SANITÀ: MESSAGGIO A TUTTI CONCITTADINI DI SAN GIOVANNI IN FIORE, AL DI LÀ DI DESTRA E SINISTRA
di Emiliano Morrone *
Ho già scritto sull’idea di utilizzare un’ala o un’area dell’ospedale di San Giovanni in Fiore per assistere pazienti Covid non gravi. La previsione, stando alle carte, è di attivare a riguardo una ventina di posti dedicati. Pare che l’Asp di Cosenza sia già passata alla fase attuativa. Così fosse, occorrerebbe sapere con quali garanzie, con quale personale e con quali strumenti, posto che sarebbe inaccettabile - lo dico intanto alla commissaria, Cinzia Bettelini - interrompere o ridurre l’attività della Medicina e delle altre unità operative all’interno dello stesso ospedale. Da ultimo ho anche sentito un medico e professore universitario, che ha posto nel merito alcune questioni dirimenti, da me riassunte per come ricevute. Se volete approfondire, potete leggere il mio post di stamani.
Torno sull’argomento per chiarire alcuni punti, poiché diversi lettori mi hanno scritto in proposito.
Primo: non ho ruoli di rappresentanza e mi limito, da giornalista, a dare un umile contributo di informazione a beneficio della mia comunità di San Giovanni in Fiore. Non prendo soldi per aggiornarvi sulla sanità locale (e regionale), non ho interessi personali e credo che ciascuno possa fornire elementi utili al dibattito specifico, di chiaro interesse pubblico. Non è la prima volta che mi occupo dei servizi sanitari locali. Peraltro ai temi della sanità calabrese ho dedicato, per mestiere, una certa attenzione. Non sono un eroe né aspiro ad esserlo. Lascio ai banditori della tv questo compito remunerativo. A me piace dedicare parte del tempo libero per ben altro lavoro, possibilmente di concreta utilità collettiva. Ribadisco: non ci guadagno denaro, fama o pubblicità. L’informazione ha un ruolo essenziale, soprattutto in una regione come la Calabria, specie oggi. Allora cerco di fare la mia parte, anche perché vivo nel territorio. Pertanto non posso restare a guardare né riesco ad ignorare i fatti, le loro dinamiche e il contesto presente e passato.
Secondo: è affare della politica, dunque degli eletti, raccogliere le informazioni che ho pubblicato sul progetto del Covid hospital a San Giovanni in Fiore. Essa può ignorarle, ritenerle fuori luogo oppure, viceversa, può prenderle in considerazione, discutere delle criticità rilevate e convergere o meno sulle soluzioni da portare ai vari tavoli di confronto; anche su quelle volte al rilancio complessivo dell’offerta sanitaria locale. Da tempo ne ho indicato diverse, sentiti vari esperti in materia sanitaria.
Terzo: se non abbandoniamo la tifoseria politica e se non rinunciamo ai pregiudizi, non otteniamo un tubo. Anzi, facciamo danni. Qui occorre concentrarsi sulle azioni, ragionarci a modo e non cedere alla fretta dell’era virtuale o alla tentazione del consenso.
Quarto: se ancora non si fosse capito, con le centinaia di casi positivi e con le gravissime carenze del sistema sanitario regionale, ci troviamo, anche a San Giovanni in Fiore, in una difficoltà inedita, pesantissima. Il futuro si annuncia incerto e insidioso, sia per la tutela della salute che per l’economia. Infatti non è possibile prevedere con certezza l’evoluzione dell’epidemia né il comportamento del virus. Possiamo soltanto rispettare le misure di contenimento dei contagi e proporre, uniti, una valida organizzazione dei servizi; spero con intelligenza, con metodo e senza caciara o il brutto vizio del protagonismo, purtroppo a lungo di moda. Ancora non esiste un vaccino ufficiale e sicuro, sicché sono fondamentali la cautela, la responsabilità individuale e il senso di comunità, nel dolore come nella speranza e nell’impegno comune.
Quindi chiedo ai miei concittadini, in cui confido molto, di remare nella stessa direzione. Dobbiamo risollevarci tutti. Ora o mai più.
* Facebook : Emiliano Morrone, 24.11.2020
SANITÀ,
APPELLO AI SANGIOVANNESI (E A TUTTI I CALABRESI):
BASTA ERRORI, SITUAZIONE DRAMMATICA
di Emiliano Morrone *
Non è il momento delle accuse, dei veleni, del tifo e della propaganda. Non c’è più tempo né campo per lo scontro politico, gli attacchi e il protagonismo, qualunque ne sia la bandiera, la matrice, l’obiettivo. San Giovanni in Fiore e tutta la Calabria devono guardare in faccia la realtà, drammatica per tutti. Siamo sulla stessa barca e non possiamo permetterci nuovi errori, leggerezze e deliri contagiosi.
I casi positivi hanno superato l’immaginabile: sono ben oltre 400 nella «Capitale della Sila», sommando quelli ufficializzati dall’Asp di Cosenza e quelli accertati dai laboratori privati. Ma potrebbero essercene molti altri, nascosti dall’abilità del virus di camuffarsi, ingannare, infettare e colpire all’improvviso. Dobbiamo, per quanto possibile, proteggere i più deboli, intanto gli anziani e i bambini. Perciò vi sono due soluzioni: stare a casa propria e uscire solo per necessità; abbandonare i pregiudizi e inquadrare la situazione, di massima allerta senza precedenti. Anche per gli interventi di solidarietà e assistenza, giusti e sacrosanti, occorrerà cautela assoluta.
Siamo disarmati, in una guerra che non riconosciamo come tale, che davamo per vinta a causa dei messaggi sballati dei mesi scorsi, figli di una “politicizzazione” della pandemia, del disordine mediatico, di certe teorie del complotto e delle giocate quotidiane all’“Allegro statista”, che ci hanno incollato al pc (o al telefonino) durante e dopo il primo lockdown.
Nel contesto la confusione nei Palazzi e il «fai da te» sui territori si sono moltiplicati all’impazzata. Così ministri, presidenti di Regione, sindaci, dirigenti sanitari, commissari e delegati - perfino senza titolo - hanno spesso agito d’istinto e non di rado a fasi lunari: senza un coordinamento stabile sui dati e i fabbisogni e, nonostante il dettato della Costituzione in tema di profilassi internazionale, senza la regia fissa dello Stato. Ciò è avvenuto a discapito della chiarezza e dell’uniformità delle misure di contenimento.
Il Servizio sanitario calabrese non può, per quello che è, fronteggiare a modo l’epidemia in atto. Molti malati cronici non riceveranno le cure necessarie. Il sistema è vicino al collasso: ospedali, sanitari e unità operative sono sotto enorme stress, tanti reparti si tanno dedicando al solo Covid, gli organici sono più che insufficienti, i mezzi disponibili ancora pochi e le direttive alquanto carenti, specie per i medici e le terapie di base. Inoltre, in Calabria ci troviamo nel bel mezzo di una Babele istituzionale, amplificata da tg e servizi in onda e pagina. Nell’emergenza mancano il capitano e la rotta. E perfino l’equipaggio sanitario è decimato dal Covid, già ridotto dal blocco - anche dovuto a una schizofrenia del Tavolo di verifica degli adempimenti del Piano di rientro - delle assunzioni, che speriamo il parlamento rimuova, senza indugi, nella conversione del secondo «decreto Calabria».
Nel quadro complessivo, la recente trasferta a Roma dei sindaci appare tardiva e piuttosto inutile, perché da marzo 2020 sono trascorsi otto mesi senza il previsto aumento del personale sanitario e delle terapie intensive; senza l’attuazione del Piano Covid; senza l’acquisto di un congruo numero di macchine per processare i tamponi e mantenere il tracciamento; senza l’attivazione delle Usca programmate e di plessi dedicati; senza nuovi medici, infermieri e Oss a tempo indeterminato. Per non parlare delle scuole, qui tralascio per brevità la storia dei banchi a rotelle, molte delle quali non sono state adeguate con i soldi mandati dal governo per l’edilizia leggera e l’affitto di spazi alternativi.
Se quanto riassunto è vero, e lo è, senza l’incremento di personale e strumenti dovremmo abbandonare l’idea, foriera di grandi entusiasmi, di trasformare un’ala dell’ospedale di San Giovanni in Fiore (o di altro posto) in Covid hotel. Se la sposassimo acriticamente e a furor di social, potremmo trovarci presto a scongiurare ulteriori contagi, per di più nel periodo di punta dell’influenza stagionale. Bisogna invece muoversi per riqualificare il presidio ospedaliero nostrano e l’assistenza territoriale. Con una proposta unitaria e convincente, con la forza e la determinazione di una comunità (montana e periferica) che finora ha soltanto subito per colpa dell’opportunismo e della compiacenza di larga parte della vecchia politica.
È triste da scrivere, ma allo stato dobbiamo barricarci in casa, chiedendo ai rappresentanti di ogni livello che non ci sia più quella sovrapposizione di poteri che, insieme all’attendismo generale e a una diffusa voglia di apparire, ha confermato la debolezza del sistema politico e sanitario della Calabria, come la nostra incapacità, purtroppo cronica, di tutelare uniti il diritto alla salute. Il più importante per la ripresa dell’economia e della formazione scolastica, in una regione in cui la ’ndrangheta e il malaffare proliferano grazie alla miseria, all’ignoranza e alle connivenze, non soltanto mafiose.
IL SUD GIÀ E NON ANCORA/ Il vero dramma che rende i giovani felici di andarsene
Come dice Baldessarro, il dramma del Sud non sono più i suoi figli che se ne vanno. Il dramma vero del Sud è che sono felici di andarsene
di Emiliano Morrone (Il sussidiario, 29.09.2019)
Il Sud non fa più notizia né questione, in primo luogo la Calabria. I media replicano “l’effetto Duisburg”, l’eco dell’orrore, quando in una provincia meridionale si sparge sangue oppure per casi di lupara in Emilia, Lombardia, Liguria, nei “ghetti” del centro Italia riservati ai collaboratori di giustizia. La ribalta della cronaca dura un attimo, poi tutto procede come sempre. È una costante della società 2.0: dello spettacolo, delle emozioni sul dolore altrui.
In questa dimensione di apparenza, priva di spessore, memoria e discernimento, le mafie sollevano la politica dalla responsabilità del divario del Mezzogiorno dal Nord produttivo; divario intanto economico, di diritti, occasioni. La colpa è soltanto dei boss, dei loro apparati di morte. Questa è la vulgata dominante, mentre si mescolano la paura e la rassegnazione popolare alla punta dello Stivale.
In Calabria due aziende sanitarie provinciali su cinque sono state sciolte per infiltrazioni e perciò commissariate: a Reggio e Catanzaro, con la probabilità che la stessa sorte tocchi a quella di Cosenza. Tanto basta per dimostrare l’interesse, la presenza, il pugno dello Stato in un territorio di antichi affari e commistioni, di irrisolti che hanno prodotto carriere politiche folgoranti, acuito fenomeni letterari e amplificato personaggi e clamori televisivi.
Eppure c’erano dati, elementi raccapriccianti: l’Asp di Reggio Calabria non aveva - e non ha - un bilancio certo; assurdo ma vero. Da lì sparirono quasi 400 milioni di euro senza tracce, in un contesto blindato dal vecchio patto tra imprenditoria spregiudicata, colletti bianchi e “uomini d’onore”. L’Asp catanzarese aumentava il disavanzo, mentre Lamezia Terme, con aeroporto e ospedale strategici, si preparava all’ennesimo, prevedibile scioglimento del Consiglio comunale, al tracollo della società di gestione dei servizi aeroportuali e al collasso repentino dei “reparti” sanitari, accompagnato dall’annessione forzosa del nosocomio locale alla nuova azienda ospedaliera di Catanzaro.
I commissari del governo e i ministeri vigilanti (Economia e Salute) conoscevano bene i livelli della degenerazione, ma Roma era - e rimane - lontana come Bruxelles; tolti gli inutili, stucchevoli protocolli di intesa per la legalità e le misure palliative tipo “Garanzia giovani”, valsa a trasformare in questuanti i giovani laureati, a perpetrare promesse e ricatti di un’immarcescibile classe politica.
Oggi in Calabria, l’area più martoriata del Sud, le Regionali si preparano con calcoli e strategie anni ’70, prove di puro mauqillage e contrattazioni a porte chiuse. Nella cantina dell’oblio restano fuori di ogni confronto, sepolte dalla polvere, tante priorità di questa terra: la creazione di lavoro dignitoso, l’incremento indispensabile della quota parte del Fondo sanitario, l’esigenza di ridurre la diaspora dal territorio, di rinverdire e controllare la burocrazia regionale, di rivedere il costo del denaro e l’accesso al credito, di prevedere vantaggiosi sgravi per le imprese, di rilanciare sul serio il porto di Gioia Tauro e il sistema aeroportuale, di collegare università e aziende locali.
La ‘ndrangheta prospera nella povertà, di cultura e di economia. Come ha osservato il giornalista Giuseppe Baldessarro, «il dramma del Sud non sono più i suoi figli che se ne vanno. Il dramma vero del Sud è che sono felici di andarsene».