CON DANTE E NIETZSCHE, OLTRE. PER UN’ALTRA TRASCENDENZA....

TRE IN UNO: CONOSCI TRE STESSO!!! L’INDICAZIONE "META-FUTURISTA" DI ALESSANDRO BERGONZONI. Un’intervista di Enrico Regazzoni.

Non mi considero né laico, né religioso, ma spirituale. Se fai arte, ti occupi di spirito. Dobbiamo smetterla di occuparci di umanità, anche la guerra è umana. Citare Dante va bene, ma dobbiamo anche scrivere come Dante.
domenica 22 febbraio 2009.
 
[...] La mia protesta è politica, in questo senso, perché dico che a noi manca un governo interiore. Dobbiamo ribellarci, con una violenza bell’e buona, non quella brutta e cattiva, che non mi è mai piaciuta. Creare Greenpeace culturali, andare fuori da certi studi televisivi e protestare. Bisogna intervenire subito, e fin dalle elementari, perché al liceo è tardi. Per esempio non puoi lasciare in mano solo ai giudici e agli scienziati o alla chiesa il testamento biologico. Intervenga altra trascendenza, altro pensiero. Non puoi parlare solo di norme ma anche di enorme. Prima di parlare del corpo devi parlare dell’essere, senza pregiudizi né dogmi. Io canto sempre nessun dogma, è la mia opera preferita [...]


-  L’incontro
-  Visionari

ALESSANDRO BERGONZONI

-  Mentre penso una cosa ne parte un’altra, arriva la posta che mi manda un altro pensiero e mentre la apro ne compongo un’altra ancora

-  Dice cose del tipo: “Voglio avvenire, non essere avvenente”. Oppure: “Voglio far succedere, non voglio successo”.
-  Venticinque anni di carriera, dodici spettacoli con centinaia di repliche, libri e film
-  Il giocoliere delle parole non si ferma mai, nella vita e in teatro
-  Da quando un insegnante di liceo gli disse di seguire il suo “flusso interiore”, fino al suo ultimo show dal motto: “Conosci tre stesso e non solo sul palco”

di Enrico Regazzoni (la Domenica di Repubblica, 22.02.2009)

Bergonzoni corre, stargli dietro è duro. Nella conversazione, come sul palco, ha lo scatto del centometrista, mezza domanda e lui è già via. Ma corre anche da maratoneta: in venticinque anni ha fatto una dozzina di spettacoli (con cento repliche all’anno), otto libri, due film. Scarse apparizioni in tv (una ventina in tutto, da Maurizio Costanzo), ma sempre più presente nei festival culturali, nelle librerie e nelle scuole. Poi la pratica della pittura, da sei anni, e la militanza nella “Casa dei risvegli”, che si occupa delle persone in coma. E sempre con un ritmo bruciante, che divora linguaggi, percorsi, vita. Se dal palco fa molto ridere, da vicino fa soprattutto impressione: per come convoca le parole e le fa danzare nel suo circo di significati. Gli hanno appena dato il premio Ubu (come miglior attore, per lo spettacolo Nel) e in maggio la University Italian Society lo vuole a Oxford per festeggiarlo.

C’è da chiedersi come faranno a tenerlo fermo per i due giorni previsti (il 20 e il 21), dal momento che è difficile bloccarlo su un solo argomento anche per due minuti.

Alessandro, ma quand’è che hai cominciato a parlare per non smettere più? «In fase prenatale, anche se il parlare c’entra poco, è la punta dell’iceberg. Il tema è il pensare, non il parlare. Tutti si fermano alla voce e alle associazioni verbali, ma la questione è quella del flusso interiore, che all’epoca io non riconoscevo. Un flusso mentale, filosofico, antropologico, che nasceva da sé».

Un dono? Una condanna? «La parola prescelto non mi piace, ma rende l’idea. Non amo il caso, credo più nel caos. Io faccio la danza del mentre: mentre penso una cosa ne parte un’altra, arriva la posta che mi manda un altro pensiero, apro la missiva e mentre la apro ne compongo un’altra ancora. Il linguaggio è il remo, la vela, la zattera: il vento che muove la vela è il pensiero. Lo so, di solito a pensare sono i filosofi, non i comici. Il comico deve parodiare e imitare, ma non pensare? Io invece ho una carta vetrata, quella della fantasia e dell’immaginazione. Che sono energie alternative, che mi muovono e mi possiedono. Recito sotto un effetto sciamanico, posseduto. Così ho iniziato a sentire questa sostanza stupefatta, e ho cercato qualcuno che la raccogliesse ».

E lo trovasti? «Claudio Calabrò. Ai tempi del liceo scrivevo novelle, ne avevo letta una sul palco della mia scuola, Storia di una mano. Claudio, insieme a Luigi Conti, mi disse che dovevo mollare tutto per recitare quello che scrivevo. Fu lui l’anima della mia nascita, quello che ci credette e investì in me. In seguito sarebbe stato il mio regista, fino ad arrivare a Riccardo Rodolfi».

Però era una scommessa non così azzardata, la gente rideva quando c’eri tu.«Ridevano di traverso, senza capire, anche loro quasi posseduti e senza poter raccontare alla fine nulla di ciò che avevano visto. Anche le prime recensioni furono un po’ annaspanti, i critici sembravano cani da tartufo».

Ma eri veloce, soprattutto, e di una velocità impressionante. «La dinamica è il senso di tutto. Io portavo i miei spettatori a spasso, e allo spasso nel simultaneo. Era nuovo, allora».

È interessante che a cadere più di altri nella tua rete siano gli estremi del pubblico, i semplici e i complessi, i bambini e gli intellettuali. Ricordo che Emilio Tadini era pazzo di te, anche perché il suo gusto pittorico era molto legato al lavoro delle avanguardie. «È l’incondivisibile quello che mi è sempre venuto a prendere a casa per dirmi usciamo, non il condivisibile. Cosa teorizza oggi un attore? Che la gente deve riconoscersi nel suo spettacolo. Una bestemmia, per me. Il pubblico deve domandarsi: ma dove stiamo andando? Uno spiazzamento che non è sinonimo di qualità, ma di differenza. Ma sono davvero pressato dai mestieri».

Troppi? «Una delle malattie del nostro tempo è quella del mestiere unico. L’industriale, il giudice, tutti dovrebbero cominciare a essere imputato, donna, paracarro, segretario. Io quando smetto di scrivere un libro o di fare uno spettacolo comincio altri mestieri: quello di malato, di albero, di madre, di motorino...».

L’evoluzione dei tuoi spettacoli: l’ultimo, Nel, impone momenti di commozione e segna un vero cambiamento. Del resto, tu sei sempre più magro, come se stessi sparendo per autocombustione. «Io li chiamo altri strati. Prima ce n’erano due, ridi e pensi. Ora c’è ridi, pensi, vai via, torni, scavi in alto. Stratosferico, una sfera tonda con tanti strati. Un effetto catastico, da catasta. Lo spettatore continua a ridere, ma deflagra. Da qui il mio motto: conosci tre stesso e non solo sul palco».

Ma anche l’ultimo dei tuoi tre sembra che soffra, quasi fosse ferito. «Le ferite c’erano anche prima, come prima c’era la pittura, anche se non dipingevo. C’era la sofferenza, ma non si vedeva. È come la differenza fra culla e bara: la bara è una culla che non dondola. Questo è il contemporaneamentre: un tempo che tiene tutto, e che non puoi accettare se ti occupi di realtà. Pensa a uno spettacolo sulla Gelmini, fra dieci anni! O a uno su Spadolini, adesso. Non è la realtà, la mia fonte, ma l’energia. Quella che aumenta sempre, e va negli incontri letterari, negli incontri sulla malattia, negli incontri sull’arte». altre soddisfazioni. Vogliamo parlare lo stesso della diversità? Dovremmo raccontare che ci sono persone che scelgono di vivere in un modo che a noi sembra invivibile».

E in questi incontri, l’attore dov’è? «Si sposta. Al Festival della filosofia di Modena ho fatto un’autopsia di me stesso per far vedere come nasce il pensiero, cosa ricevo dall’immaginazione, in tempo reale, mostrando come il pensiero diventa parola, aprendo le vene in pubblico. Lì sono un uomo più sociale, più civile e politico. Lì sono in ribellione. Da una decina d’anni in me la pace è finita, non mi accontento più. Non riesco più a leggere un giornale, vedere la tv, guardare un film passandoci sopra. Oggi capisco i danni della realtà sull’essere umano. E sono certo che c’è bisogno non di umanità, ma di sovrumanità ».

Cos’è il sovrumano? «Un medico dice: faccio il possibile, e questo è umano. Il sovrumano significa: voglio andare a vedere l’impossibile, il mistero, lo sconosciuto. Queste sono le materie che possono far crescere un essere umano. Non mi interessa più l’attore, il cittadino, mi interessa l’essere nella sua complessità. Sono gli artisti che me l’hanno detto, i Bene, i Paladino, i Burri, i Kandinsky: cerca il sovrumano, l’essere superiore, non come razza o religione ma come anima. Non mi considero né laico né religioso, ma spirituale. Se fai arte, ti occupi di spirito. Dobbiamo smetterla di occuparci di umanità, anche la guerra è umana. Citare Dante va bene, ma dobbiamo anche scrivere come Dante».

E il rischio di mettere in movimento una quantità di imbecilli? «È provocatorio, ciò che dico. Ma se non ci accontentassimo più dell’umano e cercassimo il sovrumano, ci sarebbe una selezione. Invece subiamo i reality come se fossero storia, ubriachi di cronaca cerchiamo mediazioni. Dovremmo accettare con l’accetta, invece, cercare la creazione e non la ricreazione, la parodia. Vogliamo rivalutare la differenza fra un creativo e un creatore, fra un pubblicitario e uno scrittore? Questo è fumo passivo. Perché devo ricevere il fumo passivo della tv, io che non la vivo, e dunque non fumo? La mia protesta è politica, in questo senso, perché dico che a noi manca un governo interiore. Dobbiamo ribellarci, con una violenza bell’e buona, non quella brutta e cattiva, che non mi è mai piaciuta. Creare Greenpeace culturali, andare fuori da certi studi televisivi e protestare. Bisogna intervenire subito, e fin dalla elementari, perché al liceo è tardi. Per esempio non puoi lasciare in mano solo ai giudici e agli scienziati o alla chiesa il testamento biologico. Intervenga altra trascendenza, altro pensiero. Non puoi parlare solo di norme ma anche di enorme. Prima di parlare del corpo devi parlare dell’essere, senza pregiudizi né dogmi. Io canto sempre nessun dogma, è la mia opera preferita. Non sono per una verità sola, ma chiedo che quando si parla di una persona in coma si cominci a pensare a qualcuno che sta vivendo altro tipo di vita: altro amore e altre soddisfazioni. Vogliamo parlare lo stesso della diversità? Dovremmo raccontare che ci sono persone che scelgono di vivere in un modo che a noi sembra invivibile».

Com’è nato questo bisogno di anima, dentro di te? «Sicuramente mi ha mosso anche la “Casa dei risvegli”, otto anni fa. Poi mi sono interessato a letture come i testi di antroposofia di Rudolf Steiner. Ma ora tutto sta inserendosi in me in modo sinfonico: la deformazione fisica, la scrittura, il diverso, la pittura e il sociale lavorano contemporaneamentre in me e suonano con tutti i mestieri che dicevo prima. E adesso io la musica la sento. Che non vuol dire che faccia buona musica. Ma voglio un caos dove tutto sia possibile, e sia dato di credere all’incredibile. E senza paura, che è il male del nostro tempo. Cosa cerca il ragazzo nella pasticca? Cerca l’oltre, e tu glielo devi dare anche con l’arte, aprendolo all’infinito. Questo mi spinge, anche come attore. Il pubblico è provato, non ha più le papille gustative. Va ripalatizzato. Stimo la ricerca, ma dobbiamo rilanciare soprattutto la ricerca dell’incommensurabile. Io voglio usare le mine pro uomo per far saltare l’accettazione e l’assuefazione. Cacciamo gli spensierati, prepariamo una felicità composta, che sia un canederlo zeppo di altri ingredienti. Sono i mezzi di distrazione di massa la droga che serve a chi vende paura. E finiamola di confondere sogni con bisogni: i bisogni sono desiderio e necessità, il sogno è indicibile, inaudito, rivelazione. Chiedo molto. Non bastiamoci più. Il poco crea metastasi culturali, non è innocuo. Voglio avvenire, non essere avvenente, voglio far succedere, non voglio successo».


Sul tema, nel sito, si cfr.:

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!! DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! MARX, come VIRGILIO, gli fa strada e lo segue. Contro il disfattismo, un’indicazione e un’ipotesi di ri-lettura. AUGURI ITALIA!!!

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.

-  RIPENSARE L’ EUROPA!!!
-  CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO".
-  Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA.
-  La buona-esortazione del BRASILE.

-  TEATRO, DEMOCRAZIA, E REGIME A "MUSICA LEGGERA". PERSO L’ESSENZIALE, BARICCO FA UN "ESEMPIETTO" TAROCCATO E, IN PIENO "STATO" SONNAMBOLICO, GRIDA: FORZA ITALIA!!!


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