[...] La testimonianza di GIOVANNI e SALVATORE sta salda nella roccia - a vostra vergogna!!!
Essi vi stanno dicendo che a SGF procede tutto per il meglio - e voi non ascoltate!!!
Che l’amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore sta governando molto bene - e voi non capite!!!
Vi si dice che il Papa andrà a San Giovanni Rotondo nel 2009 - e non ascoltate!!!
E se anche vi si dicesse che il Papa andrà a San Giovanni in Fiore nel 2010, voi non ci credereste!!! E che l’Amministrazione di SGF sta lavorando per questo, voi non ci credereste!!!
Per voi è tutto un degrado. [...]
(Le parole in evidenza rinviano ad altri articoli del sito, per leggerli, cliccare sul rosso)
Caro Emiliano Morrone,
Caro Biagio Allevato,
sordi e ciechi come siete, non sapete far altro che fingere di sollazzarvi!!!
Sollazzatevi pure!!!
La testimonianza di GIOVANNI e SALVATORE sta salda nella roccia - a vostra vergogna!!!
Essi vi stanno dicendo che a SGF procede tutto per il meglio - e voi non ascoltate!!!
Che l’amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore sta governando molto bene - e voi non capite!!!
Vi si dice che il Papa andrà a San Giovanni Rotondo nel 2009 - e non ascoltate!!!
E se anche vi si dicesse che il Papa andrà a San Giovanni in Fiore nel 2010, voi non ci credereste!!! E che l’Amministrazione di SGF sta lavorando per questo, voi non ci credereste!!!
Per voi è tutto un degrado. Un degrado che vedete soltanto voi, incapaci di leggere la vicenda del paese silano all’interno di un quadro molto più ampio..
Ignorate tutto e sparate sentenze, come i minorenni!!! Meditate un pò su che cosa significhi diventare adulti!!!
Anche il Papa lo sta facendo!!! E verrà a SGF a chiedere perdono a Gioacchino - e a Celestino (Pietro da Morrone!!!) Sarà una giornata memorabile - all’insegna della perdonanza!!!
Per questo grande evento - e non per altro - lavora l’amministrazione - non per altro!!!
RICORDATEVELO. Il resto sono solo balle - alla moda corrente (il ballismo ... del qua qua nazional-popolare) - ma balle!!!
Parlate, ma non sapete nemmeno quello che dite!!!
Sapete ripetere, ma non sapete nemmeno quello che dite!!!
SVEGLIA!!!
SVEGLIA!!!
Federico La Sala
Sul tema - VERITA’ E RICONCILIAZIONE, in rete e nel sito, si cfr.:
VERITA’ E RICONCILIAZIONE. LA SAGGIA INDICAZIONE DEL SUDAFRICA DI MANDELA, DI TUTU, E DI DECLERCK
SUDAFRICA (Wikipedia).
IL NUOVO SUDAFRICA: UN ARCOBALENO DI LINGUE, IN MOVIMENTO.
USA: LARATTA (PD),
DOPO CITAZIONI OBAMA SU GIOACCHINO
PROPOSI A SINDACO DI INVITARLO IN CALABRIA
Cosenza, 28 ago. - (Adnkronos) - "Sono venuto a sapere che Obama aveva citato per ben tre volte Gioacchino da Fiore in occasione di una manifestazione gioachimita che si e’ svolta qualche mese fa in una citta’ del nord Italia.
Cosi’, a giugno scrissi una lettera al sindaco di San Giovanni in Fiore, Antonio Nicoletti, e al presidente del Centro Studi Gioachimiti Salvatore Oliverio in cui sostenevo che sarebbe stato giusto invitare il candidato democratico alla Casa Bianca a San Giovanni in Fiore".
Lo dichiara all’ADNKRONOS Franco Laratta, deputato del Pd. "In quella lettera - prosegue Laratta - scrissi anche che qualora Obama fosse stato eletto, mi sarei riservato di attivare i canali diplomatici del governo per contattarlo e rivolgergli un invito ufficiale a recarsi in Calabria.
Al di la’ della sua elezione - aggiunge - avevo anche proposto di anticipare la disponibilita’ di assegnare la cittadinanza onoraria a Obama e nominarlo membro ad honorem del Centro Studi Gioachimita".
L’America pronta al voto: sondaggi per Obama *
Conto alla rovescia negli Stati Uniti, dove i candidati alla Casa Bianca, Barack Obama e John Mc Cain sfruttano gli ultimi scampoli di campagna elettorale per convincere gli indecisi a scegliere.
Ore decisive per la ’corsa’ alla Casa Bianca e i due protagonisti si giocano le ultime carte per vincere l’appuntamento con la storia. L’ultimo sondaggio Reuters/Zogby dà Barack Obama in testa in sei degli 8 Stati-chiave (tra i quali, anche i decisivi Florida e Ohio). Secondo la rilevazione giornaliera, Obama ha un vantaggio di 7 punti anche a livello nazionale (domenica erano 6). E a ventiquattr’ore dal voto, il senatore afro-americano è avanti di 1 punto in Missouri, di 2 in Florida, ma anche in Ohio, Virginia e Nevada, tutti Stati vinti da Bush nel 2004.
Questi 5 stati assegnano insieme il 76 per cento dei "grandi elettori"; e quindi, insieme agli Stati vinti da John Kerry nell’ultima tornata, darebbero al senatore dell’Illinois 328 ’grandi elettorì, decisamente più del necessario (270) per conquistare la Casa Bianca. Obama è anche in vantaggio di 11 punti in Pennsylvania uno Stato in cui McCain ha giocato tutte le sue carte; ed è in vantaggio di 5 punti in Indiana e di 1 in North Carolina, entrambi conquistati da Bush nel 2004. E dunque mentre tutti i sondaggi danno Obama con il vento in poppa (ieri un sondaggio Gallup gli dava 10 punti vantaggio) a McCain non rimane che sperare negli indecisi, in coloro cioè che per ragioni razziali o per paura del cambiamento, potrebbero ribaltare le previsioni. Secondo il ’New York Times’, il 4 per cento dell’elettorato non ha ancora deciso chi votare; e il dato è ancora più evidente in alcuni Stati.
Tutto si deciderà martedì e farsi ingannare dai sondaggi potrebbe essere un brutto affare, ma la Cnn continua ad alimentare le speranze di chi sogna un nero alla Casa Bianca: secondo la tv americana il vantaggio di Obama su McCain è stabile a sette punti. E soprattutto a perdere favori è la Palin, la governatrice dell’Alaska che McCain ha scelto come vice e che aveva fatto tremare i democratici. Ma “l’innamoramento” per fortuna sembra essere durato poco: dà un parere negativo su di lei il 48 per cento degli americani, mentre ad agosto era solo il 21 per cento.
* l’Unità, Pubblicato il: 03.11.08, Modificato il: 03.11.08 alle ore 11.26
Scoperte dalla polizia molte opere costruite con materiali altamente pericolosi
Sequestrate 18 aree nell’area cittadina ma anche a Cutro e Isola Capo Rizzuto
Crotone, scuole fatte con rifiuti tossici
sette persone indagate dalla procura
Migliaia di tonnellate di materiale con arsenico, zinco, piombo, indio, germanio e mercurio proveniente dall’industria "Pertusola" invece di essere smaltiti in discarica erano usati in edilizia *
CROTONE - Scuole, parcheggi, strade, case e opere pubbliche costruite con materiale di scarto industriale, rifiuti tossici e sostanze cancerogene. E’ quanto emerge dall’operazione della polizia denominata ’Black Mountains’ che questa mattina ha portato al sequestro di ben 18 aree disseminate lungo tutto il territorio crotonese fino a Cutro e Isola Capo Rizzuto, aree ad alta densità mafiosa nell’entroterra. La procura della Repubblica di Crotone, coordinata dal sostituto procuratore Pierpaolo Bruni, ha provveduto a sequestrare le strutture al centro dell’indagine. Sette persone sono state iscritte nel registro degli indagati.
Almeno 350 mila tonnellate di materiali tossici sono state utilizzate per costruire, tra l’altro, tre cortili di altrettante scuole: l’elementare San Francesco e un istituto tecnico superiore, entrambi di Crotone, e una scuola elementare a Cutro. Arsenico, zinco, piombo, indio, germanio, mercurio, sostanze tossiche speciali provenienti dagli scarti dell’industria "Pertusola" di Crotone che invece di essere smaltiti con le cautele di legge venivano impiegati in edilizia.
Il materiale avrebbe dovuto essere trattato in discariche specializzate ed invece sarebbe stato ceduto a imprese di costruzioni che lo hanno utilizzato in lavori edili riguardanti anche alloggi popolari, villette, una banchina portuale e strade.
Sette gli indagati, rappresentanti legali di ditte edili e funzionari dell’azienda sanitaria: Vincenzo Mano, legale rappresentante pro-tempore della Pertusola sud, che ha chiuso l’attività alla fine degli anni ’90; Giovanni Ciampà, rappresentante legale delle imprese Ciampà; Paolo Girelli, rappresentante legale dell’impresa Bonatti; Alfredo Mungari, rappresentante legale della Costruzioni Leto e i tre funzionari dell’asl regionale: Domenico Colosimo, Francesco Ruscio e Domenico Curcio. Per tutti l’accusa è associazione a delinquere.
Il sequestro delle 18 aree è stato notificato al presidente della Provincia, Sergio Iritale, che ha diffuso una nota durissima. "La notizia - si legge - conferma, se pure ce n’era bisogno, la gravità eccezionale della situazione ambientale su larga parte del territorio provinciale e, in particolare, la responsabilità che, nel determinarsi di questa situazione, hanno avuto le politiche di aggressione al territorio e di rapina delle risorse per lunghi anni attuate dall’Eni attraverso le società controllate e le attività condotte nella provincia di Crotone".
"Questo - continua la nota - è il risultato della logica del profitto a tutti i costi, che ha trovato sul posto classi dirigenti cieche ed insensibili. Persino settori dell’informazione, sull’altare di meschini interessi economici, hanno chiuso gli occhi davanti a realtà inquietanti, che oggi si manifestano in tutta la loro esplosiva negatività. Incalcolabili danni sono stati causati alla salute dei cittadini, all’ambiente, al sistema produttivo".
La crisi morale del capitalismo
di Giorgio Ruffolo (la Repubblica, 24.09.2008)
Credo che l’uragano passerà senza travolgere l’economia mondiale. Il segretario di Stato Paulson, quello cui, come dice l’Economist, si rizzano in testa i capelli che non ha, aveva fatto, finalmente, la cosa giusta. Aveva lasciato fallire una grande banca, evitando che gli rovinasse addosso con un altro salvataggio. Subito dopo però ha dovuto cedere alla pressione del mondo finanziario, intervenendo nel ben più costoso salvataggio del colosso assicurativo Aig. Così, una volta ancora, le voragini aperte nel libero mercato saranno colmate dai contribuenti. Quali saranno le conseguenze nessuno, neppure lui, lo sa.
C’è chi teme che questo nuovo tremendo colpo possa coinvolgere l’intero sistema. Ma l’economia capitalistica è più forte della devastatrice finanza che ha generato. E tuttavia, questa crisi può essere fatale al capitalismo sotto un aspetto più generale e più profondo.Dal punto di vista strettamente economico, dietro l’inestricabile groviglio delle tecnicalità, c’è una realtà inoppugnabile: la sproporzione dell’indebitamento americano (di tutti, privati, banche, Stato) rispetto al reddito, e della finanza rispetto all’economia reale. Sul perché e sul come abbiamo ragionato tante volte. Non ci torno. È diventato presente ciò che era evidente. Tranne che per gli estatici ammiratori delle tecnicalità finanziarie.
Vorrei parlare invece del colpo mortale che questa crisi di inizio secolo sta portando al «turbocapitalismo», minandone la credibilità morale. Ogni sistema storico di organizzazione della società ha bisogno di una base di legittimazione morale. Gli schiaccianti dominatori degli antichi imperi avevano bisogno di un dio che li sovrastasse, loro e le loro piccole regine. Quando i mercanti del Medioevo entrarono nella polis ebbero bisogno di un faticoso compromesso con la Chiesa, da loro abbondantemente finanziata, per superare tortuosamente lo scandalo dell’interesse.
L’ideologia economica del nascente capitalismo ebbe origine nelle scuole di filosofia morale. La migliore legittimazione non gli fu offerta però dai dubbi princìpi delle virtù weberiane ma da quelli più pratici dell’utilitarismo che insegnavano a trarre dall’egoismo, e non dalla virtù, l’energia necessaria per promuovere la ricchezza, a vantaggio, si diceva, di tutti. Insomma, il capitalismo si giustifica non con le sue premesse, ma con i suoi risultati. E non c’è dubbio che, fino a tutta la metà del secolo ventesimo, i suoi risultati in termini non solo di crescita economica, ma di progresso sociale, siano stati tali, non dico da compensare ma da sopportare gli enormi costi impliciti nella crescita.
Ciò che sta succedendo nel mondo ci dice che la promessa di una estensione universale del benessere è incrinata dall’esperienza di un mondo sempre più instabile e ingiusto. Il «miracolo» della finanza internazionale, che ha realizzato enormi spostamenti di ricchezza dai paesi più ricchi ai paesi più poveri si traduce, all’interno di quei paesi, in un gigantesco divario tra i gruppi sociali emergenti e quelli lasciati ai margini. In India l’estrema ricchezza e l’estrema povertà sono aumentate. La stessa cosa sta avvenendo in Cina. Dall’ultimo rapporto della Banca Mondiale risulta che il livello di povertà è aumentato nel mondo a 1,4 miliardi di uomini e di donne, che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. L’indice Gini della disuguaglianza relativo alla popolazione mondiale è aumentato negli ultimi quindici anni di sette punti, poco meno del 20 per cento.
Ma è soprattutto negli Stati Uniti che la disuguaglianza tra classi medie impoverite ed élites arricchite si è imposta. Lo stesso indice Gini che era caduto al 41 per cento nel 1970, è aumentato negli ultimi trent’anni a 47. Ciò che sta succedendo, dice Robert Reich, dice David Rothkorpf, non è solo un aumento delle disuguaglianze, ma una vera e propria secessione sociale: un 1 per cento della popolazione che dispone del 40 per cento del prodotto nazionale.
Ma che c’entra tutto questo con i disastri finanziari di oggi? Moltissimo. Negli ultimi venti anni è proprio l’allocazione delle risorse della economia guidata dai mercati finanziari che si è tradotta in termini reali in un aumento delle disuguaglianze e in una devastante pressione sulle risorse naturali: in direzione opposta ai bisogni reali dell’umanità. Nel più ricco e indebitato paese del mondo, gli Stati Uniti, la sproporzione tra i guadagni dei condottieri delle grandi imprese, anche quelli che le hanno portate al disastro, e la gente comune sono diventati sbalorditivi. Le risorse mondiali sono state indirizzate da un sistema finanziario poderoso verso un gigantesco indebitamento, sostenuto da un credito sfrenato. Il nome turbocapitalismo si adatta bene a questo sistema sventato. La spesa mondiale annuale della pubblicità che alimenta i consumi e l’inquinamento, ammonta a 500 miliardi di dollari, quella della ricerca sanitaria a 70 miliardi. A 62 miliardi quella destinata dai paesi ricchi ai paesi poveri. Ripeto: non credo che siamo alla vigilia di un nuovo collasso capitalistico. L’economia mondiale dispone di immense risorse mobilitabili nell’emergenza.
Siamo di fronte però al fallimento morale di una promessa. Quando un sistema perde la sua legittimazione etica, perde anche la sua vitalità storica. Un sistema fondato sulla dissipazione e sulla ingiustizia ha il futuro contato.Poco meno di trent’anni fa un brillante economista inglese immaturamente scomparso, Fred Hirsch, scrisse un libro profetico: i limiti sociali allo sviluppo. Ciò di cui soprattutto il capitalismo soffre, egli affermava, era uno sbriciolamento della sua base morale. Ciò di cui soprattutto aveva bisogno, era «un rientro morale». Non se ne vedono le tracce.
Famiglia cristiana accusa: «Paese verso la semidemocrazia»
ROMA «Italiani brava gente, si diceva una volta», ma di fronte agli ultimi episodi di intolleranza, secondo Famiglia cristiana, sembra che l’Italia stia «cambiando pelle». «Oggi - commenta Famiglia cristiana - a leggere certi recenti episodi di cronaca, sembra di essere diventati il Paese dell’intolleranza. Una intolleranza che non è di matrice razzista, ma che può diventarlo».
Ma il settimanale affronta anche un altro tema scottante. Neppure alle europee «potremo sceglierci i rappresentanti con lo strumento delle preferenze» perché Berlusconi, ricorda Famiglia Cristiana, ha deciso di servire la «porcata numero due» (come la chiamò il suo creatore, il leghista Calderoli), ovvero - scrive la rivista dei paolini nell’editoriale del prossimo numero - una copia delle disposizioni più antidemocratiche della legge elettorale con cui abbiamo votato alle ultime politiche».
Dalle leggi elettorali, osserva Famiglia cristiana nell’editoriale intitolato «Declino e metamorfosi della nostra democrazia», «dipende la qualità della democrazia» e «abolire le preferenze equivale a scippare i cittadini di un diritto di rappresentanza democratica». Per Berlusconi, commenta la rivista, le liste bloccate permettono di avere «professionisti che possono autorevolmente rappresentare il Paese in Europa», ma affermare questo è «un insulto all’intelligenza degli elettori».
Per capirlo «basta fare un giro tra Camera e Senato per vedere le aule affollate di portaborse, segretari, cortigiani e figli di papà». «Quando non si riconosce il ruolo dell’opposizione (e il suo leader viene definito inesistente), - commenta l’editoriale - quando si toglie autonomia al potere giudiziario, quando l’opinione pubblica (addomesticata o narcotizzata grazie al controllo dei media) non è più in grado di effettuare un costante controllo sulle scelte politiche, ci si avvia, come dice il sociologo Campanini, a una semi-democrazia, a un processo degenerativo che svuota il Parlamento delle sue funzioni, sulla scia della Russia di Putin o del Venezuela di Chavez».
* l’Unità, 24.09.2008
Bertone: il Papa nel 2009 a San Giovanni Rotondo
di GIOVANNI RUGGIERO (Avvenire, 24.08.2008)
DAL NOSTRO INVIATO A SAN GIOVANNI ROTONDO (FOGGIA) Un applauso lungo e caloroso l’ha interrotto nell’omelia quando ha dato l’annuncio tanto atteso: Benedetto XVI verrà, pellegrino tra i pellegrini, sul monte del Gargano sulla tomba di san Pio. Il cardinale Tarcisio Bertone, nella chiesa dedicata al santo di Pietrelcina, fa un inciso e, con parole semplice, dice: «Il Santo Padre sarà felice, ha confidato, di stare qui. Ormai tutto è predisposto: Benedetto XVI verrà, in una data ancora da stabilire, ma nel 2009 a San Giovanni Rotondo», poi, dopo questo applauso di gioia, ha ripreso la sua omelia.
Il segretario di Stato vaticano ha presieduto la solenne concelebrazione sotto gli eleganti archi di pietra di Apricena voluti dall’architetto Renzo Piano per il nuovo tempio dedicato a Padre Pio. Può contenere 6.500 persone, e le panche disposte a raggiera sono tutte occupate.
La Messa, dopo la veglia nella notte gelida dell’altra sera, ha chiuso in modo solenne la festa del santo, ricordato il 23 settembre. È stata concelebrata dall’arcivescovo di Manfredonia-Vieste- San Giovanni Rotondo e delegato pontificio per il santuario Domenico Umberto D’Ambrosio, dal ministro generale dei cappuccini, fra’ Mauro Jöhri, dal provinciale fra’ Aldo Broccato, oltre a numerosi vescovi anche appartenenti all’ordine dei frati minori.
È stato l’arcivescovo D’Ambrosio a portare il saluto al porporato che - lo ha ricordato - per la terza volta è salito fino al santuario. «Come sempre - ha detto in un punto del suo saluto - la numerosa e affollata assemblea liturgia scandisce e rende sempre più vere le parole profetiche di Padre Pio quando diceva che avrebbe fatto più chiasso da morto che da vivo. È il chiasso della santità - ha aggiunto - che deve farsi strada in un mondo segnato ancor più da paure, incertezze, paurosi cali di speranza e di fiducia».
La festa coincide con due anniversari propri di questi giorni: la comparsa delle stimmate novant’anni fa e la morte di san Pio, il 23 settembre, appunto, di quarant’anni fa. Il cardinale Bertone ha ripercorso le dolorose e sofferte tappe terrene del santo, a partire dalla consacrazione in giovane età (i suoi superiori temettero che dovesse morire presto e, dunque, affrettarono i tempi) fino all’impressione delle stimmate, e poi la morte. «Padre Pio - ha spiegato il porporato - fu veramente servo buono e fedele del Vangelo; visse tutto orientato verso il regno dei cieli; fu discepolo di Cristo che non cercò altro vanto se non amare e soffrire per lui; fu sacerdote che non cercò altro che consumarsi nell’amore di Dio e per i fratelli, come testimoniano le sue lunghe giornate di ascolto dei penitenti e le altrettanto lunghe nottate di preghiera vegliando con il Signore crocifisso; fu figlio sincero della Chiesa che anche nelle occasioni più dolorose preferì non difendersi, morendo a se stesso sepolto nel silenzio docile dell’obbedienza lacerante, ma feconda ». Papa Paolo VI lo definì «un rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore», il cardinale Bertone, riprendendo queste parole, ha sottolineato: «Le stimmate lo mostravano e lo indicavano ai fedeli inchiodato alla Croce proprio nel momento in cui celebrava Messa; esse sembravano ancora indicare fisicamente il prezzo di sangue pagato da Cristo ogni volta che amministrava il sacramento del perdono e ricordavano, a chi chiedeva intercessioni o miracoli, quanto costassero quelle ’grazie’ che Dio con generosità distribuiva. Eucaristia, perdono, risurrezione: riassumendo tutte queste realtà, le stimmate ne mostravano la misteriosa sorgente».
Prima di officiare, il cardinale Bertone si è inginocchiato davanti al corpo del santo esposto in questi giorni (e lo sarà per un altro anno) nella cripta della chiesetta di Santa Maria delle Grazie. A chi gli chiedeva delle sue emozioni, ha detto semplicemente che tutta la vita di Padre Pio lo ha sempre commosso per la sua eroicità, e nell’omelia, ha ricordato gli sforzi immani che segnarono tutta l’esistenza del santo. «Noi - ha detto - potremmo considerare la condizione che toccò in sorte a Padre Pio come un sommo privilegio; egli la visse invece con spavento e terrore, fino al punto di sentirsi dannato. Cristo - ha aggiunto - donò a Padre Pio le sue stesse piaghe per renderlo partecipe delle sue stesse sofferenze patite per la nostra redenzione. Era atterrito, non in quanto manifestavano l’amore di Cristo per lui e per il mondo, ma in quanto manifestavano le ferite inferte a Cristo, i dolori di Cristo e l’aggravarsi su di Lui del peso dei peccati del mondo».
Bertone ha poi ricordato la sua capacità di accogliere tutti indistintamente, mettendo in pratica la parola del Vangelo secondo cui si diventa padri e madri, fratelli e sorelle non solo nella carne, ma anche nell’ascolto e nel rendere fruttuosa la parola di Dio. È ancora così. Anche ieri erano in fila migliaia di persone per vedere Padre Pio, anche se il cappuccino non c’è più. L’annuncio ieri mattina durante l’Eucaristia presieduta dal segretario di Stato vaticano nel 40° anniversario della morte di Padre Pio «servo buono e fedele del Vangelo, figlio sincero della Chiesa»
Azione e Reazione
di E. Milingo
22 settembre 2008 *
Azione e Reazione
Saluti dall’Africa. E’ bello essere si nuovo a casa. Abbiamo trascorso 40 giorni in serenità, senza grossi problemi, fin quando non siamo arrivati in Corea. Ci stiamo di nuovo adeguando al clima coreano. Grazie delle vostre preghiere e degli auguri per il mio 50° anniversario di ordinazione, nonché del mio matrimonio. Tutto è andato bene. Grazie a Dio e a tutti voi.
Miei cari confratelli preti sposati, noi comprendiamo i vostri problemi. C’è un proverbio africano che dice: "Wamva M’mimba ndiye atsekula citseko - Uno che ha mal di pancia corre verso la porta per liberarsi!".
In molte case africane i bagni non hanno la porta. Devono andare all’aperto per i propri bisogni. Molti di voi, alcuni sono già deceduti, si aspettavano che la vostra madre chiesa prendesse a cuore la vostra situazione. Ma ancora oggi vi trovate nella medesima situazione.
In questo periodo la chiesa cattolica romana sta indicendo una campagna per convincere i fedeli ingenui che noi siamo una setta. Alcuni di questi cristiani che hanno creduto in ciò che diciamo riguardo il celibato obbligatorio, sono stati allontanati dalle chiese, tacciati di essere seguaci della setta di Milingo. Non sappiamo fino a che punto si arriverà.
Il problema è che in molti paesi i preti sposati hanno ancora paura di celebrare la messa in pubblico. Naturalmente, è lo stesso prete che continua a nascondersi. In Kenya, un prete sposato e un seminarista stanno creando ampi spazi all’aperto per grandi celebrazioni. E la gente sembra accettare la cosa. Il prete sposato ha difficoltà a spostarsi in bicicletta e alcuni fedeli gli hanno concesso dello spazio per costruire una chiesa. Egli ha condiviso questa sua esperienza con i preti sposati del Kenya, che hanno preso sul serio la cosa tanto da istituire il capitolo dei preti sposati del Kenya, dal titolo: Il Capitolo della Prelatura Married Priests Now in Kenya - Prelatura Cattolica dei SS. Pietro e Paolo.
E’ triste vedere i preti sposati dello Zambia, che sono come topi che muoiono di fame nascosti in una tana, col terrore delle conseguenze di una eccessiva esposizione. Se i topi fossero usciti allo scoperto, il peso sarebbe stato percepito in modo relativo.
Ma preferiscono morire di fame per niente. I preti sposati dello Zambia hanno troppa paura del Vaticano, della chiesa cattolica romana. Mi hanno parlato, li ho invitati al meeting dei pastori, ma non sono mai usciti fuori. Comunque, anche senza di loro, dopo il meeting dei Pastori, abbiamo costituito un fronte cristiano unificato. Abbiamo deciso di nominare la nostra unione: Prelatura Cattolica Apostolica dello Zambia. Ci sembrava che ’una diocesi’ fosse troppo vicina alla tradizione della struttura cattolica romana. Abbiamo metodisti, presbiteriani, teosofisti, pentecostali ed evangelici. Speriamo di annettere presto alcuni anglicani, luterani e aventisti del settimo giorno. Erano presenti all’incontro alcuni osservatori.
Riguardo a come procedere insieme, ne abbiamo discusso il 17 settembre insieme ad un comitato eletto, dopo aver lasciato lo Zambia. Stiamo aspettando le minute dell’incontro del 17 settembre. Che grande responsabilità abbiamo! Abbiamo intrapreso senza dubbi la via dell’unità, come dice la lettera agli Efesini 4:1-6.
Scrivo questa email sotto forma di ’azione e reazione’ affinché anche loro si muovano. Faremo un follow-up prima della fine dell’anno, inviando un arcivescovo della Prelatura in Zambia ad incontrare i Pastori. Il tema su cui indubbiamente si può intraprendere una azione è: "Vivificare la Comunità Cristiana".
Ritorno in Africa a Dicembre: Camerun
Dopo aver lasciato il Camerun, le voci dei pastori camerunensi si sono fatte sentire.
Ma non è stata colpa nostra. I vescovi ci hanno incontrati in privato. Ci dispiace che sia andata così. Eravamo sotto il controllo dei vescovi Gallicani, Bizantini e Stevenisti. L’anziano vescovo cattolico di Brazaville questa volta non è venuto, sebbene fosse presente al Catholic International Symposium. Questo è il comitato di vescovi che è stato istitutito lo scorso anno. Non hanno annesso tra le fila nuovi vescovi Metodisti, Presbiteriani, ecc. Ci sono ben 168 denominazioni cristiane in Camerun. Sia la chiesa cattolica romana che quella anglicana, reclamano il monopolio della religione. Quindi in Camerun, la religione ufficiale è cattolica romana. Comunque, non esistono eccezioni al celibato obbligatorio che abbia causato decessi nei preti o nelle religiose di cui non si sia tenuto conto.
Dato l’alto numero di vescovi in Camerun che vogliono appartenere alla nostra unione, sono stato nominato Patriarca. Ho chiesto loro quali fossero i miei compiti. Ci stanno lavorando. Esiste un solo altro patriarcato in Africa, iin Egitto, Cairo.
Bisognerà studiarla bene, dato che nella chiesa cattolica romana il patriarcato è stato abolito.
La sede di Venezia l’aveva spuntata, ma ora non più. Sono ignorante sulla natura dei Patriarcato e su ciò che comporta. Comunque, se ne parlerà in dicembre.
50° Anniversario del mio Presbiterato
E’ stato celebrato in Kenya. Eravamo solo 10 all’inizio della messa. Ma alla fine eravamo circa 40. E’ stato bello perché ognuno di loro ha formulato una sua preghiera per me. Non abbiamo indugiato sul rituale vero e proprio. I fondi erano abbastanza limitati, ma abbiamo fatto il possibile con quello che avevamo.
Matrimonio
Ho coinvolto i miei confratelli di Ngoni. Hanno contribuito positivamente. Mi hanno consigliato e sostenuto e hanno partecipato al rinfresco e alle danze. La gente era contenta e si è divertita. Tornando a Lusaka, la capitale, abbiamo richiesto la registrazione del certificato di matrimonio e abbiamo dovuto pagare un sacco di soldi, come se un uomo, anche se proviene dallo Zambia, non potesse sposare una straniera. "E’ la legge", e non si scappa.
Azione e Reazione
E’ inutile starsene a piangere, guardando un uomo ferito che si è tagliato accidentalmente. Lui continua a perdere sangue e muore per emorragia. Torniamo alla storia di quell’uomo che si è lasciato morire senza cercare sluzioni e vie d’uscita per fermare il sangue che usciva dalla ferita. Le centinaia di preti sposati che sono rimasti nella stasi, che si sono sepolti senza cercare una strada per vivere: "Non c’è più nulla da fare per me?" Rispondiamo: "No. La tua salvezza è con noi. Torna alla vita. Noi ti sveliamo quello che dovresti già sapere: che sei prete per sempre e nessuna autorità può toglierti tutto questo. Il popolo di Dio aspetta che tu ti offra come prete sposato e ti abbraccerà".
Miei cari preti sposati, indossate i panni che furono di S. Gertrude, il suo modo di reagire quando sentiva il peso delle sue mancanze. Lei diceva: "La mia anima si è sciolta con te e io voglio raggiungerti. Ma tra me e te vedo una distanza che non può essere colmata. La sua sommità è coperta di spine e mi sembra di non avere possibilità di tornare a te. Mi sono fermata per purificarmi dai peccati che erano poi il senso di quella distanza. Nella mia piccolezza, tu hai usato misericordia e mi hai posto al tuo fianco senza difficoltà. La mano che mi hai teso era il compimento della tua promessa e ho riconosciuto i raggi luminosi che hanno cancellato il ricordo dei torti subiti" (Col. 2: 14). (S. Gertrude 1256-1302). Siete stati feriti, non restate feriti. Ricordate: "Mi hai posto con misericordia accanto a te, senza difficoltà", dice S. Gertrude.
Con affetto
Arcivescovo E. Milingo
* Il Dialogo, Mercoledì, 24 settembre 2008 - sul sito, il testo originale.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Italia, più corruzione: in un anno indietro di 14 posti *
Tangenpoli è archiviata ma la corruzione in Italia è segnalata in netto aumento. Quella diffusa, spicciola, così come quella estesa a livello di sistema nei vari apparati statali e nella politica.
Oltre all’inflazione percepita e alla paura percepita anche questo indice - codificato però -è virato al brutto tra gli ultimi mesi del 2007 e i primi del 2008. La rincorsa della corruzione ci ha fatto precipitare a un punteggio di 4,8 su una scala da 1 a 10, nella quale 10 è la Danimarca e 1 è la Somalia, uno stato fallito, in disfacimento.
La «pesante retrocessione» italiana non è una tendenza ma una battuta d’arresto: nel 2007 infatti l’Italia aveva recuperato posizioni attestandosi a un 5,2, una insufficienza meno vergognosa. Ora invece siamo tornati quasi al livello del 2006 quando pure la lancetta indicava 4,9 punti su dieci. Un ritorno all’antico, dunque, guardacaso che corrisponde allo stesso presidente del Consiglio.
Tant’è. Nella graduatoria mondiale siamo di nuovo scivolati al 55° posto, al pari di uno dei maggiori paradisi fiscali come le isole Seychelles. Mentre nel 2007 eravamo faticosamente arrivati al 41° posto, ora siamo tornati in compagnia di paesi come il Botswana (5,8 punti), l’Uruguay (6,9 punti) e la Slovenia (6,7 punti).
A stilare questa classifica sul grado di corruzione che secondo i cittadini regna nell’amministrazione pubblica e nella politica è Transparency International, organizzazione internazionale indipendente che ogni anno stila il suo rapporto mondiale.
Lo studio, pubblicato a Berlino, copre 180 paesi e fornisce un indice della percezione della corruzione basato su una serie di sondaggi ad hoc effettuati nei quattro angoli della Terra e elaborati sulla base dei parametri del professor Lambsdorff dell’università di Passau.
La cosa più interessante che viene evidenziata per quanto riguarda l’Italia è ancora una volta una netta distinzione regionale del fenomeno. Con regioni che totalizzano un punteggio del 3,3 di corruzione e altre con addirittura il 6,3. Uno squilibrio che viene confermato anche dai parametri della ricerca «Pisa» sugli investimenti e i risultati nella scuola, come fa notare Lina Esposito Marafon, responsabile di Trasparency Italia. Mentre un altro ambito preso in esame nel dettaglio è quello degli appalti nella sanità: scelte, costi e trasparenza di graduatorie e gare.
Come rimedio e argine alla corruzione montante, la presidente di Trasparency Italia Maria Teresa Brassiolo chiede al ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta di «nominare con la massima urgenza un nuovo sottosegretario con la funzione di Alto commissario alla lotta alla corruzione». Un’autorità super partes in grado di proseguire il monitoraggio e di indagare caso per caso.
Tornando al resto del mondo, i più virtuosi in fatto di buongoverno restano i paesi scandinavi con la Finlandia che ha perso il pari merito del primo posto e viene scavalcata dalla Danimarca retrocedendo al terzo, dopo Svezia e anche Nuova Zelanda. Ma stiamo sempre su un punteggio oltre il 9.
La Bulgaria è il Paese dell’Unione europea con il livello peggiore (ma il Kosovo non è ancora entrato a far parte della lista ed è stata compilata prima della sospesione del ministro del lavoro bulgaro Paul Pacuraru sommerso dagli scandali ndr). Alla Bulgaria questo primato è costato caro:la Ue ha infatti congelato i fondi europei in attesa di miglioramenti.
In grande progresso è invece la Turchia che sale dal 64° al 58° posto, incremento sottolineato anche dagli esperti di Transparency.
Sul fronte dei Balcani, l’Albania ha ottenuto il risultato migliore in termini di avanzamento, mentre il primo Paese dell’area è la Croazia che si piazza al 62° posto in avanzamento: era al 64°. Segue la Macedonia (da 84 a 72), il Montenegro (da 84 a 85), la Serbia (da 79 a 85) e la Bosnia Erzegovina (da 84 a 92).
A est spicca l’Ucraina che perde ben 16 posizioni (dalla 118 alla 134) a causa dell’instabilità politica che aumenta la percezione della corruzione.
Nella sfera dell’ex Unione sovietica, un netto miglioramento è stato registrato in Georgia, che passa dalla 79°alla 67° posizione della classifica in un solo anno.
Nelle zone decisamente basse della lista rimane anche la Russia, che peggiora anche se di poco dal 143 al 147. Da Mosca alla più profonda provincia, d’altronde, la corruzione è un problema endemico in Russia, riconosciuto sempre più apertamente dalle autorità. Il presidente Dmitri Medvedev ne ha così fatto uno dei punti chiavi della prima parte del suo mandato e un piano globale anti-corruzione potrebbe approdare alla Duma a fine mese. Altrettanto male, se non peggio, della Russia, poi, nell’arco dal 145° al 166 si piazzano le altre repubbliche dell’ex "impero" sovietico: Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan, l’Azerbaigian, il Turkmenistan e l’Uzbekistan.
«Arginare la corruzione necessita di una stretta sorveglianza dei parlamentari, dell’applicazione della legge, di media indipendenti e di una società civile viva - ha spiegato Huguette Labelle, direttore dell’ong Transparency International - Quando queste istituzioni sono deboli, la spirale della corruzione esce fuori controllo con conseguenze terribili per la gente comune, per la giustizia e per l’uguaglianza della società».
Nei paesi più poveri la corruzione - sottolinea ancora Labelle- può fare la differenza tra la vita e la morte di migliaia di persone, specialmente se si traduce in un accaparramento di risorse indispensabili e sempre più preziose come l’acqua potabile o la gestione dei soldi per gli ospedali e le cure mediche.
* l’Unità, Pubblicato il: 24.09.08, Modificato il: 24.09.08 alle ore 19.16
Il passo breve verso l’autoritarismo
Don Antonio Sciortino (la Repubblica, 25 settembre 2008)
La semplificazione del quadro politico alle ultime elezioni e l’ampia investitura popolare ottenuta dal Pdl (e di conseguenza dal governo del presidente Berlusconi) ha posto nel paese la questione del rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia di opinione. Il dibattito può assumere anche toni drammatici quando, invocando l’estesa legittimazione popolare al governo in carica, si mette in dubbio la possibilità altrui di esprimere opinioni e critiche sull’operato del governo. Quando poi gli attacchi vanno dritti contro un giornale e si dissente sul diritto all’opinione diversa e alla critica (non verso le istituzioni, ma verso le idee e le azioni che uomini delle istituzioni esprimono), è legittimo chiedersi se non sia in atto un ritorno all’autoritarismo, che disprezza il principio dell’uguaglianza delle idee, almeno nella loro possibilità di esprimersi.
Ciò che è accaduto di recente nei confronti di Famiglia Cristiana per le sue critiche ad alcuni provvedimenti del governo, è esattamente questo. Chi governa con ampio mandato popolare ritiene, forse, che è suo compito anche spalmare il paese di un pensiero unico e forte, senza ammettere alcun diritto di replica? In realtà, da sempre noi non abbiamo mai risparmiato critiche a governi e opposizioni, usando sempre lo stesso metro di giudizio, che è una visione solidale della realtà. Famiglia Cristiana si è comportata così con tutti i governi, anche quelli democristiani, quando ci sembrava giusto e cristiano farlo. Fedele al mandato del suo fondatore, il beato Giacomo Alberione, che diceva di «parlare di tutto cristianamente». Avverbio, questo, che connota la nostra missione di comunicatori, e ci spinge a giudicare la realtà alla luce del Vangelo. Solo così un giornale trova interlocutori, stimola il dialogo, aumenta il tasso di democrazia di opinione nel paese.
E’ stato assai singolare che, dopo le nostre prese di posizioni sulla questione dei rom e sul cosiddetto «pacchetto sicurezza», il governo si sia scagliato con insolita veemenza contro Famiglia Cristiana. Già questo denota quanto il nostro paese sia poco normale. Quando si mette il coprifuoco alle idee, quando un governo ritiene di doversi scagliare contro le critiche di un giornale, forse qualcosa non va nella nostra democrazia rappresentativa.
In realtà, in Italia la gente ha una concezione sempre più leggera della democrazia rappresentativa. Sembra che basti solo assolvere al dovere del voto. E i politici (soprattutto quelli «nuovi», quelli che non provengono da una lunga formazione, ma dalle scuole del marketing), ritengono che i cittadini abbiano firmato loro una delega in bianco. Si sentono legittimati a fare tutto ciò che le regole della soddisfazione dei desideri impongono, quasi che l’esercizio nobile dell’arte della politica, sia definita dalla migliore e scintillante soluzione dei desideri di ognuno. Siamo al paradosso che, proprio oggi, quando la politica sembra aver preso il sopravvento su molte altre attività (al punto che tutti ci si buttano), la partecipazione invece cala. E’ vero che la democrazia rappresentativa si risolve nella delega. Ma essa è intesa in maniera così forte dall’attuale classe politica (al governo e all’opposizione), che ha relegato in soffitta la democrazia di opinione. Siamo così all’antipolitica, che non è quella di Grillo o dei girotondi, ma quella della politica intesa come mercato della soddisfazione dei desideri. La classe politica italiana, ma anche gli intellettuali, hanno gravi responsabilità.
L’eterna transizione cui è costretta l’Italia almeno da 15 anni e la promessa reiterata di riforme che non arrivano mai, hanno tolto credibilità alla politica e rafforzato chi, nella politica, vede un teatro da calcare con le sue truppe ordinate e ubbidienti a ogni ordine, senza discutere. Vale a destra come a sinistra. In un quadro simile, la partecipazione e, dunque, la democrazia di opinione spariscono.
Né il riconoscimento maggiore del leader serve ad aumentare la partecipazione. Lo dimostrano le continue incursioni di Berlusconi nelle piazze tra la gente che vive drammaticamente problemi seri, quasi volesse non tanto rassicurarla, ma rassicurare se stesso di averla (la gente) sempre vicina. In realtà, nessuno sa veramente quel che pensano i cittadini, al di là del vecchio e, talora, obsoleto metodo dei sondaggi. Neppure a livello amministrativo c’è più passione per la «cosa pubblica». Non ci si interessa nemmeno del proprio marciapiede o dell’autobus che non passa. Quando un giornale come il nostro suona la campanella d’allarme, che segnala la distanza tra la politica e le attese concrete della gente, e insiste sulle politiche familiari, su un fisco equo, o critica le ossessioni per la sicurezze e la giustizia. dice semplicemente che in democrazia le opinioni devono contare. Infatti, se cala la partecipazione e, al tempo stesso, non si ammettono critiche, il rischio di scivolare verso una forma oligarchica e autoritaria è davvero grande.
Fa scalpore che tutte queste cose, corredate di esempi concreti, le abbia scritte un giornale cattolico? E’ un’altra delle anomalie italiane. In Francia nel corso dell’estate il quotidiano cattolico La Croix ha criticato la nuova grandeur francese di Sarkozy sulla scena internazionale. Ma nessun membro del governo s’è sognato di rivolgersi al cardinale di Parigi o al Vaticano. Ciò che spesso difetta al nostro paese è l’idea che i cattolici (giornalisti e non) siano cittadini come gli altri, e abbiano il diritto di partecipare al grande gioco della democrazia di opinione.
La rivista francese Esprit (che, certo, non può essere bollata di «cattocomunismo» o di «criptocomunismo») si domandava questa estate se non ci stiamo avviando verso la fine del ciclo democratico. La scomparsa delle ideologie non ha assolutamente semplificato il quadro politico. Ha solo prodotto maggiore difficoltà nella comprensione e nell’elaborazione del pensiero politico, che sembra debba inseguire solo i desideri della gente.
Oggi si tende a semplificare cose complesse, con risposte ai bisogni che saranno necessariamente inefficaci sul medio e lungo periodo, anche se al momento sono allettanti.
Ciò che accade attorno al pacchetto sicurezza, alla questione immigrazione, ma anche sui temi della giustizia, lo dimostrerà. La parola più indicata per definire tutto ciò è populismo, che insegue e accarezza i desideri. Una dimostrazione è l’ultima finanziaria, vada per tre anni e assai pesante, approvata in una manciata di minuti dal governo. Oggi la consapevolezza di tutto ciò sembra essere presente solo nel dibattito di opinione, mentre non trova casa (o ne trova una assai ristretta), nella classe politica e nelle istituzioni parlamentari. Ed è per questo che la classe politica, forte dell’investitura, tende a spazzar via il dibattito. Oggi, forse, non corriamo alcuni rischi del passato, ma c’è un allarme circa un progetto di Stato e di convivenza democratica, che non dà voce a chi non ha voce, a cominciare dalle famiglie e dai più poveri.
Non è questione, questa, che riguarda e preoccupa solo i cattolici, ma tocca il paese intero. Quando Famiglia Cristiana bussa all’Italia bipolare, ricordando che i costi sociali di operazioni che semplificano eccessivamente la realtà possono essere altissimi, non fa altro che il suo dovere, a favore del «bene comune». Il passo dal populismo all’autoritarismo può essere, fatalmente, breve