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Calabria fra ’ndrangheta vuoto, fuochi, veleni, vendette, poteri occulti, tumori e un narratore

Pubblichiamo un estratto d’un racconto del nostro direttore
venerdì 19 novembre 2010.
 

di Emiliano Morrone

Alla luce del sole. La piana si stende alle porte di Crotone, prima del mare. Lo Ionio distante, parato da campi d’industria in disuso. Spazi indecifrabili. Amianto a vista e veleni sparsi. Bonifiche perdute. Appalti interrotti. Politici doppi. Parole. Proclami. Il corso ormai logico del Sud.

Alla luce del sole. I cui raggi abbagliano il mattino e squarciano la terra. Arsa, arida. Cielo blu folle, come dipinto d’anima in pena. Si respira inquietudine e angoscia, puntando cogli occhi i capannoni d’intorno: roba nuova fatta coi patti territoriali, artigianato, ingrosso, accessori, dobermann in guardia e un ipermercato che offende la ragione. Tanti ne sono nati, da queste parti, e più avanti. La Calabria ne è colma. La gente ci passa i weekend, fra mobili e tecnologia, ipnotizzata di fronte a divani telecomandati, schermi al plasma e lavatrici intelligenti.

Degrado e povertà, abbandono e disperazione, commercio e vetrine, sconti e acquisti a rate, il credito al consumo è favorito, disoccupazione alle stelle, da finanziarie sorte come funghi. In bugigattoli di uffici, si vendono ghiotti piani di finanziamento: tre, quattro, diecimila euro li passano a tutti, pronti da spendere con effetto Prozac. La busta paga è un optional. A volte, gli interessi sforano il 35% e li ricevono figuri che scorazzano alla guida di suv Cayenne, invischiati coi «petilini» e i «rocchitäni», che sparano alla testa risolvendo a pallettoni. Pizzo, droga e spedizioni punitive le loro specialità primarie. Robetta, di cui si vanta Rocco, che ha il fratello Antonio in carcere. Dice che «gli sbirri sono figli di una puttanazza», che non capiscono e se la pigliano coi pezzenti. Quadro solito, e per questo creduto normale.

Il magistrato Nicola Gratteri, titolare di tutte le inchieste a San Luca, il paesino in Aspromonte dei Nirta-Strangio e dei Vottari-Romeo-Pelle, legati alla sparatoria di Duisburg, ha più volte significato che la manovalanza sopravvive con la ’ndrangheta, ma non diventa ricca. Il dramma è che non ha alternativa.

In lontananza, due ciminiere sbuffano pigre, quasi impaurite. Anni fa, a Crotone si produceva zinco e fosforo. Alimentavano l’economia della zona. C’era la Montedison, dove la via delle morte, la statale 106, punta al bivio per la città, già sede della scuola pitagorica. Glorie perdute, sepolte da una storia italiana. In superficie tutta peninsulare. Qui l’epilogo è iniziato con la creazione del polo chimico, dismesso ufficialmente perché fuori mercato, caduta la guerra fredda. Ci incassarono sovvenzioni e aiuti i padroni della finanza, sotto l’egida di Mediobanca: Via dei Filodrammatici, Milano, Enrico Cuccia, potere.

La Kroton della Magna Grecia giace in fondo a questo deserto sconcio d’attività finite; a sinistra per chi va a Catanzaro, capoluogo della Calabria e sede d’una procura incappucciata da forze occulte, che a lungo agiranno nell’ombra. Nel silenzio. Tra gli entusiasmi del calcio e delle feste popolari, tipici d’una regione stordita, accecata, persuasa all’ignavia.

Attraversando la zona di Passovecchio, l’odore del sale si mescola ai sapori d’una sopita rabbia collettiva. Due anni fa, nelle piazze calabresi e su Internet incalzava la protesta contro il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Questi avviò il trasferimento del pubblico ministero Luigi De Magistris da Catanzaro. Il magistrato indagava su collusioni nella giustizia in Basilicata, depuratori calabresi ed élite di stampo massonico, con base a San Marino, che avrebbero rubato miliardi di euro provenienti dall’Ue. Oltre al ministro, furono «avvisati» anche il premier Romano Prodi e il deputato Sandro Gozi, suo segretario quando presiedeva la Commissione europea. Il fatto, diventato pubblico, fece perdere tutte le inchieste a De Magistris, mandato a Napoli e privato della funzione investigativa e d’accusa. Il collega Agostino Cordova fu spostato nella stessa procura, dopo aver preteso gli elenchi nazionali della massoneria importante. Aveva turbato ambienti di vertice, pezzi grossi della politica, degli affari, dello Stato. Emergevano, ai tempi, le tangenti nel sistema italiano dei partiti. Allora, Bettino Craxi riparò in Tunisia. Condannato in via definitiva per corruzione e finanziamento illecito, è proclamato statista con la maiuscola.

C’è un banco della frutta, in mezzo alla piazzola che dà sull’ex Montedison. Il traffico è rallentato da un semaforo, all’uscita per Crotone. Fermarsi è d’obbligo. Carmelo, baffi e denti scuri da fumo, ci campa svendendo ortaggi e mandarini della Valle del Neto. Dolci, d’un agro che sfugge al palato. Di fianco un furgone mezzo scassato. Beige.

Noto, sul parabrezza, una figurina di Tardelli ai mondiali di Spagna. Faccia grintosa. Accanto, l’immagine di san Pio da Pietralcina, con scritto in basso «Ovunque proteggimi». Dallo specchietto retrovisore, pende una coroncina del rosario. Grani di legno, è bella, insolita. Vicina la foto d’un bimbo, tenuto in braccio da una donna e, tipo collage, lo scudetto della nazionale tedesca. Mi faccio un’idea, mentre imbusta una lattuga a un signore che si porta due uova. Un vento leggero quasi mi estranea. Mi parla, Carmelo, e io manco. Rabbia e immaginazione m’hanno allontanato. Un attimo: penso al suo passato, forse all’estero, magari da pizzaiolo. «Eri a Perfidia, l’altra sera. La seguo». Lo dice come a un amico. Mi riprendo e confermo d’aver partecipato alla trasmissione, in onda sull’emittente locale Telespazio. «Mia figlia abita a Lampanaro, e io ho fatto la Germania trent’anni». Lo interpreto come un lamento, l’inizio d’una confidenza. Ha bisogno di sfogarsi. Può essere che dal mio sguardo abbia colto una disponibilità all’ascolto. Perfidia ha trattato dei rifiuti tossici a Crotone: trecentocinquantamila tonnellate con cui hanno costruito case, scuole, piazze, banchine. Loro. Con le loro mani, i loro permessi, la loro coscienza. Poi, ha mostrato famiglie che vivono nel quartiere popolare della figlia di Carmelo, ammassate come i senegalesi nelle palazzine del Nord, florido e diviso. La gente s’è barricata in casa, all’arrivo delle telecamere. Disprezzo per l’altro, forse; per il mondo finto della tv, che non racconta mai abbastanza: l’assassinio di Luca Megna, 37 anni, colpito con la moglie e la figlia di cinque anni; l’uccisione di Giuseppe Cavallo, 27 anni, vittima d’un agguato mentre si trovava in compagnia della moglie, ferita, e della figlioletta; la triste fine di Francesco Capicchiano, l’età di Cristo, freddato mentre camminava. Tre morti in cinque giorni. Uomini di quale onore? - La gloria di Andy Wharol: qualche minuto di popolarità per l’etere; «tre metri sotto terra».

La famiglia Capicchiano, secondo gli investigatori, per alcuni anni rivaleggiava cogli Arena, di Isola Capo Rizzuto, tra le più potenti cosche della ’ndrangheta. Nell’ottobre del 2004, nella cittadina, a due passi da Crotone, fu ucciso il boss Carmine Arena. Un colpo di bazooka gli aprì in due la blindata su cui viaggiava. Un boato pazzesco. Nessuna possibilità d’errore. Chissà che cosa avrà pensato il killer, dopo aver lanciato il razzo al nemico, che forse neppure conosceva? Un lavoro di precisione. Da specialisti. Sangue freddo. Né tremori né aritmie, tentennamenti, scrupoli, catechismo. La guerra è guerra, punto.

Sei colpi di lupara, l’anno prima: li spararono contro il mio giornale, il Crotonese. Forse un avvertimento per Domenico Policastrese, costantemente minacciato per i suoi servizi sulle «armate». Spesso il direttore, Domenico Napolitano, tiene d’apertura «Ucciso», in prima pagina. Aggiunge semplicemente il nome del giustiziato. Una volta Arena, poi Dragone, Comberiati, Bruno, Garofalo, Ierardi e così all’infinito. La stampa vera fatica. Antonio Anastasi, cronista di nera di Il Quotidiano della Calabria, fu bastonato, una sera, dopo il turno al giornale. Nessuno vide.

Carmelo si rincuora: «Mo’ si l’hannu ’i viri’ cu ’a giustizia.» Dice che Lampanaro è una vecchia questione. «Pertusola ci speculava; addimmanna aru procuratore, e bidi chi ti rispunna.» Gli importa che paghino i responsabili, perché non si ripetano assurdità dello stesso genere. Poi, vorrebbe che lo Stato trovasse un’altra sistemazione a quei disgraziati del quartiere, che s’ammalano di tumore. Gina, la figlia, è una ragazza madre. Parlava solo tedesco, quando tornò a Crotone, alle scuole medie. Sua mamma morì per un cancro polmonare. Lavorò diciassette anni in un colorificio bavarese. Non sopportò la chemioterapia, fa capire, toccato, Carmelo. Le diagnosticarono il male poco prima di rientrare in Calabria, dove sembrava che ci fossero buone prospettive occupazionali. Ma il sogno di vivere a casa propria fu stroncato dal lutto; imprevisto, ingiusto, beffardo. La festa si trasformò in tragedia. Seppellirono la signora nel cimitero di Crotone. La famiglia lasciò la Germania, che pure era stata prodiga, generosa, sostituendosi alla Calabria, matrignesca e fatale. Gina, racconta Carmelo, restò incinta a quattordici anni. S’era fidanzata con Mimmo, che aiutava il padre in officina e zitto zitto frequentava picciotti col mito di “Zu” Luigi, detto “U Zirru”. Nel 1974, “Zu” Luigi, capo della famiglia Vrenna-Bonaventura-Corigliano, venne arrestato per aver ordinato l’omicidio di due bambini, figli di Umberto Feudale, “U Petruliaru”; vendicando così l’assassinio del figlio, Calogero Vrenna, da questi investito con la propria auto dopo avergli sparato...


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