Strasburgo dice sì al crocifisso *
Strasburgo - L’obbligo di presenza del crocifisso nelle aule scolastiche «non può essere ritenuto indottrinamento da parte dello Stato». Questa la principale motivazione con cui la Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha ribaltato la sentenza di primo grado e assolto l’Italia dall’accusa di violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo coscienza.
La Corte, nella sentenza, sottolinea inoltre che il crocefisso «è un simbolo essenzialmente passivo» e la sua influenza sugli alunni non può essere paragonata all’attività didattica degli insegnanti. Per i giudici di Strasburgo «gli effetti della grande visibilità che la presenza del crocefisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati tenendo conto che a questa non è associata un insegnamento obbligatorio del cristianesimo».
La delusione della famiglia Albertin
«Il pronunciamento di Strasburgo mi delude, molto, perché la prima sentenza su questa vicenda era clamorosamente chiara». Così Massimo Albertin, il medico di Abano Terme che otto anni fa aveva iniziato con la moglie finlandese, Solile Lautsi, una battaglia legale contro il crocefisso nella scuola frequentata dai figli, commenta la sentenza con cui la Corte per i diritti dell’uomo ha assolto l’Italia dall’accusa di violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo coscienza.
Albertin vuole però leggere prima la sentenza della Camera Grande della Corte di Strasburgoper capirne bene le motivazioni. «Pare - dice il medico padovano - che sia tutto legato al `margine di apprezzamento’ sull’applicazione dei diritti umani, per cui la Corte può decidere su determinate materie di lasciare più margine ai singoli Stati». «Ma se ci sono dei diritti da far rispettare - prosegue - non si capisce perché questi in Italia possano essere diversi da quello che sono in Francia o in altri Paesi dell’Unione».
* Il Secolo XIX, 18 marzo 2011
Crocifisso a scuola, assolta l’Italia
Il verdetto della Corte europea:
"Non si violano i diritti umani".
La Gelmini: una grande vittoria *
STRASBURGO Il crocefisso può restare appeso nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Questo è quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, che con una sentenza definitiva della Grande Camera, votata da 15 giudici su 17, ha dichiarato che la presenza in classe di questo simbolo non lede nè il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, nè il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione.
Per il governo italiano e il fronte pro-crocefisso è una vittoria a tutto campo. Nel motivare la sua decisione la Corte afferma come il margine di manovra dello Stato in questioni che attengono alla religione e al mantenimento delle tradizioni sia molto ampio. Ma i quindici giudici che hanno votato a favore della piena assoluzione delle autorità italiane sono andati oltre. Nella sentenza si legge infatti come la Corte non abbia trovato prove che la presenza di un simbolo religioso in una classe scolastica possa influenzare gli alunni. E come nonostante la presenza del crocefisso (definito simbolo passivo) conferisca alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico, questo non sia sufficiente a indicare che sia in atto un processo di indottrinamento.
Si sottolinea infatti che nel giudicare gli effetti della maggiore visibilità data al cristianesimo nelle scuole si deve tener conto che nel curriculum didattico non esiste un corso obbligatorio di religione cristiana e che l’ambiente scolastico italiano è aperto ad altre religioni.
Nessun commento dall’avvocato Nicolò Paoletti, difensore di Soile Lautsi, la cittadina italiana di origini finlandesi che aveva presentato ricorso alla Corte. Dichiarazioni euforiche, invece, di coloro che hanno strenuamente difeso l’importanza della presenza del crocifisso nelle scuole italiane. «È una pagina di speranza per tutta l’Europa», ha commentato monsignor Aldo Giordano appena il presidente della Corte di Strasburgo, Jean Paul Costa, è uscito dall’aula dopo la lettura della sentenza.
Il rappresentante della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha quindi sottolineato come la Corte abbia preso una posizione coraggiosa e abbia tenuto conto delle preoccupazioni che in questo momento gli europei esprimono nei riguardi delle loro tradizioni, dei loro valori e della loro identità.
Gli ha fatto eco il vice ministro della giustizia russo, Georgy Matyushkin, che è intervenuto davanti alla Grande Camera in favore dell’Italia ed è volato appositamente da Mosca per assistere alla lettura della sentenza. Il minisro russo si è detto «molto soddisfatto per l’approccio della Corte».
Ma anche il direttore dello European Centre for Law and Justice, Gregor Puppinck, ha definito la sentenza «un colpo che mette un freno alle tendenze laiciste della Corte di Strasburgo e che costituisce un cambiamento di paradigma». Lo European Centre for Law and Justice era una delle organizzazioni no profit che si erano costituite parte terza a favore dell’Italia nel procedimento.
Alla lettura della sentenza, che è avvenuta in un’aula piena di studenti e funzionari del Consiglio d’Europa, erano presenti anche l’ambasciatore italiano Sergio Busetto, oltre agli ambasciatori cipriota e greco e ai rappresentanti della diplomazia armena, lituana, e di San Marino. Tutti Paesi che assieme a Bulgaria, Romania, Malta e Principato di Monaco erano intervenuti a favore dell’Italia. La sentenza emessa oggi mette la parola fine al ricorso «Lautsi contro Italia».
Un fascicolo che fu aperto dalla Corte nel 2006 e che nel 2009, con una sentenza in primo grado a favore delle tesi della ricorrente, suscitò una vera alzata di scudi contro la Corte. L’indignazione fu tale che il governo italiano ricorse immediatamente, chiedendo e ottenendo la revisione del caso da parte della Grande Camera. In questo suo appello, andato a buon fine, l’Italia ha potuto contare non solo sui dieci Paesi che «ufficialmente» si sono presentati come parti terze davanti alla Corte, ma anche sul contributo di diverse ong, di parlamentari italiani ed europei e del lavoro diplomatico condotto dal rappresentante della Santa Sede.
«Esprimo profonda soddisfazione per la sentenza della Corte di Strasburgo, un pronunciamento nel quale si riconosce la gran parte del popolo italiano. Si tratta di una grande vittoria per la difesa di un simbolo irrinunciabile della storia e dell’identità culturale del nostro Paese», ha dichiara il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. «Il Crocifisso sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale: il rispetto della dignità della persona umana e della sua libertà. È un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia nè alla laicità dello Stato, nè alla libertà religiosa. Oggi è un giorno importante per l’Europa e le sue istituzioni che finalmente, grazie a questa sentenza, si riavvicinano alle idee e alla sensibilità più profonda dei cittadini», ha consluso il ministro.
* La Stampa, 18/03/2011
STRASBURGO
Crocifisso, Italia assolta
Santa Sede: sentenza storica *
L’Italia ha vinto la sua battaglia a Strasburgo: la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo l’ha assolta dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l’eventuale influenza sugli alunni dell’esposizione del crocefisso nella aule scolastiche.
La Santa Sede esprime "soddisfazione" per la sentenza della Corte Europea sulla esposizione del crocifisso nelle scuole. Si tratta, afferma il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi in una dichiarazione scritta, di una sentenza "assai impegnativa e che fa storia".
La sentenza costituisce un punto di riferimento imprescindibile sulla questione della presenza dei simboli religiosi negli spazi pubblici in tutta Europa. Con la sentenza la Corte ha scritto la parola fine sul dossier del caso "Lautsi contro Italia". Un procedimento approdato a Strasburgo il 27 luglio del 2006, quando l’avvocato Nicolò Paoletti presentò il ricorso con cui Soile Lautsi sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane costituiva una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo coscienza e senza interferenze da parte dello Stato, nonché una violazione della libertà di pensiero, coscienza e religione degli alunni. La prima sentenza della Corte ha dato sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, scatenando un’ondata d’indignazione che ha preso anche la forma di decine e decine di lettere di protesta inviate a Strasburgo da semplici cittadini. «Ne abbiamo ricevute quasi duecento», ha riferito una fonte che ha chiesto di non essere citata.
Alcune contengono critiche alla sentenza, altre minacce ai giudici, altre ancora semplici farneticazioni. «Ma se nei primi mesi l’invio era, per così dire, fatto su base spontanea, da qualche mese c’è chi ha provveduto a organizzarlo», ha aggiunto la stessa fonte mostrando una lettera indirizzata al presidente della Corte in cui si denuncia «la profonda offesa arrecata dalla Corte» ai cattolici. Una sentenza contro la quale il governo italiano ha subito fatto ricorso, trovando tra l’altro il sostegno di altri dieci Paesi membri del Consiglio d’Europa (Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Principato di Monaco, Romania, Russia e San Marino) esplicitato il 30 giugno scorso in occasione della prima e unica udienza pubblica svoltasi nell’ambito del "processo" d’appello.
* Avvenire, 18 marzo 2011
Crocifisso: soddisfazione Santa Sede
Frattini, ha vinto sentimento popolare Europa.
Tosti, grottesco *
(ANSA) - ROMA, 18 MAR - La Santa Sede esprime ’soddisfazione’ per la sentenza della Corte Europea sull’esposizione del crocifisso nelle scuole. Si tratta, afferma il direttore della sala stampa vaticana, di una sentenza ’assai impegnativa e che fa storia’. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha detto: ’oggi ha vinto il sentimento popolare dell’Europa’. Ma il giudice ’anticrocifisso’ Luigi Tosti ha commentato: questa decisione ’mi sembra abbastanza grottesca. Ci sono state pressioni fortissime sulla Corte’.
* Ansa, 18 marzo 2011, 18:48
La sentenza europea
Il crocifisso non è innocuo
di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 21.03.2011)
La sentenza della Corte di Strasburgo è prigioniera di un brutto paradosso. Dichiarando che il crocifisso esposto in un’aula scolastica non lede alcun diritto, non solo lo dichiara innocuo, ma declassa il più potente segno religioso dell’Occidente a un marcatore identitario. «Non fa male a nessuno» come ripetono da sempre i molti per trarsi d’impaccio dal conflitto di ragioni che la questione seriamente solleva.Posso comprendere il tripudio dei cattolici governativi e dei leghisti che dopo lo smacco della riuscitissima festa dell’Unità d’Italia si consolano dicendo che nazionale non è la bandiera tricolore ma il crocifisso.
Quello che non capisco (si fa per dire) è l’entusiasmo della gerarchia ecclesiastica. Non si rende conto dell’equivoco che promuovendo il crocifisso come simbolo di universalismo e umanitarismo in esclusiva nazionale, negando di fatto spazio ad altri simboli religiosi, lo priva della sua specifica autenticità religiosa?
Preoccupazioni culturali, considerazioni psicologiche; deduzioni giuridiche. Di tutto si parla, salvo che del valore religioso del crocifisso che rappresenta (dovrebbe rappresentare) il Figlio di Dio in croce. Non semplicemente un uomo giusto e innocente ma in una prospettiva teologica carica di mistero il Figlio di Dio che muore per volontà del Padre per redimere l’uomo dal peccato. Terribile mistero di fede, diventato oggi incomunicabile, banalizzato a segnaposto identitario nazionale.
Evidentemente tra i «valori non negoziabili» di molti cattolici c’è la rivendicazione dello spazio pubblico per le loro idee su famiglia e omosessualità, ma non c’è la capacità di trovare le parole per comunicare verità dogmatiche di cui si è perso letteralmente il significato: peccato originale, redenzione, salvezza. Tanto vale ripiegare sulla simbologia umanitaria, come si trattasse di Gandhi. Anzi meglio di Gandhi: «Abbiamo il crocifisso».
Non è certo compito degli atei devoti o dei laici pentiti occuparsi di queste cose. A loro non interessano queste faccende teologiche. Ma dove sono i cristiani maturi? Dove sono i «teologi pubblici» come dice la nuova moda?
Lascio a chi è più competente di me dare un giudizio giuridico sulla sentenza di Strasburgo. Il lungo testo sembra molto preoccupato di delimitare i confini della competenza della Corte: «Non le appartiene pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità quale è consacrato nel diritto italiano». In altre parole, si affida alla giurisprudenza italiana, facendo finta di non sapere quanto essa sia incerta e controversa. Anzi adesso molti uomini di legge saranno sollevati d’avere un’autorevole istanza «esterna» cui appoggiare i loro argomenti.
Un punto importante tuttavia è acquisito dalla sentenza: in tema di religione (insegnamento, spazio pubblico, rapporti istituzionali tra Chiesa e Stato) il criterio nazionale ha la precedenza su ogni altro. Ma questo in concreto vuol dire che in Europa prevarranno linee interpretative molto diverse da Paese a Paese: la situazione francese è inconfrontabile con quella tedesca, con quella italiana, con quella spagnola, per tacere dei nuovi Stati membri dell’Europa orientale. Con buona pace dell’universalismo del messaggio cristiano ridotto a principi generalissimi diversamente intesi e praticati a Parigi, a Berlino, a Roma o ad Atene. E’ come se per paradosso si riproducessero di nuovo in termini non drammatici le antiche divisioni della cristianità occidentale.
Ma poi la Corte fa un passo ulteriore significativo, quando dichiara con una certa disinvoltura di non avere prove di una influenza coercitiva negativa del simbolo cristiano su allievi di famiglie di religione o di convincimenti diversi. In realtà proprio su questo punto è stata decisiva anni fa la sentenza della Corte Costituzionale tedesca (a mio avviso la più equilibrata e convincente mai pronunciata) che al contrario ha dichiarato necessario tenere in considerazione le opinioni di tutti gli interessati. Si tratta infatti di un conflitto tra diritti legittimi. L’esito finale della lunga appassionata controversia sul crocifisso in aula è stato il più impegnativo che si potesse immaginare: nessuna imposizione di legge, ma ragionevole intesa tra tutti gli interessati. In nome dell’universalismo e del rispetto reciproco. E’ una strada difficile da praticare, ma è l’unica degna di una democrazia laica matura. Peccato che noi ne siamo ancora molto lontani.
La forza del simbolo
Il crocifisso e la religione prevalente
intervista a Sergio Luzzatto,
a cura di Andrea Fabozzi (il manifesto, 20 marzo 2011)
Per il suo recente Il crocifisso di Stato (Einaudi), Sergio Luzzatto - professore di storia moderna all’università di Torino - ha ripreso gli atti della lunga vicenda processuale della famiglia Albertin, vicenda conclusa venerdì con una sentenza della Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo favorevole all’Italia che dunque può continuare ad imporre il crocifisso nelle aule scolastiche.
Professore, i giudici della Grand Chambre di Strasburgo ribaltando la sentenza di primo grado hanno assolto il crocifisso di stato italiano. Non le pare che ne abbiano anche ridimensionato il valore, definendolo un «simbolo passivo» che non ha forza di «indottrinamento»?
L’idea che un simbolo possa essere passivo è originale dal punto di vista teorico ma anche estremamente insidiosa dal punto di vista pratico. Non c’è bisogno di essere un giurista per sapere che una sentenza fa giurisprudenza e dunque questa apre il campo a qualsiasi altro simbolo. Portando all’estremo il ragionamento, in Austria qualche anno fa avrebbero potuto autorizzare l’esposizione di una svastica in classe. Come si vede questa piroetta sul carattere passivo dei simboli è pericolosa assai, anche se possiamo non rendercene conto fino a che si tratta di simboli portatori di valori positivi come si può pensare che sia il crocifisso. La verità è che i simboli non sono inerti ma sempre attivi, altrimenti non si capirebbe questo accapigliarsi sul loro valore. Non per nulla questa è una sentenza che ha un chiaro valore politico.
Quale?
Il voto di quei 15 giudici su 17 che hanno assolto l’Italia riflette l’inquietudine dei governi sulla possibilità che l’Europa possa intromettersi nelle faccende nazionali. Ha vinto l’Europa della cosiddetta sussidiarietà, è passata l’idea che ci siano materie nelle quali bisogna inchinarsi alla sovranità degli stati. Esattamente il punto sollevato dal presidente Napolitano nel suo messaggio di appoggio al governo italiano: sui muri di casa nostra decidiamo noi. Non è la prima volta che prevale questo principio ma il paradosso è che ora la Grand Chambre lo afferma spiegando che la giustizia italiana non è stata in grado di dirimere la questione - ed è vero - e dunque non si vede perché debba essere l’Europa ad arrogarsi il diritto di decidere. Verrebbe da rispondere: una classe politica all’altezza dovrebbe raccogliere questa sfida piuttosto che festeggiare una «non decisione».
Il governo ha fatto di più. Per ottenere un pronunciamento favorevole ha garantito ai giudici di Strasburgo che nelle scuole pubbliche italiane sono rispettate tutte le religioni, persino che si può portare il velo e festeggiare il Ramadan. Le risulta che sia così?
Ovviamente no, è chiaro che l’Italia ha portato argomenti teorici sul pluralismo che non corrispondono alla pratica che conosciamo ed è chiaro che la Grand Chambre se li è fatti andare bene. Ma io credo che vada evitata ogni confusione tra i simboli esposti in uno spazio pubblico e quelli portati sul corpo altrimenti si finisce con l’assimilare questioni assai diverse come il velo e il crocifisso. Al di là delle menzogne del nostro governo, un conto sono i programmi, gli abiti e le festività, un altro è il crocifisso sul quale peraltro si potrebbe molto più facilmente legiferare e colmare così quel vuoto che in parte sta alla base della sentenza. Invece l’unico progetto di legge che mi risulta essere stato presentato è quella della Lega Nord che vuole imporre il crocifisso negli uffici pubblici lombardi. Tutto qui, è l’unica cosa di cui effettivamente si parla. Tacciono le voci della laicità e le critiche alla sentenza di Strasburgo arrivano solo dai protestanti e dai cristiani di base. La politica rinuncia del tutto al suo ruolo.
Forse non solo la politica, dal momento che nella sentenza di Strasburgo si insiste sulla sussidiarietà, come ha detto lei, e sulla «percezione soggettiva» della famiglia Albertin che non basterebbe a configurare una lesione delle libertà collettive. Eppure parliamo di giudici che dovrebbero far rispettare valori universali, nientemeno che la convenzione dei dirittidell’uomo.
È l’aspetto più inquietante di questa vicenda. La Grand Chambre ha usato espressioni come «religione maggioritaria» e «visibilità preponderante» che secondo me rappresentano una disdetta della tradizione più che secolare dei diritti dell’uomo. Come sanno anche i bambini che studiano l’educazione civica, i diritti dell’uomo sono pensati innanzitutto per garantire le minoranze, non le maggioranze. Il principio che alla fine conta la maggioranza è esattamente quello che si è applicato al tempo delle guerre di religione in Europa tra il Cinquecento e il Seicento. Allora prevalse l’idea che l’unico modo per mettersi d’accordo all’interno di una determinata area geografica fosse la regola del cuius regio, eius religio, cioè che la religione dominante dovesse essere quella del principe. A suo modo ha funzionato. Adesso dopo cinquecento anni si torna a dire che la religione dominante dev’essere quella del nuovo sovrano e cioè della maggioranza del paese. Questo è un precedente grave perché non tutela le minoranze e perché apre una situazione di censimento permanente. Pensiamo a nazioni dove c’è un equilibrio meno sbilanciato rispetto a quello italiano, si vuole davvero affidare la tutela dei diritti ai numeri?
Ma c’è anche un’altra possibilità, quella proposta ai giudici del governo italiano. E cioè che il crocifisso sia ormai un simbolo della tradizione più che della religione.
Giustamente questa tesi è stata respinta a Strasburgo. L’Italia ci aveva puntato essendo sicura che laddove fosse prevalso il valore religioso la Grand Chambre non avrebbe che potuto confermare il divieto di esposizione nelle aule. È un paradosso di questa politica per la quale la religione è veramente instrumentum regni e dove gli atei devoti vanno a braccetto con i cattolici intransigenti. Da non cristiano posso dire di essere impressionato dai commenti delle gerarchie religiose che festeggiano una sentenza dove si esclude che il crocifisso possa essere il simbolo dell’indottrinamento. Secondo me si tratta di una vera e propria profanazione. Colpisce la povertà di spirito di una chiesa ridotta a brandire questo argomento, quando il crocifisso è esattamente il simbolo della dottrina.
Da storico che riflessioni le suscita la perfetta coincidenza tra questa sentenza e il 150esimo dell’unità conquistata contro il potere mondano della chiesa?
Conferma un’impressione già forte di fronte alle modalità scelte per i festeggiamenti, generalmente improntate a celebrare la chiusura della ferita storica con il papato del 1861. Siamo rimasti in pochi a riflettere su quanto di quel progetto di costruzione di una nazione laica sia rimasto in piedi: molto poco a mio modo di vedere. Ecco allora che il giornale dei vescovi può legittimamente definire la sentenza di Strasburgo il miglior regalo per il centocinquantesimo. Ed è molto grave che nella politica italiana non ci sia stata nessuna voce autorevole in controtendenza. In fondo anche il messaggio del presidente della Repubblica che pure è stato giustamente apprezzato per la sua non ovvietà, sul punto del rapporto tra stato e chiesa è rimasto estremamente ambiguo.
Unità attorno alla Costituzione
di Vittorio Cristelli (vita trentina, 20 marzo 2011)
Il 17 marzo è stato dichiarato festa nazionale per i 150 anni dell’Unità d’Italia. C’è chi si è dissociato e non intende far festa, argomentando che 150 anni fa il proprio territorio non faceva parte dell’Italia e il Trentino Alto Adige è tra questi territori. Nel frattempo si sono svolte due grandi manifestazioni di piazza. La prima il 13 febbraio per la rivendicazione della dignità delle donne, la seconda il 12 marzo in difesa della Costituzione italiana. Ambedue hanno portato in piazza un milione di persone.
E allora mi son detto: “Perché non celebrare l’Unità d’Italia attorno alla Costituzione? Perché soffermarsi sulle tappe e non guardare al traguardo cui è giunta l’Italia con la Costituzione repubblicana? Parti dell’Italia hanno avuto storie diverse: una borbonica, una veneziana, una pontificia, una austroungarica. L’Italia è stata anche monarchica e fascista.
Mi balza alla mente il nostro Alcide De Gasperi, che era parlamentare austroungarico, e poi divenne artefice in posizione di alta responsabilità della Costituzione italiana. Rilanciamo ancora i borbonici, i veneziani, i papalini, e gli austroungarici? E perché non anche i monarchici, i fascisti e, più in là, i longobardi, i vandali, gli unni, gli ostrogoti, i visigoti e i celti?
Assumendo l’esempio della maturazione della persona, questo ritorno al passato in termini clinici si chiamerebbe regressione allo stato adolescenziale o addirittura infantile. L’elaborazione della Carta costituzionale ha rappresentato un vero e proprio esame di maturità in cui si sono confrontate visioni diverse, ideologie contrapposte, e hanno raggiunto quelle sì l’unità sfociata nel frutto finale costituito da una vera e propria patente di maturità: una delle Costituzioni migliori al mondo.
Accennavo alle manifestazioni per la dignità delle donne e in difesa della Costituzione. Ne cito solo il primo comma dell’articolo 3 che potrebbe fungere da bandiera: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religioni, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ci sono tutti: gli uomini e le donne, i celti, i normanni, i reti e i longobardi; i parlanti italiano, francese, tedesco o ladino; i cattolici e i protestanti, ma anche i musulmani e i non credenti; quelli di sinistra e di destra; i ricchi e i poveri. E tutti convergono in unità. -Ma di unità, come diceva già Emanuele Kant, si può parlare solo tra diversi. Perché altrimenti si tratta di omologazione.
Questo discorso vale a maggior ragione oggi che dobbiamo tendere ad un’unità ancora più larga, e cioè all’unità europea. Stridono fino alla contraddizione le richieste dell’intervento unitario europeo per affrontare l’emergenza emigrati dal Magreb in fiamme fatte da chi fino a ieri parlava di secessione di una parte d’Italia dall’unità nazionale.
E’ vero e ne sono pienamente cosciente che l’unità sui valori della Costituzione è un’unità culturale, ma propria per questo è importante perché terreno fecondo su cui può realizzarsi l’unità politica. Se manca ancora l’unità politica dell’Europa è perché ci si è ripiegati solo sull’unità economica. Lo diceva a chiare lettere Jean Monnet, uno dei fondatori della Comunità economia europea (Cee), quando osservò: “Se fosse necessario ricominciare lo farei a partire dalla cultura”. E allora si può ben dire che gli attacchi più pericolosi all’unità d’Italia oggi, ben più di quelli al tricolore e all’inno di Mameli, sono quelli diretti a scardinare la Costituzione. E i Comitati Dossetti in difesa della Costituzione sono presidi intelligenti dell’Unità d’Italia.
Dietrofront della Corte europea. Il crocifisso resta in classe
Annullata la sentenza del 2009, “è un simbolo passivo”
di Marco Politi (il Fatto, 19.03.2011)
Il crocifisso resterà nelle classi italiane. La Grand Chambre (istanza d’appello) della Corte europea dei diritti dell’uomo decide di non decidere sul carattere impositivo dell’esposizione di un unico simbolo e annulla la decisione del 2009, che obbligava l’Italia a rimuovere il segno religioso dalle aule.
La cittadina finno-italiana Soile Lautsi perde la sua battaglia quasi decennale e l’Italia non conquista la facoltà di vivere come nella religiosissima America, dove fervente e multiforme è il sentimento religioso - spesso lodato da Benedetto XVI - ma le istituzioni pubbliche non sono contrassegnate da simboli religiosi nel rispetto della libertà di tutti e della distinzione tra Stato e Chiesa.
Impazza il tripudio del centro-destra da Frattini alla Gel-mini, da Alemanno a Zaia, con un gran parlare di “vittoria del sentimento popolare... simbolo irrinunciabile... segno di identità e civiltà”. Per un giorno anche i leghisti adorano l’Europa. Ma egualmente in casa Pd e Italia dei valori c’è chi come Chiti o Leoluca Orlando plaude alla “giusta sentenza”. Deluso il marito della Lautsi, Massimo Albertin, “perché la prima sentenza in questa vicenda era clamorosamente chiara”. Il giudice “anticrocifisso” Luigi Tosti, rimosso dalla magistratura, denuncia “pressioni fortissime” esercitate sulla Corte di Strasburgo. Asciutto il commento del’insegnante di Terni Franco Coppoli, allontanato nel 2009 e poi reintegrato per aver tolto il crocifisso dal’aula del suo istituto professionale: “Hanno vinto i poteri forti”.
SOBRIA LA reazione delle autorità ecclesiastiche. Il presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco, parla di “una sentenza importante, di grande buon senso”. In realtà, al di là dell’uso politico della sentenza, emerge un primo dato di fatto. Di fronte all’offensiva del governo italiano, appoggiato da dieci paesi del Consiglio d’Europa significativamente in prevalenza del’Europa orientale ex comunista, la Corte di Strasburgo si è trincerata dietro il principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato membro, sostenendo che all’Italia andava lasciato un “margine di valutazione” autonomo nel regolare la questione. Nessuna proclamazione, dunque, del diritto assoluto italiano a fare come sta facendo.
Anzi nella sentenza di Strasburgo è scritto esplicitamente che “non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità come si trova consacrato nel diritto italiano”. Inoltre i giudici di Strasburgo hanno ritenuto di non ingerirsi, alla luce della divergenza registrata tra Cassazione e Consiglio di Stato sul significato stesso da attribuire al crocifisso.
LA MOTIVAZIONE, che ha salvato il governo italiano dalla condanna inflitta in prima istanza, risiede nel fatto che a parere della Corte non sono stati violati i protocolli 1 e 9 dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che si riferiscono alla libertà di educazione e alla libertà di pensiero, coscienza e religione.
La spiegazione ha un sapore paradossale in presenza dall’atmosfera trionfalistica degli intransigenti cristianisti: perché - così suona il verdetto - l’esposizione del crocifisso è irrilevante, non esercita nessun influsso sugli studenti.
Detto in maniera giuridicamente più forbita, i giudici di Strasburgo sostengono che l’affissione del crocifisso non è accompagnata da indottrinamento confessionale né usata come strumento influire. Di più, rappresenta un “simbolo essenzialmente passivo” e non gli si può attribuire l’influenza di un discorso didattico o di una partecipazione ad attività religiose. Peraltro, aggiungono a Strasburgo, non è accompagnato dall’insegnamento obbligatorio della religione cattolica e non produce una concreta discriminazione nei confronti degli alunni diversamente credenti. Insomma è l’apoteosi della regola (certamente non rintracciabile nel Vangelo ): “Tanto non da fastidio a nessuno”.
Da questa elencazione traspare l’atteggiamento ponziopilatesco della Grand Chambre. Perché come sancì a suo tempo la Corte costituzionale tedesca: nessuno può essere “obbligato” a studiare “sotto” il simbolo del crocifisso. Cioè l’esposizione stessa di un segno - che i giudici tedeschi giudicarono giustamente potente - stabilisce una superiore graduatoria di valore del credo di chi vi appartiene nei confronti del credo religioso o filosofico degli “altri”. Perciò l’aula non connotata non è offesa per nessuna religione, ma rispetto per tutte le coscienze. Come negli Stati Uniti.
Nella sua ansia di rappresentare il crocifisso buonisticamente come innocuo retaggio tradizionale, aperto a tutti, il governo italiano si è spinto però su un terreno scivoloso. L’Italia, riporta la sentenza, ha affermato di permettere il velo islamico in classe - dichiarazione fatta forse a insaputa dei membri leghisti del governo - e ha ricordato che spesso si festeggia il Ramadan in aula e che l’insegnamento delle altre fedi “può essere organizzato negli istituti per tutte le confessioni religiose riconosciute”.
È un boomerang per il governo Berlusconi-Bossi. Perché se continuerà a non riconoscere le comunità islamiche, ci saranno genitori che potranno adire la Corte di Strasburgo lamentando una discriminazione effettiva.
La condanna di Pannella: “Le icone di altri fedeli non si possono esporre”
«Si sono manifestati una sorta di feticismo e il ritorno del tradizionalismo»
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 19.03.2011)
I credenti non dovrebbero rallegrarsi per questa sentenza». Il crocifisso può restare appeso nelle aule delle scuole pubbliche italiane e il leader dei Radicali, Marco Pannella critica l’«impapocchiamento» di Strasburgo secondo cui la presenza in classe di questo simbolo non lede il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni e il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione.
Perché non condivide la sentenza?
«Mi sembra evidente che anche in questo campo siamo ormai passati da una patria europea alla vecchia Europa delle vecchie patrie tradizionali e tradizionaliste. Ciò detto, vorrei far notare che la corte di Strasburgo parte dall’affermazione che non sono provate l’importanza e la funzione dell’esposizione di un importante simbolo di una importante religione su adolescenti e giovani. Quindi credo che ci sia legittimamente da chiedersi perché mai una delle suddette patrie (per conto dell’ideale patria vaticana) abbia sollevato scandalo e rabbiosa opposizione alla precedente sentenza che nel 2009 disponeva la rimozione del crocifisso dalle aule. Mi chiedo sinceramente se un autentico credente cristiano possa essere davvero fiero o felice del fatto che si riconosce a Cesare la possibilità di imporre a tutti i suoi sudditi il massimo simbolo della propria fede con la motivazione che in realtà quel simbolo non comporta alcun effetto su una parte di coloro ai quali è rivolto».
Per il fronte pro-crocifisso è una vittoria a tutto campo?
«La Corte afferma di non aver trovato prove che la presenza di un simbolo religioso in una classe scolastica possa influenzare gli alunni. In sostanza quel che resta è una volta ancora il fatto che si riconosce a Cesare il diritto di imporre (o altrimenti vietare) il simbolo del mistero della fede. Non c’è di che rallegrarsi per i giovani che credono in Gesù Cristo. A patto che i credenti provino (sia pure non più in questa inappellabile sede) che in effetti “Cristo o suoi equivalenti simbolici o storici” debbano ancora manifestarsi nella storia umana poiché per la loro religione il preannunciato avvento sulla terra di Dio non si è ancora manifestato e preghino di conseguenza».
Il crocifisso, definito simbolo passivo, provoca indottrinamento oppure no?
«Si sostiene che la presenza del crocifisso pur conferendo alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico non sia sufficiente a indicare che sia in atto un processo di indottrinamento. E che nel curriculum didattico non esiste un corso obbligatorio di religione cristiana e che l’ambiente scolastico italiano è aperto ad altre religioni. Altri giudicheranno il valore dell’impapocchiamento che connota questo pronunciamento».
Cosa non la convince?
«La corte europea finge di ritenere che concretamente esista nella scuola pubblica italiana il diritto o la facoltà di esibire altri simboli religiosi, per esempio la “Menorah” ebraica. E ciò a prescindere dal fatto che per la stessa Onu vadano riconosciuti pari diritti a religiosità teiste o non teiste. D’altra parte mi si consenta con gravità una battuta: non è questa l’unica manifestazione di una sorte di grave feticismo che attualmente ha per oggetto embrioni o zigoti». [GIA. GAL.]