[...] Intanto si sono chiuse le liste per le europee. Il deputato Pd Roberto Giachetti trova stucchevole e ipocrita il dibattito sulle candidature delle “veline”. "Perché non si parla anche dei velini?”, dice. “ Le candidature maschili avvengono forse in modo diverso? Tra queste c’è una selezione di merito? “.
E in effetti fra le ultime novità c’è la candidatura di Emanuele Filiberto di Savoia, reduce dal successo di “ballando sotto le stelle” nelle liste dell’Udc. Il principino si presenta “in nome dei valori della famiglia e cristiani” e, quanto alla sua dote politica dice “conosco la metà dei capi di stato europei e l’altra metà sono miei parenti”.
A proposito di parentele, con Berlusconi correrà anche Clemente Mastella, mentre sembra tramontare la candidatura di Paolo Cirino Pomicino (potrebbe però presentarsi la figlia) [...]
Veronica lo stronca, Berlusconi: «Non vogliamo politici maleodoranti e malvestiti» *
«Ciarpame senza pudore». Così, Veronica Lario definisce, in una dichiarazione, l’uso delle candidature delle donne che a suo avviso si sta facendo per le elezioni europee. La signora Berlusconi ha deciso di mettere per iscritto in una mail - in risposta ad alcune domande sul dibattito aperto dall’articolo pubblicato ieri dalla Fondazione Farefuturo - il suo stato d’animo di fronte a ciò che hanno scritto i giornali sulle possibili candidate del Pdl alle europee.
Da Varsavia Berlusconi replica alle osservazioni di quella che è ancora sua moglie: «Anche la signora ha creduto a quello che hanno messo in giro i giornali, mi dispiace». Il premier italiano ha difeso le candidature del Pdl. «Noi vogliamo rinnovare la nostra classe politica con persone che siano colte, preparate e che garantiscano la loro presenza a tutte le votazioni e che magari non siano maleodoranti e malvestite come altri personaggi che circolano nelle aule parlamentari candidati da certi partiti».
Di ben altro tenore sono le dichiarazioni di Veronica Lario. «Voglio che sia chiaro - spiega nel suo messaggio - che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire». Alla domanda su cosa pensa del ruolo delle donne in politica, alla luce delle polemiche di queste ore, Veronica Lario risponde che «per fortuna è da tempo che c’è un futuro al femminile sia nell’imprenditoria che nella politica e questa è una realtà globale. C’è stata la Thatcher e oggi abbiamo la Merkel, giusto per citare alcune donne, per potere dire che esiste una carriera politica al femminile».
«In Italia - aggiunge la moglie del presidente del Consiglio - la storia va da Nilde Jotti e prosegue con la Prestigiacomo. Le donne oggi sono e possono essere più belle; e che ci siano belle donne anche nella politica non è un merito nè un demerito. Ma quello che emerge oggi attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, e che è ancora più grave, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte e questo va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti».
«Qualcuno - osserva Veronica Lario - ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell’imperatore. Condivido, quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere». La signora Berlusconi prende anche l’iniziativa di parlare della notizia, pubblicata oggi da la Repubblica, secondo cui il premier sarebbe stato domenica notte in una discoteca di Napoli a una festa di compleanno d’una ragazza di 18 anni: «Che cosa ne penso? La cosa ha sorpreso molto anche me, anche perchè non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato».
Intanto si sono chiuse le liste per le europee. Il deputato Pd Roberto Giachetti trova stucchevole e ipocrita il dibattito sulle candidature delle “veline”. "Perché non si parla anche dei velini?”, dice. “ Le candidature maschili avvengono forse in modo diverso? Tra queste c’è una selezione di merito? “.
E in effetti fra le ultime novità c’è la candidatura di Emanuele Filiberto di Savoia, reduce dal successo di “ballando sotto le stelle” nelle liste dell’Udc. Il principino si presenta “in nome dei valori della famiglia e cristiani” e, quanto alla sua dote politica dice “conosco la metà dei capi di stato europei e l’altra metà sono miei parenti”.
A proposito di parentele, con Berlusconi correrà anche Clemente Mastella, mentre sembra tramontare la candidatura di Paolo Cirino Pomicino (potrebbe però presentarsi la figlia).
Polemiche ancora aperte sulle candidature femminili del Pdl. Vittoria Franco (Pd) accusa: «La candidatura in massa di veline alle europee da parte del premier è uno scandalo». Ma non si sa ancora quali e quante new entries ci saranno nelle liste Pdl, dove sono riconfermati tutti o quasi tutti gli uscenti.
Il Pd ha chiuso le liste una settimana fa. Dario Franceschini ha deciso di non candidare se stesso nè altri leader come candidati di bandiera, ma solo persone che poi resteranno davvero nel Parlamento europeo. Tra questi c’è il giornalista del Tg1, David Sassoli. Il leader del Pd continua la sua battaglia non solo contro Berlusconi, capolista in tutte le circoscrizioni, ma anche contro il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che ha fatto la stessa scelta. Di Pietro è capolista in quattro circoscrizioni su cinque, nelle Isole il nome di punta è Leoluca Orlando.
Nell’Udc oltre a Emanuele Filiberto di Savoia ci sarà, nella testa di lista, per la circoscrizione nord-ovest Magdi Cristiano Allam.
La sinistra comunista, che mette insieme Rifondazione comunista e Pdci, Socialismo 2000 di Cesare Salvi e Consumatori uniti, sarà l’unica sulle schede elettorali delle europee ad avere falce e martello. «Siamo l’unico voto utile», sostiene Oliviero Diliberto . I capilista: Vittorio Agnoletto nel Nord-ovest e al Sud, il segretario Pdci Diliberto al Centro, Lidia Menapace nelle isole e l’astrofisica Margherita Hack nel Nord-est.
Nel Nord-est si presenta anche la lista Bonino Emma con Bonino (capolista), Marco Pannella, Marco Cappato.
* l’Unità, 29 aprile 2009
FOTOGALLERY IN ITALIA (La Stampa, 29/4/2009) Noemi Letizia, ecco la "pupilla" del Premier
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Vacuità della politica
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 31/5/2009)
Non è la prima volta che il presidente del Consiglio s’indigna per il trattamento che gli riservano i magistrati che lo processano, o i giornalisti che indagano sulla spregiudicatezza con cui mescola condotte private e pubbliche. S’indigna a tal punto che le due figure - il magistrato, il giornalista - sono equiparate a quella del delinquente: è avvenuto giovedì all’assemblea della Confesercenti. Le tre categorie sono assimilate a loro volta all’opposizione politica. Le accuse che vengono loro rivolte sono essenzialmente due. Primo, l’offesa al popolo sovrano, al consenso che esso ha dato alle urne e che imperturbato rinnova nei sondaggi. Secondo, la natura pretestuosa di tali attacchi antidemocratici: il primato dato alla forma sulla sostanza, ai problemi finti degli italiani su quelli veri, allo show sulla realtà, al gossip sulla politica del leader.
L’accusa va presa sul serio, perché il premier ha costruito il proprio carisma sulla maestria dello show e non ha concorrenti in materia. In particolare sa abbandonarlo, se serve, e presentare l’avversario come vero manipolatore della società dello spettacolo. Come ha scritto Carlo Galli, «il suo vero potere è sul linguaggio e sull’immaginario»: qui è l’egemonia che dagli Anni 80 esercita sul senso comune degli italiani, e che l’opposizione non ha imparato a scalfire (la Repubblica 25 maggio).
Ma qualcosa si va scheggiando, in questo perfetto potere d’influenza, come accade agli apprendisti stregoni che non dominano più interamente i golem fabbricati.
Il gossip, lo show, il privato che fagocita il pubblico, i problemi veri semplificati fino a divenire non-problemi, dunque falsi problemi: questi i golem, e tutti provengono dalle officine del berlusconismo. Sono la stoffa della sua ascesa, gli ingredienti della sua egemonia culturale in Italia. Quel che succede oggi è una nemesi: il problema finto divora quello vero, show e gossip colpiscono chi li ha messi sul trono. All’estero la condanna è dura. Non da oggi, certo: l’Economist lo giudicò «inadatto a governare» il 28 aprile 2001, sono passati anni e Berlusconi resta forte. Ma lo sguardo esterno stavolta s’accanisce, perché finzioni e non-verità si accumulano.
Il fatto è che nel frattempo il mondo è cambiato, attorno a lui. Berlusconi è figlio di un’epoca di vacuità della politica: il mercato la scavalcava impunemente, ignorando ogni regola; l’imprenditore-speculatore sembrava più lungimirante e realista del politico di professione. Il liberalismo dogmatico regnò per decenni, e Berlusconi fu una sua escrescenza. Ma questo mondo giace oggi davanti a noi, squassato dalla crisi divampata nel 2008. La regola e la norma tornano a essere importanti, il realismo dei boss della finanza è screditato, la domanda di politica cresce. È quel che Fini presagisce: senza dirlo si esercita in toni presidenziali, conscio del prestigio miracolosamente sopravvissuto del Colle. La crisi del 2007-2008 è sfociata in America nella sconfitta di Bush, ma quel che Pierluigi Bersani ha detto in una recente conferenza è verosimile: «Il capitalismo non finisce, ma finisce una fase ad impronta liberista della globalizzazione. E non finisce perché c’è Obama, ma c’è Obama perché finisce».
Questo spiega come mai Berlusconi - a seguito della sentenza Mills che lo indica come corruttore di testimoni e della vicenda Noemi in cui appare come boss che esibisce private sregolatezze fino a sfidare il tabù della minorenne - irrita più che mai chi ci guarda da fuori. Un’irritazione che si accentua di fronte ai troppi nascondimenti della verità: nel caso Mills la verità di sentenze che non sono tutte di assoluzione ma anche di prescrizione o assenza di prove; nel caso Noemi la verità di incontri poco chiari. Non dimentichiamolo: quando si incolpano le bolle, finanziarie o politiche, è di menzogne e sortilegi che si parla.
Quel che finisce, attorno a noi, è la negligenza dell’imperio della legge, della rule of law. Non tramonta solo il dogma del mercato onnisciente ma la figura del sovrano-boss, eletto per stare sopra le leggi, i magistrati, le costituzioni, le istituzioni. La fusione tra il suo interesse-piacere privato e il suo agire pubblico diventa un male non più minore ma maggiore, perché nelle democrazie c’è sete di regole e istituzioni, dopo lo sfascio, e non di favole ottimiste ma di realtà e verità. C’è bisogno di gesti fattivi e antiburocratici come la presenza in Abruzzo o a Napoli sui rifiuti, ma c’è anche bisogno di cose che durino più di una legislatura e non siano bolle. È utile osservare l’America, oggi: l’immenso sforzo pedagogico che sta compiendo Obama, per convincere i cittadini che il breve termine è letale, che la Costituzione e le norme devono durare più dei politici.
Deve poter durare il sistema di checks and balances innanzitutto: l’equilibrio tra poteri egualmente forti e indipendenti. Il presidente americano sta riconquistando l’egemonia della parola, con linguaggio semplice e vera passione pedagogica. Il suo discorso su Guantanamo e terrorismo, il 21 maggio, lo conferma: «Nel nostro sistema di pesi e contrappesi, ci deve essere sempre qualcuno che controlli il controllore. \ Tratterò sempre il Congresso e la giustizia come rami del governo di eguale rango». Berlusconi va oggi controcorrente: all’estero non ha altra sponda se non quella di Putin, figura tipica di politico-boss.
Tuttavia la società italiana gli crede ancora, e questo consenso varrà la pena studiarlo, con la stessa umile immedesimazione mostrata da Obama. Varrà la pena studiare perché gli italiani somigliano tanto ai russi, come se anch’essi avessero alle spalle regimi disastrosi. Perché tanta sfiducia verso le regole, lo Stato, la res publica. Non esiste una congenita debolezza morale degli italiani, e dunque occorre capire come mai la politica è così profondamente sprezzata, il conflitto così radicalmente temuto. La tesi esposta più di vent’anni fa dallo studioso Carlo Marletti è tuttora valida: è vero che da noi esiste un «eccesso di pluralismo e complessità che le istituzioni legali non semplificano» adeguatamente. E che al loro posto si sono installate auto-organizzazioni informali, claniche o familiste, che non sono arcaiche ma si sono adattate alla modernità meglio di altre. Marletti spiega come lo sviluppo industriale si sia mescolato alla criminalità organizzata e come si siano creati, in assenza di uno Stato che semplifichi la complessità, meccanismi di semplificazione sostitutivi, solidaristico-clientelari, «di tipo nero o sommerso» (Marletti, Media e politica, Franco Angeli, 1984).
Berlusconi prometteva questa fuga nella semplificazione deviante, meno ingarbugliata che ai tempi della Dc. Secondo il filosofo Václav Belohradsky, essa è basata sul prevalere dei fini personali o corporativi sui mezzi che sono le norme prescritte a chi vuol realizzare tali fini. Tra i due elementi è saltata ogni coerenza ed è il motivo per cui l’Italia vive nell’anomia sociale, come fosse fuori-legge.
In Italia accade questo: le mete del singolo sono tutto, le norme nulla. La legalità vale per gli altri (i clandestini), non per noi, scrive Carlo Galli. Per noi le leggi sono d’impedimento: quelle italiane e anche quelle dell’Unione Europea, come ha ripetuto Berlusconi alla Confesercenti. L’opposizione potrebbe ripartire da qui: dalle norme pericolosamente sprezzate, dall’Europa che il governo finge di poter aggirare senza rischi, dalla sovranità nazionale che esso finge di possedere, a cominciare dal clima. La commistione privato-pubblico ha condotto a tutto questo, non è solo la storia di un padre, di una moglie mortificata, dei loro figli. I più preveggenti dicono: dopo la crisi il mondo non sarà più eguale. Berlusconi promette di conservarlo: anche questo è bolla, ed è spinta rivoluzionaria che si sta esaurendo
Vacuità della politica
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 31/5/2009)
Non è la prima volta che il presidente del Consiglio s’indigna per il trattamento che gli riservano i magistrati che lo processano, o i giornalisti che indagano sulla spregiudicatezza con cui mescola condotte private e pubbliche. S’indigna a tal punto che le due figure - il magistrato, il giornalista - sono equiparate a quella del delinquente: è avvenuto giovedì all’assemblea della Confesercenti. Le tre categorie sono assimilate a loro volta all’opposizione politica. Le accuse che vengono loro rivolte sono essenzialmente due. Primo, l’offesa al popolo sovrano, al consenso che esso ha dato alle urne e che imperturbato rinnova nei sondaggi. Secondo, la natura pretestuosa di tali attacchi antidemocratici: il primato dato alla forma sulla sostanza, ai problemi finti degli italiani su quelli veri, allo show sulla realtà, al gossip sulla politica del leader.
L’accusa va presa sul serio, perché il premier ha costruito il proprio carisma sulla maestria dello show e non ha concorrenti in materia. In particolare sa abbandonarlo, se serve, e presentare l’avversario come vero manipolatore della società dello spettacolo. Come ha scritto Carlo Galli, «il suo vero potere è sul linguaggio e sull’immaginario»: qui è l’egemonia che dagli Anni 80 esercita sul senso comune degli italiani, e che l’opposizione non ha imparato a scalfire (la Repubblica 25 maggio).
Ma qualcosa si va scheggiando, in questo perfetto potere d’influenza, come accade agli apprendisti stregoni che non dominano più interamente i golem fabbricati.
Il gossip, lo show, il privato che fagocita il pubblico, i problemi veri semplificati fino a divenire non-problemi, dunque falsi problemi: questi i golem, e tutti provengono dalle officine del berlusconismo. Sono la stoffa della sua ascesa, gli ingredienti della sua egemonia culturale in Italia. Quel che succede oggi è una nemesi: il problema finto divora quello vero, show e gossip colpiscono chi li ha messi sul trono. All’estero la condanna è dura. Non da oggi, certo: l’Economist lo giudicò «inadatto a governare» il 28 aprile 2001, sono passati anni e Berlusconi resta forte. Ma lo sguardo esterno stavolta s’accanisce, perché finzioni e non-verità si accumulano.
Il fatto è che nel frattempo il mondo è cambiato, attorno a lui. Berlusconi è figlio di un’epoca di vacuità della politica: il mercato la scavalcava impunemente, ignorando ogni regola; l’imprenditore-speculatore sembrava più lungimirante e realista del politico di professione. Il liberalismo dogmatico regnò per decenni, e Berlusconi fu una sua escrescenza. Ma questo mondo giace oggi davanti a noi, squassato dalla crisi divampata nel 2008. La regola e la norma tornano a essere importanti, il realismo dei boss della finanza è screditato, la domanda di politica cresce. È quel che Fini presagisce: senza dirlo si esercita in toni presidenziali, conscio del prestigio miracolosamente sopravvissuto del Colle. La crisi del 2007-2008 è sfociata in America nella sconfitta di Bush, ma quel che Pierluigi Bersani ha detto in una recente conferenza è verosimile: «Il capitalismo non finisce, ma finisce una fase ad impronta liberista della globalizzazione. E non finisce perché c’è Obama, ma c’è Obama perché finisce».
Questo spiega come mai Berlusconi - a seguito della sentenza Mills che lo indica come corruttore di testimoni e della vicenda Noemi in cui appare come boss che esibisce private sregolatezze fino a sfidare il tabù della minorenne - irrita più che mai chi ci guarda da fuori. Un’irritazione che si accentua di fronte ai troppi nascondimenti della verità: nel caso Mills la verità di sentenze che non sono tutte di assoluzione ma anche di prescrizione o assenza di prove; nel caso Noemi la verità di incontri poco chiari. Non dimentichiamolo: quando si incolpano le bolle, finanziarie o politiche, è di menzogne e sortilegi che si parla.
Quel che finisce, attorno a noi, è la negligenza dell’imperio della legge, della rule of law. Non tramonta solo il dogma del mercato onnisciente ma la figura del sovrano-boss, eletto per stare sopra le leggi, i magistrati, le costituzioni, le istituzioni. La fusione tra il suo interesse-piacere privato e il suo agire pubblico diventa un male non più minore ma maggiore, perché nelle democrazie c’è sete di regole e istituzioni, dopo lo sfascio, e non di favole ottimiste ma di realtà e verità. C’è bisogno di gesti fattivi e antiburocratici come la presenza in Abruzzo o a Napoli sui rifiuti, ma c’è anche bisogno di cose che durino più di una legislatura e non siano bolle. È utile osservare l’America, oggi: l’immenso sforzo pedagogico che sta compiendo Obama, per convincere i cittadini che il breve termine è letale, che la Costituzione e le norme devono durare più dei politici.
Deve poter durare il sistema di checks and balances innanzitutto: l’equilibrio tra poteri egualmente forti e indipendenti. Il presidente americano sta riconquistando l’egemonia della parola, con linguaggio semplice e vera passione pedagogica. Il suo discorso su Guantanamo e terrorismo, il 21 maggio, lo conferma: «Nel nostro sistema di pesi e contrappesi, ci deve essere sempre qualcuno che controlli il controllore. \ Tratterò sempre il Congresso e la giustizia come rami del governo di eguale rango». Berlusconi va oggi controcorrente: all’estero non ha altra sponda se non quella di Putin, figura tipica di politico-boss.
Tuttavia la società italiana gli crede ancora, e questo consenso varrà la pena studiarlo, con la stessa umile immedesimazione mostrata da Obama. Varrà la pena studiare perché gli italiani somigliano tanto ai russi, come se anch’essi avessero alle spalle regimi disastrosi. Perché tanta sfiducia verso le regole, lo Stato, la res publica. Non esiste una congenita debolezza morale degli italiani, e dunque occorre capire come mai la politica è così profondamente sprezzata, il conflitto così radicalmente temuto. La tesi esposta più di vent’anni fa dallo studioso Carlo Marletti è tuttora valida: è vero che da noi esiste un «eccesso di pluralismo e complessità che le istituzioni legali non semplificano» adeguatamente. E che al loro posto si sono installate auto-organizzazioni informali, claniche o familiste, che non sono arcaiche ma si sono adattate alla modernità meglio di altre. Marletti spiega come lo sviluppo industriale si sia mescolato alla criminalità organizzata e come si siano creati, in assenza di uno Stato che semplifichi la complessità, meccanismi di semplificazione sostitutivi, solidaristico-clientelari, «di tipo nero o sommerso» (Marletti, Media e politica, Franco Angeli, 1984).
Berlusconi prometteva questa fuga nella semplificazione deviante, meno ingarbugliata che ai tempi della Dc. Secondo il filosofo Václav Belohradsky, essa è basata sul prevalere dei fini personali o corporativi sui mezzi che sono le norme prescritte a chi vuol realizzare tali fini. Tra i due elementi è saltata ogni coerenza ed è il motivo per cui l’Italia vive nell’anomia sociale, come fosse fuori-legge.
In Italia accade questo: le mete del singolo sono tutto, le norme nulla. La legalità vale per gli altri (i clandestini), non per noi, scrive Carlo Galli. Per noi le leggi sono d’impedimento: quelle italiane e anche quelle dell’Unione Europea, come ha ripetuto Berlusconi alla Confesercenti. L’opposizione potrebbe ripartire da qui: dalle norme pericolosamente sprezzate, dall’Europa che il governo finge di poter aggirare senza rischi, dalla sovranità nazionale che esso finge di possedere, a cominciare dal clima. La commistione privato-pubblico ha condotto a tutto questo, non è solo la storia di un padre, di una moglie mortificata, dei loro figli. I più preveggenti dicono: dopo la crisi il mondo non sarà più eguale. Berlusconi promette di conservarlo: anche questo è bolla, ed è spinta rivoluzionaria che si sta esaurendo
La signora Lario conferma anticipazioni di stampa. Il premier: sono addolorato La moglie accusa: ho cercato di aiutarlo come si fa con chi non sta bene, è stato inutile
Veronica divorzia Berlusconi la preoccupa
di Natalia Lombardo (l’Unità, 04.05.2009)
Veronica Lario chiude «il sipario» sul suo matrimonio: annuncia di voler divorziare da Silvio Berlusconi, per le sue frequentazioni di «minorenni». Ne dipinge una figura che non sta bene. Il premier vola a Arcore.
«La strada del mio matrimonio è segnata, non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni»: con parole che pesano come un macigno Veronica Lario annuncia di aver avviato la pratica di divorzio da Silvio Berlusconi. «Dopo 30 anni chiudo il sipario sulla mia vita coniugale», spiega, vorrebbe farlo «da persona comune e perbene, senza clamore. Vorrei evitare lo scontro». Il clamore è inevitabile, la notizia è nel colloquio pubblicato ieri da La Repubblica e da La Stampa, e confermata all’Ansa. Una bomba che ha fatto il giro del mondo.
La «goccia» che ha fatto traboccare il vaso, o anticipato i tempi, è stata la presenza del marito alla festa dei 18 di Noemi Letizia, la ragazza di Portici che, insieme alla madre, lo chiama «papi». Legata al Silvio Berlusconi imprenditore dal 1980, sposato nel ‘90, la signora Bartolini in Berlusconi, in arte Lario, ne parla come se si trattasse di un malato: «Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. È stato tutto inutile». Inutile anche quell’ultima chance lanciata nel 2007 nella lettera a Repubblica.
La notizia piomba a Palazzo Grazioli di prima mattina. Dopo un consulto con Gianni Letta e Paolo Boniauti, Berlusconi lascia Roma con il fratello Paolo, e vola a Milano. All’una arriva in elicottero a Villa San Martino ad Arcore, pochi chilometri più in là vive Veronica, a Villa Belvedere di Macherio. L’ordine è: bocche cucite nell’entourage del cavaliere. È lui a dettare una nota secca: «È una vicenda personale che mi addolora, che rientra nella dimensione privata, e di cui mi pare doveroso non parlare». La linea decisa con il suo avvocato-deputato, Niccolò Ghedini. Tanto dolore, però, non ha impedito a Silvio di mostrarsi in maglioncino blu come uno showman sul cancello di Arcore. E verso le quattro è uscito in un fuoristrada.
La risoluzione finale
Veronica ha preso la decisione che stava «meditando» da dieci anni, racconta. Ha chiamato un’amica avvocata che si trovava in un’isola del Sud. Capri, forse, e potrebbe essere Anna Danovi Galizia, nota a Milano, specializzata in diritto di famiglia. La prima mossa di Veronica è stata l’invio della mail all’Ansa alle dieci e mezza di sera, martedì scorso, un fendente sul «ciarpame politico» che si stava spargendo in quelle ore, il gioco delle tre carte e delle tante «veline» da mettere in lista per le europee. Quelle che il premier ha ordinato di cancellare e ridurre. Un martedì d’angoscia, per la Lario, con la figlia Barbara ricoverata al San Raffaele per il rischio di un parto prematuro. Il padre, invece, da Napoli aveva fatto un blitz a Portofino per festeggiare i quarant’anni di Piersilvio, nato dal primo matrimonio con Carla Dall’Oglio.
La bomba polacca
Così la vera sorpresa per Berlusconi la vice mercoledì, quando a Varsavia è arrivato il colpo della mail di Veronica. Da tre giorni, quindi, il premier sapeva dell’imminente richiesta di divorzio, nonostante la tregua che sembra avesse siglato con la moglie sulla base di un accordo patrimoniale e una exit strategy meno dirompente per lui. Il quale, vista la brutta aria, il primo maggio è volato qua e là: dal concerto di Muti a Napoli alla decima visita a L’Aquila, terremotato terreno di propaganda, evitando «chiarimenti» milanesi, snobbando anche la Sardegna ormai senza G8.
Il «ciarpame» che ha colpito la signora Lario è il rapporto di Noemi con l’Imperatore. Non se la prende con lei, né con le veline, «figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica». Il marito l’ha accusata di «aver creduto alla disinformatia della stampa» e, peggio, si è ritrovata sulla prima di Libero le sue foto a seno nudo nello spettacolo teatrale in cui, nell’80, conquistò Silvio. Non è tenera con lei Daniela Santanché: «Veronica, hai toppato, come madre non puoi fare la principessa sposando il principe. Impara piuttosto a esistere da sola».
Intervista a Marcelle Padovani:
«L’unica che poteva colpire la sua ascesa era lei, i consensi caleranno»
La giornalista francese: il premier è il peggio dell’italiano
Ma Franceschini e Di Pietro non lo scalfiscono nemmeno un po’
di Federica Fantozzi (l’Unità, 04.05.2009)
Marcelle Padovani, corrispondente dall’Italia del Nouvel Observateur, analizza il fatto politico-mediatico del giorno.
Veronica divorzia. Finalmente?
«Nel fantastico consenso di Berlusconi, tra sondaggi e passerelle in Abruzzo, l’unica capace di colpirlo sulle ginocchia è sua moglie. Viene da dire: compagna Veronica. Non è originale, ma è quello che pensa la gente di sinistra».
I francesi come la pensano?
«Berlusconi è il peggio dell’italiano: esibizionista, seduttore senza qualità. La sua immagine all’estero è repellente. Parlo dell’opinione pubblica, non dei ceti intellettuali».
Lo pensano tutti tranne Sarkozy?
«Lui è un piccolo Berlusconi. Fa ragionamenti utilitaristici. Ma è sorprendente che al vostro premier siano attribuite tante liaison: è un antidoto a qualsiasi voglia di relazione sessuale». In Francia si chiedono come mai piaccia tanto agli italiani? «Certamente. Anche se comincia a serpeggiare un piccolo dubbio su come faccia Sarkò ad avere il 42% dei consensi quando dovrebbe averne molti meno...».
Stiamo esportando il modello?
«Ecco, sorge il dubbio che il peggio non susciti soltanto interesse ma anche simpatia».
La Francia ha avuto un presidente, François Mitterrand, con una figlia segreta. Come ha reagito l’opinione pubblica?
«Il presidente stesso ha reso pubblica la notizia quando sua figlia ha compiuto 18 anni. Ma lo sapevamo tutti. Mitterrand ha gestito la situazione con grande discrezione e signorilità. Senza dichiarazioni o comparsate. La sua doppia vita segreta è stata il contrario del berlusconismo e gli ha guadagnato l’indulgenza della maggioranza dei cittadini. Non c’è stato profumo di scandalo».
Non si può dire che la discrezione sia la caratteristica di Sarkozy, presidente bling bling...
«Sì, ha avuto divorzi e matrimoni lampo, figli su figli. In un certo senso è peggio del Cavaliere: lui è ricco di suo, ha yacht e ville, Sarkò deve mendicare. Come la vacanza in Messico ospite di un nababbo trafficante di droga».
Perché Veronica è esplosa?
«Forse la vicenda di Noemi, forse un accumulo. Ma è stato un gesto politico: ha voluto colpirlo. E l’ha colpito. Come Franceschini e Di Pietro non sono riusciti a fare».
Nemmeno Capezzone, il portavoce dice una parola. Pdl, divorzio nel silenzio
Nelle ore in cui Veronica Lario cala il sipario sul suo matrimonio con Silvio Berlusconi, sul palcoscenico del Popolo della Libertà va in onda lo spettacolo dei mimi. No comment. Silenzio tombale. Bossi a parte, gli esponenti della maggioranza non parlano. Staccano il telefono quando possono. Si pronunciano proprio se stretti in un angolo. Altrimenti si negano. Daniele Capezzone, per esempio, non vuole proferire parola non solo sul tema del divorzio, ma nemmeno su quello più politico dell’immagine che deriva al partito o al governo in generale: «Sarebbe la stessa cosa. Grazie molte. Buona domenica». E dire che di mestiere farebbe il portavoce del Pdl.
Giovanardi è via
Gli altri tacciono a cascata. Non sarà nemmeno un ordine di scuderia, è semplice buonsenso. Particolarmente silenti i cattolici, forse provati dalla distanza tra la difesa che si fa della famiglia in astratto e la macelleria che se ne fa in concreto. Eugenia Roccella, almeno dai tempi del Family day in prima fila quando si tratta fare barricate sulla difesa della vita, convinta che «solo il Pdl possa difendere la famiglia», non proferisce verbo e se cercata squilla a vuoto. Clemente Mastella, appena ripescato dal nulla per essere lanciato alle Europee gratis et amore Dei dopo il tiro mancino che giocò a Prodi un paio d’anni fa, non risponde a nessuno dei suoi due telefoni Passati due squilli,, il cellulare del ciellino Maurizio Lupi, alfiere dell’ala cattolica del Pdl, attacca con la segreteria. Formigoni irrintracciabile.
Impagabile Carlo Giovanardi. L’uomo fuggito dall’Udc di Casini probabilmente perché troppo laica, lo stesso sottosegretario che venti giorni fa dichiarava «o rilanciamo il modello della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, o siamo spacciati», ora senza nemmeno una punta d’imbarazzo spiega: «Sono via da due giorni, quando avrò letto le notizie mi potrò fare un’opinione e le saprò dire cosa è successo». Le saprò dire. Ma dove si trova, all’estero? «No: via».
Bossi, l’unico
Tace Italo Bocchino, tace persino Gasparri, un miracolo. Anche sul fronte laico nulla. Gianfranco Fini non ha intenzione di proferir verbo. Sul web magazine di Fare futuro sono espunti articoli che trattino Silvi o Veroniche. Abbiamo già dato. Anche l’ispiratore laico del presidente della Camera, Benedetto Della Vedova, preferisce parlare di calcio.
Al silenzio fanno eccezione in pochi, per lo più per dire che non vogliono far commenti. Solo il leader della Lega Umberto Bossi, coraggiosissimo, si spinge a dire in generale che «bisogna stare attenti a non far star male le mogli, quando ci sono figli». Ignazio La Russa, invece, confessa che «si vergognerebbe al solo pensiero di fare dichiarazioni al riguardo» . Il dettaglio, da solo, chiarisce tutta l’eccezionalità della giornata.
di Silvia Ballestra (l’Unità, 04.05.2009)
Sul divorzio del secolo (Veronica versus Silvio, una guerra in cui non si faranno prigionieri), niente sconti, niente trucchi e niente inganni. Come assidue tricoteuses sotto la ghigliottina, vorremo sapere tutto, vedere tutto, commentare tutto. Cattiveria? Macché! È il sacrosanto contrappasso che papi Silvio deve pagare. Non è stato forse lui ad abolire il privato? Non è stato forse lui negli ultimi quindici anni (e più), da regnante, a fare della vita privata un semplice ed efficace spot per il potere pubblico? Ricco nella vita e quindi bravo per forza a guidare un paese. Bravo con il Milan e quindi vincente per forza. Lumacone con le ragazze e dunque supergiovane a oltranza anche se va verso gli “ento”. Coi capelli, senza capelli, con bandana, senza bandana, con terremoto, senza terremoto. Tutto, ma proprio tutto, è stato al servizio del potere. Editore e padrone di tutto quel che di più raccapricciante si può immaginare nel campo della pornografia dei sentimenti, spiattellati davanti a tutti proprio perché privati. E Stranamore, e C’è posta per te, e Verissimo, e Chi e altro ancora. Che non si azzardi, papi Silvio, ad appellarsi alla privacy! Non può per il semplice motivo che la privacy per lui è solo un consiglio per gli acquisti, e quello che c’era da acquistare era lui: Silvio primo, il magnifico. Bene. Ora siamo tutt’occhi e tutt’orecchie. Anche i ciechi e i sordi capiranno finalmente cosa vuol dire controllare i media. Lo capiranno quando vedranno dispiegarsi in tutta la sua potenza il linciaggio mediatico dell’ex consorte, ora nemica in tribunale. Lui ha già cominciato, chiamandola “la signora”, alcuni zelanti direttori hanno già ubbidito, chiamandola “velina ingrata”. Ora il gioco si fa duro. Abbiamo pagato (carissimo) il biglietto, e ora vogliamo lo spettacolo. Buona visione.
La svolta laica
di Giovanni Maria Bellu (l’Unità, 04.05.209)
Sia chiaro. Due adulti consenzienti possono fare tra loro quello che vogliono. Basta che lo facciano a casa loro, oppure oscurino i vetri dell’automobile, e comunque non turbino l’innocenza dei bambini e, in definitiva, non commettano reati. A parte quelli imposti dal codice penale, i limiti al libertinaggio sono un fatto privato. Lo Stato non può, e non deve, pretendere di regolamentare la vita sessuale dei cittadini.
Il problema non è infatti la vita sessuale di Silvio Berlusconi (tralasciamo la questione delle minorenni in attesa dei doverosi accertamenti sulla loro età). Il problema è se un uomo pubblico debba o meno tenere una condotta di vita coerente con i principi che proclama. Se, cioè, sia accettabile che la stessa persona benedica il family day e divorzi, lanci proclami per la difesa della vita e condivida con la sua compagna un aborto al settimo mese, si circondi di sventole seminude e baci la mano al Papa. Il problema è se il capo della polis possa pretendere dai cittadini comportamenti che egli stesso non pratica.
La storia politica di un paese che anche il nostro premier considera un faro della democrazia, gli Stati Uniti, è punteggiata di carriere politiche distrutte da scandali sessuali. Tanto che il dibattito pubblico ha seguito un percorso opposto a quello italiano. Oggi si discute se questa pretesa di assoluta moralità - che ebbe nel caso Clinton-Lewinsky la sua manifestazione più esasperata - non sia eccessiva e puerile. Ma la pretesa di coerenza resta fuori discussione. Un anno fa il governatore dello Stato di New York, Eliot Spitzer, si dimise a furor di popolo quando si scoprì una sua relazione con una squillo d’alto bordo. Un altro forse se la sarebbe cavata facendo pubblica ammenda, ma Spitzer aveva costruito la sua carriera politica sulla moralizzazione: si faceva chiamare «Mr Clean». Ed era un puttaniere.
È una discussione che andrebbe fatta anche in Italia. Il nostro parere è che un leader politico debba dare l’esempio. Se passasse l’idea che il dovere della coerenza cessa a partire da un certo reddito o da una certa carica, il paese andrebbe in malora. Ma se ne può discutere. Si potrebbe anche arrivare alla conclusione che per governare l’Italia ci vuole un maniaco sessuale e che Berlusconi, con le sue uscite da vecchio satiro, non è ancora sufficiente. E che per tutelare la famiglia è indispensabile l’esperienza di chi ne ha distrutto un paio. E che la coerenza è la virtù dei cretini. E così via. Tutto è possibile nel nostro paese.
Ciò che sembra impossibile è proprio la discussione. Una notizia che ha fatto il giro del mondo è stata ridotta a una “breve” dai telegiornali pubblici e privati. I più devoti baciapile della destra sono diventati più laici di Pannella. E quel campione di coerenza di Daniele Capezzone, che di Pannella era seguace, è diventato muto. Il family day, evidentemente, era dedicato alla moralità dei cassintegrati e dei precari dei call center. Le scelte di vita individuali da qualche giorno sono diventate sacre. Salutiamo con gioia questa svolta laica del Pdl.
Il governo s’ingrossa: Brambilla ministro, altri tre vice *
Michela Vittoria Brambilla ministro: alla fine Berlusconi ha mantenuto la promessa e ha dato alla sua pupilla una poltrona ministeriale. Continuerà a occuparsi di turismo ma, da adesso, in prima fila nel governo. La nomina - ha detto lo stesso premier - avverrà "presto". Il Consiglio dei ministri è riunito. Quella della Brambilla - ha fatto sapere La Russa - non sarà l’unica promozione: faranno un piccolo avanzamento anche i sottosegretari Roberto Castelli, Adolfo Urso e Paolo Romani, destinati a diventare viceministri. Un leghista, un aennino e un forzista: tutti contenti, secondo la vecchia logica della spartizione. Il governo si ingrossa così come i problemi del Paese.
La neo-ministra del resto ha già le idee chiare su come gestire il suo importante settore. Proprio stamane si è occupata del menù da riservare a Barack Obama e agli altri grandi della terra, nel G8 di luglio a l’Aquila. Parola d’ordine: "farli mangiare e bere abruzzese". Magari anche gli arrosticini di pecora, gli spiedini tipici. Di sicuro - lo ha confermato con un pizzico di orgoglio la quasi ministro - saranno tutti gli altri, dai 2000 giornalisti alle migliaia di ospiti e addetti del G8, a mangiare rigorosamente made in Abruzzo: "E capirannno bene in che straordinaria regione sono capitati", ha commentato la Brambilla.
* l’Unità, 30 aprile 2009
Se la regina grida "Il re è nudo"
di Curzio Maltese (la Repubblica, 30.04.2009)
Se a gridare "Il re è nudo!" stavolta è la regina, la notizia fa il giro del mondo. Del mondo più che dell’Italia, anche se il re, anzi l’imperatore, tocca a noi. Tutti i giornali e i siti del mondo titolano con caratteri di scatola le critiche di Veronica Lario al ciarpame politico di Berlusconi e aprono un dibattito sulla democrazia in Italia.
Da noi il dibattito è già chiuso, nascosto dai telegiornali o recintato nell’angusta dimensione del conflitto coniugale, troncato e sopito dai cani da guardia del giornalismo, sommerso infine dal mare della banalizzazione. I regimi sono sempre banali.
Le parole di Veronica Lario hanno aperto una breccia nel muro dell’immagine costruita intorno al potere. Per l’ultima volta, proviamo a guardare dentro e a guardarci da fuori. Che paese stiamo diventando? Siamo un paese dove è considerato normale che il premier scelga veline, ballerine, presentatrici o comunque presunte sue conquiste per fare il ministro, il sottosegretario, il parlamentare italiano o europeo, un paese dove ragazze 18enni nemmeno parenti chiamano "papi" il presidente del Consiglio, dove padri di aspiranti candidate si danno fuoco davanti a Palazzo Grazioli. In qualsiasi democrazia (e perfino sotto molte dittature) questo modo di selezione della classe dirigente, solleverebbe ondate d’indignazione popolare e magari di semplice schifo. E qui è invece tutto un ammiccare complice, di uomini e donne.
La sesta o settima potenza industriale sembra felice di essere rappresentata da un premier che, essendo il più anziano in carica ai vertici internazionali, in quindici anni non ha mai pronunciato un discorso politico decente e viene ricordato all’estero soltanto per gaffe, scherzi, corna, battutacce da vecchio macho, regali da sceicco, vanterie sessuali, e per aver detto kapò, Kakà, cucù. Un’ampia maggioranza di cittadini apprezza che il premier si cambi d’abito quando deve recarsi sul luogo del terremoto, come fossimo a teatro. Sorride alle sue battute da schiaffi, "prendetelo un po’ come un campeggio". Applaude allo spostamento del G-qualcosa dalla Maddalena all’Aquila, invece di nascondersi sotto il tavolo dalla vergogna a una trovata così platealmente demagogica.
L’opinione pubblica, anche d’opposizione, si felicita con il premier che si è degnato finalmente di presenziare al 25 aprile, patrocinato ormai dagli ex fascisti, senza tuttavia resistere alla tentazione di cambiarne il nome e soprattutto di demolire nei fatti e ogni giorno il risultato, la Costituzione. Gli uomini sono per natura obbedienti, e alcuni popoli, come il nostro, più della media. Ma l’accettare come normale questo stato di servitù, in un’acquiescenza generale e finanche serena, non sembrava possibile. Berlusconi è stato abile, bravo, furbo, ad assuefare, per non dire a corrompere, un popolo intero o quasi. Ci siamo ridotti così un po’ alla volta, e ora tutto insieme.
Alla vigilia di un regime conclamato, qualcuno ci ricorda ancora che esiste la dignità. La sua, di donna, moglie, madre. La nostra di cittadini. Non si tratta dunque di un affare privato, ma di una questione politica. E’ importante ricordarlo, perché ci sono momenti in cui il fiume della cattiva politica tracima in dato antropologico permanente, e questo è il passaggio che stiamo vivendo. Alcuni il confine l’hanno già superato, basta leggere i commenti di certi giornali o il linciaggio via Internet della destra alla signora Lario. Altri si allenano a farlo e altri ancora, una minoranza, non lo faranno mai. Si ostineranno, magari senza successo, a voler abbattere il muro dell’Immagine, che da quindici anni nel nostro paese ha preso il posto di un altro Muro. Ma quella era la storia, queste sono storielle piuttosto miserabili. Se a gridare "il re è nudo!" è la regina, forse il regno non durerà a lungo.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Ecco Noemi, la diciottenne che ha scatenato Veronica *
«Una sorpresa da "papi". Eccezionale. Chi se lo scorda più questo diciottesimo compleanno. Ho pianto di gioia. E i miei amici: certo, sapevano che frequento da un po’ il mondo dello spettacolo, ma mai avrebbero immaginato».
Ecco Noemi Letizia, la diciottenne che alla sua festa di compleanno ha visto comparire il premier Silvio Berlusconi, da lei soprannominato «papi» e che ha scatenato le ire di Veronica Lario. «Lo chiamo presidente, ma qualche volta mi scappa papi, secondo al mio papà, ovvio. Quale regalo mi ha fatto? È entrato con quel sorriso e un pacchettino in mano», con all’interno «un collier».
Berlusconi, ha spiegato Noemi, è un amico di famiglia. Però con i genitori «non è che si siano incrociati sul lavoro: mio padre è un dipendente comunale, e poi abbiamo una profumeria alla periferia di Napoli». Per Noemi invece il futuro è lo spettacolo: «Ho partecipato a programmi Rai, ho fatto la valletta, qualche cortometraggio. Ora faccio la ’gossippinà per una tv locale, Rete A». La politica dunque per adesso può attendere «però sosterrò "papi" fino alla morte», ha detto la ragazza.
«Mi vuole bene come una figlia. E anche io, noi tutti gli siamo legati. Come si fa a non volergli bene? - si chiede Noemi - È un mito, non sapevo che sarebbe comparso così dal buio della sala. Ci sono state urla. Ho guardato mia madre che è sbiancata, tesa ma felice». Erano le 22, ha ricordato la ragazza. «Gli invitati stanno dentro, io arrivo dopo, con l’autista. Una Mercedes bellissima. Mi presentano al microfono, nel buio. Ovazione. Poi vedo mamma con gli occhi che le brillano, mi dice ’c’è una sorpresà». «Luci spente, si apre la porta, eccolo, vedo papi, il mio secondo papi. Ora sogno di fare la show girl. Perchè io so fare tutto. Una Carlucci, una Cuccarini».
Scandalo per le “miss” di Berlusconi
La moglie del Cavaliere critica l’elezione di “ballerine” nella lista europea.
La fondazione di -Fini, il grande alleato del primo ministro, denuncia il suo machismo..
El País Internacional, venerdì 1 maggio 2009
Miguel Mora - Roma, 30 aprile 2009
(traduzione dallo spagnolo di José F. Padova)
Il primo, serio rovescio del terzo governo di Silvio Berlusconi è arrivato da un luogo impensato: il talamo coniugale. La sua seconda moglie e “first lady”, Veronica Lario, ha criticato molto aspramente il modo di fare politica di suo marito, lasciando intendere che è “maschilista” e tipica di un “imperatore”. La signora Lario ha dettato all’agenzia Ansa che impiegare soubrette, attricette e concorrenti del Grande Fratello per rinnovare l’immagine del partito in vista delle elezioni europee è una “vergogna impudica”.
“Si è lasciata manipolare dalla stampa di sinistra”, risponde Berlusconi.
Ella stessa ex attrice e ballerina, Lario confessa che questa politica fa “soffrire” lei e i suoi figli, che sono “vittime di questa immondizia machista”. “Qualcuno ha scritto che tutto questo serve per svagare l’imperatore”, ha sparato la signora Berlusconi. “Lo condivido”.
L’attacco della signora Lario, che già nel 2007 rimproverò suo marito di flirtare con Mara Carfagna, attuale ministro delle Pari Opportunità, ha causato un grande scompiglio in Italia e anche in Polonia, dove Berlusconi si trovava in visita di Stato.
Sebbene i nomi di diverse presunte candidate circolassero da alcuni giorni perché alcune veline televisive (così si chiamano adesso le eredi delle mamachicho [ndt.: ragazze coccodé della TV spagnola di anni fa]) avevano frequentato un corso accelerato di politica nella sede del Popolo delle Libertà (PDL), il partito non aveva confermato alcun nome in forma ufficiale.
Forse per questo Berlusconi rispose ieri alla “signora” fra l’irritato e il divertito. “Si è fatta manipolare dai giornali della sinistra e ha creduto in notizie assolutamente infondate. Mi disgusta”, ha detto, “che la signora sia caduta in questa manovra dell’opposizione”.
In realtà, le prime denunce di maschilismo rampante contro i casting delle ballerine-politiche sono partite dal think thank di Gianfranco Fini, il suo teorico delfino, compagno di partito e presidente della Camera dei deputati. Sulla rivista digitale della fondazione Fare Futuro la professoressa universitaria Sofia Ventura ha denigrato la politica “delle facce e dei corpi appariscenti e dei curricula vuoti”. Ieri Berlusconi ha confermato che presenterà “tre di queste supposte veline” nella lista di Strasburgo. “Verranno con me a ogni meeting e io chiederò loro se sono veline e loro spiegheranno quali sono i loro titoli [universitari] e quello che hanno fatto fino ad adesso. Faremo un figurone [ital. nel testo], una gran bella figura”.
Le tre giovani scelte (soltanto tre fra 69 candidati) sono Lara Comi (ex studentessa alla prestigiosa Università Bocconi di Milano e coordinatrice dei giovani di Forza Italia in Lombardia), Licia Renzulli (che fu candidata alle elezioni nazionali per la Regione Marche e coadiutrice volontaria in Bangladesh) e Barbara Matera, attrice e annunciatrice, con licenza magistrale a Roma e prefinalista del concorso Miss Italia 2000.
Da quel genio della pubblicità qual è (tutta Europa conoscerà le candidate del PDL prima delle proprie), Berlusconi ha ricordato che vuole “rinnovare la classe politica con persone colte, preparate e che garantiscono la loro presenza a tutte le votazioni”. “Mai e poi mai”, aggiunse, “il PDL porterà in Europa persone maleodoranti e malvestite come sono quelle, di certi partiti, che si aggirano negli emicicli parlamentari”.
L’enigma che adesso non lascia dormire gli italiani è un altro: perché Berlusconi la notte di domenica scorsa partecipò alla festa di compleanno di una ragazza napoletana di 18 anni, chiamata Noemi? Il Cavaliere percorse centinaia di chilometri da L’Aquila e attraversò le peggiori strade della Campania per portare di persona una collana d’oro e brillanti a Noemi, che lo ricevette al grido di “Ciao, papi!”.
Ieri si seppe che la ragazza studia (grafica pubblicitaria) ed è figlia di una bionda ex soubrette (un’altra) e di un funzionario comunale. Noemi è comparsa sui giornali con la sua collana e unghie finte e mostrando un libro sul PDL, regalo di “papi” e con dedica: “Alla mia piccola Noemi, alla mia piccola grafica pubblicitaria, dal suo paparino putativo”.
La ragazza spiegò che conosceva Berlusconi da quando era piccola e che lui “è un buon amico della famiglia” e rivelò che di frequente canta con il primo ministro le canzoni di Mariano Apicella, interprete napoletano delle melodie scritte da Silvio Berlusconi, e che lo vede “a Roma e a Milano, perché lui non sempre può venire, con tutto quello che ha da fare”.
L’idea del “papi” non è piaciuta per niente alla signora Lario, che invece di chiedere il divorzio si è lamentata con l’Ansa perché Berlusconi “mai è andato ad alcun compleanno per i 18 anni dei suoi figli, sebbene fosse stato invitato”. Il premier minimizzò la sua incursione napoletana: “È stato un brindisi con qualche foto. È un’altra strumentalizzazione. I miei figli? Mi sento il più amato di tutti i padri”.
E così si è conclusa la prima crisi coniugale del Governo Berlusconi, da ieri meglio noto nel Web come Governo Papi.