati di Olmi «Un inno alla carità»
di Alessandra De Luca (Avvenire, 7 settembre 2011)
«Quando la carità è un rischio, proprio quello è il momento di fare carità». Il senso dell’ultimo film di Ermanno Olmi, Il villaggio di cartone , presentato ieri a Venezia fuori concorso, è contenuto tutto in questa frase che ci riporta a uno dei temi chiave del cinema dell’ottantenne regista. Affrontato però questa volta in maniera per certi versi «rivoluzionaria». La carità diventa così la scoperta nell’altro della propria felicità, dell’uomo delle origini. Gesto d’amore quasi estremo, l’unico capace di spalancare davvero le porte del futuro per l’umanità intera. Non a caso nelle note di produzione Olmi inserisce una dichiarazione di Indro Montanelli pubblicata nell’ottobre del 1968 sulla Domenica del Corriere: «L’unica vera grande rivoluzione avvenuta nel nostro mondo occidentale è quella di Cristo, il quale dette all’uomo la consapevolezza del Bene e del Male e quindi il senso del peccato e del rimorso. In confronto a questa tutte le altre rivoluzioni, compresa quella francese e russa, fanno ridere».
Tornato dietro la macchina da presa dopo Centochiodi, Olmi ci offre attraverso una messa in scena scarna, rigorosa, ma ricca di simboli, volti, silenzi e parole che pesano come pietre, l’apologo di un vecchio prete, parroco di una chiesa dismessa e sull’orlo della demolizione. Quadri e crocefissi sono stati riposti nei bauli, i muri sono stati spogliati con un atto feroce, quasi sacrilego, che lascia un vuoto profondo. Ma quella chiesa devastata, saccheggiata, diventa improvvisamente rifugio per immigrati nordafricani, i miseri e i derelitti, gli ultimi della terra, «capaci di diventare con i loro accampamenti i nuovi ornamenti della Casa di Dio e di dare una nuova sacralità alle pareti nude, alla mancanza di cerimonie liturgiche». Quel momento di sconforto sarà «l’inizio di una resurrezione, di un modo nuovo di vivere la missione sacerdotale, tra fratellanza e coraggio, uomini nuovi e giusti».
Interpretato da Michael Lonsdale (protagonista anche di Uomini di Dio), Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, che affiancano attori non professionisti, il film poggia su un’altra parola chiave, ’diabasi’, che indica il pensiero che si fa atto creativo e rimanda alla responsabilità di vivere con gli altri.
«Vorrei suggerire ai cattolici, e io sono tra questi - dice il regista -, di ricordarsi più spesso di essere anche cristiani. Il vero tempio è la comunità umana. Dobbiamo liberarci dagli orpelli, altrimenti siamo maschere, uomini di cartone ». A chi gli chiede se con il suo film non rischi di ridurre il cattolicesimo al solo concetto di accoglienza, Olmi risponde: «Ma cos’è più importante dell’accoglienza? La sacralità dei simboli? Il simbolo deve rimandare a una realtà di carne per avere valore. Non è possibile genuflettersi davanti a un Cristo di cartone o di legno se poi non si mostra solidarietà per chi soffre».
E sulla scelta di includere nel gruppo di migranti che ritrova asilo nella chiesa anche un terrorista con tanto di cintura esplosiva, spiega: «Il mio non è un film realistico e ogni presenza è simbolica. Il ragazzo decide di accettare l’atto violento come un dovere per non dialogare con l’altro. Ma solo dal confronto e dal dialogo con gli altri possiamo davvero capire chi siamo». Da qui le riflessioni sul modo più profondo di vivere la fede: «La vera fede è quando il peso dei nostri dubbi è superiore a quello delle nostre convinzioni. In tanti momenti difficili ho chiesto a Dio dove fosse, ma la risposta dobbiamo trovarla noi stessi».
MARCHE
L’Eucaristia non conosce esclusioni *
«Gesù non ci ha lasciato soltanto dottrine, verità e precetti, ma ci ha donato se stesso. L’incontro con lui nell’Eucaristia ci apre agli altri: per questo attorno al mistero eucaristico c’è sempre stato un fiorire di opere sociali». Con queste parole il cardinale Re ha portato il suo saluto ad Osimo, nella giornata che il Congresso Eucaristico dedica al tema della cittadinanza.
«L’Eucaristia - ha proseguito il Cardinale - ci parla di attenzione, di aiuto, di amore agli altri e di perdono donato: dal Congresso attingiamo luce e forza per affrontare le difficoltà che l’ora presente porta con sé».
Su questa linea ha sviluppato il suo intervento anche il presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, mons. Antonio Maria Vegliò: «L’Eucaristia, che ci spinge ad essere pane spezzato per gli altri, ci porta ad impegnarci per un mondo più giusto e fraterno. Con la gente in movimento, cerchiamo di costruire tale mondo proprio lì dove essi vivono».
Illustrando il compito del Pontificio Consiglio, mons. Vegliò ha detto che «concretamente, si tratta di sollecitudine pastorale nei confronti di rifugiati e migranti, apolidi, nomadi e gente dello spettacolo viaggiante, marittimi, sia in navigazione sia nei porti, coloro che sono impiegati o lavorano negli aeroporti o sugli aerei, quelli che viaggiano per motivi di pietà, studio o svago, come i pellegrini, gli studenti internazionali e i turisti». In particolare ha richiamato come esempio «il pellegrinaggio di diverse etnie di zingari, provenienti da tutta Europa, alla tomba dell’apostolo Pietro, nello scorso mese di giugno, ricevuti per la prima volta in udienza dal Papa». Ha quindi richiamato la figura del Beato Zefirino Giménez Malla, martire zingaro di cui ricorre il 150° anniversario della nascita e il 75° del martirio.
«La città è in crisi - ha affermato mons. Giancarlo Perego, direttore di Migrantes - è mobile, precaria e debole, ha fame di alcuni beni, è sempre più povera; ma, soprattutto, soffre di solitudine, di separazioni, di divisioni, è vittima dell’individualismo, di cadute di responsabilità: passare dalla città alla cittadinanza, significa progettare la vita della città, costruire relazioni, educare alla responsabilità sociale e politica, cogliere i segni e i gesti di dono, cercare il dialogo, tessere reti. L’Eucaristia aiuta a non escludere, a guardare a tutti e a ciascuno, a costruire universalità, cattolicità».
Il tema della cittadinanza è quindi stato approfondito dai contributi di Mauro Magatti, sociologo ed economista, da Cristina Simonelli, teologa e patrologa che dal 1976 vive in un campo rom, e da don Mimmo Battaglia, sacerdote della diocesi di Catanzaro, vi ha fondato nel 1986 un Centro calabrese di solidarietà che ha accolto in 25 anni oltre 3000 giovani vittime di dipendenze.
* AVVENIRE, 9 settembre 2011
Card. Tettamanzi, fiducia in Italia piu’ giusta e solidale
Messa in Duomo Ancona, ’primo amore non si scorda mai’
06 settembre, 18:45
(ANSA) - ANCONA, 6 SET - Il card. Dionigi Tettamanzi ha fiducia nel futuro dell’Italia, nonostante tutto. ’’Sono fiducioso - ha detto ad Ancona, a margine di una celebrazione liturgica per il XXV Congresso eucaristico - perche’ la storia vede Dio come protagonista, ma vede anche l’uomo, che soprattutto in certi momenti sa aprire il proprio cuore e pescare dentro di se’ quella generosita’, quel dono nei confronti degli altri, quella passione per costruire una societa’ piu’ libera, piu’ giusta, piu’ solidale’’.
Il Duomo di San Ciriaco era gremito per accogliere il suo ex arcivescovo (1989-1991), e Tettamanzi ha ricambiato l’affetto: ’’e’ proprio vero, il primo amore non si scorda mai’’. (ANSA).