di Giuseppe D’Avanzo (la Repubblica, 06.10.2009)
Leggete con attenzione queste parole. Le diffondono nel primo pomeriggio i presidenti del gruppo del Popolo della Libertà alla Camera e al Senato, come dire la maggioranza politica che governa il Paese. Due i presidenti e due i vicari. Si chiamano Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello e Italo Bocchino. Ricordate questi nomi ché parlano e gridano come oche in Campidoglio nel nostro interesse, a difesa della nostra democrazia. Ecco che cosa dicono e di che cosa, preoccupatissimi, avvertono gli italiani: «Mentre il governo Berlusconi affronta la realizzazione degli impegni assunti con gli elettori, si tenta di delegittimarne l’azione. Siamo certi che questo disegno non troverà spazio nelle istituzioni. Gli attacchi ci portano ad assicurare che in Parlamento, così come nel Paese, il centro destra proseguirà la politica del fare e del governare che nessun disegno eversivo potrà sconfiggere».
Disegno eversivo, addirittura. Bisogna drizzare le antenne, essere vigili, accidenti. Accade qualcosa di imprevisto, inimmaginabile e potenzialmente pericoloso e noi che ce ne stiamo qui, sciocchini, a pensare che il Tg1 di Augusto Minzolini sia una sventura per l’informazione e l’opinione pubblica.
La faccenda deve essere terribilmente seria se una maggioranza forte di sovrabbondanti numeri parlamentari, sicura nel consenso popolare e gratificata dall’obbedienza di un establishment gregario perché fragile, decide di lanciare un allarme di questo genere.
Disegno eversivo. Viene da immaginare che le forze armate (chi? l’Arma dei carabinieri? l’Esercito? l’Aeronautica o la Marina?) fanno sentire un minaccioso ukase nel Palazzi del governo, sul collo dei ministri il peso della sciabola. O che truppe armate (russe, tedesche?) si preparano a violare i confini nazionali con la complicità di traditori della Patria o formazioni rivoluzionarie stiano guadagnando dai monti le vie che portano a Roma, alla Capitale. Viene in mente, in questo pomeriggio nero, che già al mattino il Brighella che dirige il giornale del capo del governo, ci ha avvertito: c’è un golpe in atto, e noi - maledetti - che non lo avevamo preso su serio, come sempre.
Golpe, disegno eversivo. Che diavolo accade, che cosa non abbiamo visto, intuito, compreso? Deve essere proprio vero che l’Italia è in pericolo come mai, se anche il capo del governo, Silvio Berlusconi, l’Egoarca, proprio lui, dice: «Sappiano comunque tutti gli oppositori che il governo porterà a termine la sua missione quinquennale e non c’è nulla che possa farci tradire il mandato che gli italiani ci hanno conferito». L’uomo che comanda tutto vuole dirci - sia benedetto - che non mollerà, che qualcuno vuole levarselo di torno con mezzucci illeciti e antidemocratici, addirittura con la violenza, ma lui - statista tutto d’un pezzo - non gliela darà vinta. L’affare è serio, non c’è dubbio. Interviene anche l’amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani (e non è questo un segno che la democrazia è in pericolo?) per avvertire che «si vuole colpire Silvio Berlusconi».
Conviene svegliarsi, mettersi al lavoro e cercare di capire che cosa minaccia l’Italia, la democrazia, il governo legittimamente eletto dal voto popolare. I quattro dell’apocalisse che dirigono in Parlamento il Popolo della Libertà offrono una traccia: «I contenuti di una sentenza che arriva venti anni dai fatti rafforza l’opinione di quanti pensano che si sta tentando con mezzi impropri di contrastare la volontà democratica del popolo italiano». È una sentenza allora la minaccia per la democrazia? Sì, dice l’Egoarca «allibito»: «È una sentenza al di là del bene e del male, è certamente una enormità giuridica». Sì, dice il boss della squadra rossonera: «È assurdo ipotizzare che vi siano stati comportamenti men che corretti di Fininvest e Berlusconi».
Che cosa avrà mai deliberato questa sentenza? Il carcere per l’Egoarca? Il suo esilio dal Paese che governa? L’interdizione dal pubblico ufficio cui lo hanno chiamato gli italiani? Leggere la sentenza, allora, per capire chi sono i golpisti, dove si nasconde la minaccia per la nostra democrazia. Prima sorpresa. È una sentenza civile e si tira un sospiro di sollievo perché le motivazioni di un giudice monocratico, appellabili e dunque soltanto primo momento di una controversia tra due soggetti privati (Berlusconi, De Benedetti), non può rappresentare un rischio né per la democrazia né per il governo.
Che c’entra il disegno eversivo? Come può essere quella decisione - peraltro non definitiva - addirittura un golpe? E che diavolo ci sarà mai scritto in quella motivazione di 146 pagine che lascia «allibito» l’uomo che comanda tutto? Di Berlusconi si parla in quattro pagine, 119/122. Quel che si legge, lo si può riassumere in pochi punti.
1. Berlusconi fino al 29 gennaio 1994 è stato presidente del consiglio di amministrazione della Fininvest. Indiscutibile, come è indiscutibile che a quella data non era né capo partito né parlamentare né capo del governo. Era soltanto un imprenditore che cura i suoi affari. Come li cura, lo si legge al punto due.
2. Un suo avvocato - suo, di Berlusconi - corrompe il giudice per manipolare una sentenza che consente alla Fininvest di acquisire la Mondadori. L’incarico all’avvocato corruttore lo assegna Berlusconi?
3. Berlusconi, per certi inghippi legislativi che qui è inutile ricordare, deve rispondere non di corruzione in atti giudiziari, ma di corruzione semplice. I giudici decidono di concedergli le attenuanti (è diventato presidente del Consiglio e sembra tenere la retta via: merita riguardo) e, fatti due conti, concludono di «non doversi procedere» contro Berlusconi: «Il reato è estinto per intervenuta prescrizione».
4. Berlusconi non ci sta. Vuole il «proscioglimento nel merito». Chiede che si dica: è innocente. La Cassazione gli dà torto: no, se guardiamo le prove che abbiamo sotto gli occhi, non c’è alcuna evidenza della tua innocenza. Ora, Berlusconi potrebbe rinunciare alla prescrizione. Non lo fa. Si accontenta di essere il «privato corruttore» che, con la complicità dell’avvocato, ha comprato la sentenza.
5. Ragiona ora il giudice civile. È dimostrato che i soldi della corruzione provengono da conti della Fininvest, dove è apicale la posizione di Berlusconi. È «normale» e «ordinario» credere che un bonifico di quella entità (3 miliardi), utilizzato per la corruzione, possa essere inoltrato solo se chi presiede alla compagine sociale l’autorizzi. Questa prova si chiama presuntiva e il giudice scrive: «La prova per presunzioni nel processo civile ha la stessa dignità della prova diretta» e giù - nelle motivazioni - sentenze delle Sezioni unite della Cassazione. Conclude il giudice: «Silvio Berlusconi è corresponsabile della vicenda corruttiva». Ha ragione o torto, lo si vedrà con il tempo.
Questi i fatti e le parole che coinvolgono Berlusconi, uomo di affari che cede all’imbroglio per averla vinta, nella sentenza che condanna la Fininvest a un risarcimento di 750 milioni di euro a favore della Cir di Carlo De Benedetti. Ora non si comprende come l’accertamento di ragioni giuridiche tra due privati e la decisione di un giudice possano compromettere la nostra democrazia e far gridare al golpe. Soprattutto perché sono soltanto privatissimi fatti loro - di Berlusconi e De Benedetti - e non nostri.
Non c’è alcun interesse pubblico in questa storia. Di pubblico ci deve essere soltanto la preoccupazione di chi vede trasformare gli affari dell’Egoarca, condotti negli anni precedenti all’avventura politica con metodi malfamati - in questione politica. Di pubblico ci deve essere soltanto l’allarmata conferma che Berlusconi trasfigura in affare nazionale i suoi affari privati con un’ostinazione che, da un lato, gli impedisce di governare con credibilità e, dall’altro, gli consente di sovrapporre la sua sorte personale al destino del Paese.
Come se l’Italia fosse Berlusconi e la sua ricchezza, il suo portafoglio fossero la nostra ricchezza e il nostro portafoglio. Questa sciocchezza la possono riferire i quattro corifei dell’Egoarca, che non temono il ridicolo, o scrivere i Brighella dell’informazione di regime, che ha quotidiana confidenza con la menzogna, ma a chiunque è chiaro che il grido contro l’inesistente disegno eversivo è soltanto l’ultimo abuso di potere di un capo di governo che crede di essere il proprietario del Paese.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
intervista a Stefano Rodotà
«È stata la risposta più responsabile a una sfida eversiva»
a cura di Natalia Lombardo (l’Unità, 17 agosto 2010)
«Conosco Napolitano, per aver fatto quella nota vuol dire che è arrivato proprio al colmo dell’indignazione », commenta il giurista Stefano Rodotà.
Ci può spiegare in quali casi si applica l’articolo 90 della Costituzione?
«Nel caso di attentato alla Costituzione, un caso estremo che hanno preso in considerazione i padri costituenti, prevedendo una procedura precisa: è il Parlamento che incrimina il presidente della Repubblica, con una maggioranza qualificata. Una tale situazione determina una crisi costituzionale. Ma vediamo i dati di realtà: c’è una contrapposizione insistita, non del Capo dello Stato verso il presidente del Consiglio, ma, al contrario, un attacco del premier contro il presidente della Repubblica. Già il giorno prima dell’aggressione al Duomo di Milano, Berlusconi parlando ai Dc attaccò Napolitano e la Corte Costituzionale. Quelli contro la Consulta, con toni ignoranti della funzione e della composizione, sono proseguiti; quelli personali a Napolitano sono stati meno plateali ma sono continuati».
Fino a questi ultimi giorni, con l’intervista a l’Unità...
«Infatti, Berlusconi non ha parlato esplicitamente, ma di fronte a certe dichiarazioni da esponenti della sua maggioranza, un presidente del Consiglio che abbia il senso delle istituzioni e dello Stato sarebbe dovuto intervenire. Ecco che torniamo all’articolo 90: l’irresponsabilità politica del presidente della Repubblica esige che, di fronte agli attacchi, sia il governo a coprirlo. Ora non solo questo non avviene, ma gli attacchi vengono dal governo. Tutto ciò ci porta a una situazione eversiva, quindi è del tutto comprensibile la nota di Napolitano: un atto di grande responsabilità, di rispetto delle istituzioni e della persona. Di fronte a un tentativo eversivo il Capo dello Stato deve mettere ognuno di fronte alle sue responsabilità. E lo ha fatto».
I precedenti di impeachment in Italia?
«L’unico fu quello di Cossiga, io ero in Parlamento e sottoscrissi la richiesta di un dibattito parlamentare. Era nato dagli attacchi continui che lui portò alla Costituzione».
Il Pdl, non solo Bianconi, sostiene che valga di più una«costituzione materiale », il dettato della Carta superato dalla prassi, e su questo attaccano Napolitano. Da giurista cosa ne pensa?
«Per il fatto che Napolitano abbia dato l’incarico a Berlusconi dopo che ha vinto le elezioni? Ma si è sempre fatto così, non poteva non farlo. Il cambiamento c’è stato nella legge elettorale, ma la nostra resta una Repubblica parlamentare. Lo stesso Napolitano ha ricordato più volte che i cambiamenti avvenuti non sono arrivati al punto da trasformare la Repubblica parlamentare in presidenziale, o con un regime plebiscitario per cui l’investito dal popolo è sottratto alla fiducia parlamentare. Non basta infatti l’incarico dal Quirinale, il presidente del Consiglio deve avere la fiducia dal Parlamento. Riassumendo: l’articolo 90 è quello che è, la situazione vede il tentativo di delegittimare Napolitano quando il premier avrebbe dovuto difenderlo: tutto questo rivela la volontà di spazzare il terreno, eliminare il controllo da parte dei due massimi organi custodi della legalità costituzionale: il Capo dello Stato e la Consulta».
Pdl e Lega gridano al «golpe» nell’ipotesi di un governo tecnico.
«Se con le dimissioni di Berlusconi Napolitano sciogliesse subito le Camere, senza verificare se può esserci un’altra eventuale maggioranza, questo sì incrinerebbe il tessuto costituzionale, perché attribuirebbe al presidente del Consiglio un potere che non ha. Non siamo in Inghilterra. Napolitano ha fatto questo tentativo alla caduta del governo Prodi, Scalfaro lo fece con Berlusconi stesso nel ‘95 e lì si trovò un’altra maggioranza».
Berlusconi lo chiama «ribaltone».
«Fu un Parlamento, non un’assemblea, a sostituire un governo con un altro. E la scelta di Dini da parte di Scalfaro era avvenuta sulla base dell’indicazione di Berlusconi stesso, che allora riconosceva la legittimità di queste procedure che ora rifiuta. Tra l’altro Napolitano ha fatto notare la gravità di una crisi interna e internazionale, quindi sarebbe una forzatura sciogliere le Camere in presenza di un’altra maggioranza. Se poi questa non c’è allora è inevitabile. Insomma,il discorso va ribaltato »
Dall’opposizione reazioni dure ma il Pd annuncia: "Non chiederemo le dimissioni"
Il Pdl fa quadrato attorno al premier. Bossi: "Niente elezioni anticipate. Andremo avanti"
Di Pietro: "Berlusconi vada a a casa"
Pd: "Tutti uguali davanti alla legge"
Il Quirinale: "Napolitano imparziale, sta dalla parte della Costituzione"
ROMA - Antonio Di Pietro non lascia spazio a mezze misure: "Berlusconi vada a casa". Dario Franceschini è soddisfatto perché la sentenza dimostra che anche il presidente del Consiglio "è un cittadino come gli altri", mentre Umberto Bossi si stringe attorno al premier: "Escludo il ricorso ad elezioni. Andiamo avanti, noi non ci pieghiamo". Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il Lodo Alfano, dalla maggioranza e dall’opposizione si alzano reazioni contrastanti.
Quirinale respinge sospetti di imparzialità. Ma sono le parole di Berlusconi pronunciate contro l’imparzialità del presidente della Repubblica ("Il capo dello Stato sapete da che parte sta"), che provocano la reazione indignata del Quirinale: "Tutti sanno da che parte sta il presidente della Repubblica", è scritto in una nota del Colle. "Sta dalla parte della Costituzione, esercitando le sue funzioni con assoluta imparzialità e in uno spirito di leale collaborazione istituzionale".
Italia dei Valori: "Dimettiti". Dure anche le parole dell’Italia dei Valori che rivendica la lunga battaglia sostenuta dal partito contro la legge: "Lo abbiamo detto subito anche al capo dello Stato", ripete Antonio Di Pietro. "La legge era uno scempio di incostituzionalità e immoralità. Berlusconi la smetta di fare leggi a proprio uso e consumo, e si dimetta. E’ letteralmente matto".
Il Pd. Soddisfatto della sentenza Dario Franceschini, segretario del Pd, convinto che la sentenza della Corte ribadisce "il principio dell’uguaglianza. Non ci possono essere eccezioni", spiega. "Tutti sono uguali davanti alla legge, anche i potenti". E il compagno di partito Pierluigi Bersani, candidato alla segretaria del Pd, avverte: "Che adesso il premier rispetti le parole dei giudici". Ma niente dimissioni. Il Pd, a differenza degli alleati dell’Italia dei Valori e della Sinistra radicale, non chiederà la crisi di governo.
"La sentenza - ha detto il presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro - è espressione della forza della Costituzione e dell’indipendenza della Corte", e Massimo D’Alema, osserva: "E’ sbagliato trarre conseguenze politiche. I governi cadono se manca la maggioranza, non per una sentenza". E Piero Fassino si scaglia contro Berlusconi che accusa Napolitano di imparzialità e la Corte di essere composta da "giudici di sinistra": "Berlusconi si difenda nei processi e non trasformi un suo problema, in un problema del Paese’’. "Inaccettabili" le parole che Berlusconi ha riservato a Napolitano, anche per Dario Franceschini e il suo predecessore Walter Veltroni: "Irresponsabili attacchi che vanno respinti. Il presidente Napolitano svolge il suo ruolo di garanzia in modo ineccepibile".
Anche l’Udc ritiene che la sentenza non debba avere conseguenze politiche ma "deve essere rispettata": "In questo paese c’è scarsa attitudine a rispettare le sentenze. Il governo - ha detto Pier Ferdinando Casini - deve continuare a occuparsi dei problemi degli italiani che vengono prima di quelli Berlusconi’’.
Intanto una trentina di rappresentanti di Sinistra e Libertà si è riunita davanti Palazzo Chigi per un sit-in. Alzano cartelli con scritto: "E adesso fatti processare". In piazza Paolo Cento, Grazia Francescato, Gennaro Migliore e Giuliana Sgrena.
Bossi: "Niente elezioni anticipate". Fa quadrato attorno a Silvio Berlusconi invece il centrodestra. A cominciare dall’alleato Umberto Bossi convinto che il presidente del Consiglio non mollerà: "E’ forte e deciso a combattere". E a chi gli domanda se la sentenza preannuncia elezioni anticipate, Bossi risponde deciso: "Ho parlato con Berlusconi. Neppure lui vuole le elezioni anticipate. Andiamo avanti, non ci piegano".
Ne è convinto anche il ministro delle Politiche Ue Andrea Ronchi, che invita il partito "a concentrarci ancora di più sulle prossime elezioni regionali, che ora avranno una maggiore valenza politica". E Jole Santelli, Pdl, vicepresidente della commissione Affari Costituzionali, avverte: "La Corte Costituzionale contraddice sè stessa".
Solidali a Berlusconi, anche il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo ("Quella della Consulta è una sentenza politica"); il collega di governo Luca Zaia, ministro dell’Agricoltura ("Il governo si rafforzerà"); quello dell’Istruzione Mariastella Gelmini ("La Consula non è più un organo di garanzia"), e il ministro della Gioventù Giorgia Meloni ("Ho il sospetto che i giudici si siano espressi secondo le indicazioni dei partiti"). Nessun commento ufficiale invece da Gianfranco Fini, presidente della Camera, anche se fonti parlamentari del Pdl assicurano che, in una lunga conversazione telefonica con il premier, Fini ha ribadito che "la maggioranza è solida e si va avanti".
Dai costituzionalisti Oscar Luigi Scalafo, già presidente della Repubblica, e Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, commenti più "tecnici". "Non mi interessa il caso personale - ha detto Scalfaro - quello che conta è che la Corte abbia fatto il suo dovere e abbia difeso la Costituzione". "Il nostro sistema costituzionale funziona", sono state le parole dell’ex presidente della Corte. "I giudici non si sono fatti condizionare dal clima di drammatizzazione costruito attorno al caso".
* la Repubblica, 7 ottobre 2009
Il Times sugli avvocati del premier "Come il doppio pensiero di Orwell" *
ROMA - "Un interessante esempio di ’doublethink’ (il "doppio pensiero" di Orwell, ndr) legale": così il quotidiano britannico The Times definisce in un editoriale l’arringa difensiva degli avvocati del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi davanti alla Corte Costituzionale, nella quale si afferma che la legge è uguale per tutti, ma non la sua applicazione.
Nel suo breve editoriale il Times nota come per i sostenitori di Berlusconi l’offensiva contro il Lodo Alfano "fa parte di un diabolico complotto", tuttavia "nessun cospiratore costrinse Berlusconi a recarsi al compleanno di Noemi Letizia" o a frequentare Patrizia D’addario, e "le accuse di corruzione che potrebbe dover affrontare se l’immunità venisse revocata sono conseguenza delle sue azioni, dato che i giudici pensano che abbia violato la legge".
* la Repubblica, 7 ottobre 2009