Costituzione, politca, e mezzi df’nformazione ....

L’ITALIA, L’UNITA’, E "IL NOSTRO POSTO". CONCITA DE GREGORIO HA DATO IL VIA AL SUO LAVORO DI DIREZIONE. L’Unità "sarà il giornale della sinistra di questo Paese" - a cura di pfls

Ricevo in eredità - da ultimo da Furio Colombo ed Antonio Padellaro - il senso di un impegno e di un’impresa.
martedì 26 agosto 2008.
 
[...] Concita De Gregorio (Pisa, 11 novembre 1963) Cresciuta a Livorno, si è laureata all’Università di Pisa in Scienze Politiche ed ha iniziato la professione nelle radio e tv locali toscane, passando poi a Il Vernacoliere e di seguito al Tirreno dove, per otto anni, ha lavorato nelle redazioni di Livorno, Lucca e Pistoia. Nel 1990 è passata al quotidiano la Repubblica, dove si occupa di cronaca e politica interna. Nel 2002 ha pubblicato Non lavate questo sangue, diario dei giorni del G8 a Genova e un racconto per la rivista letteraria di Adelphi. Nel 2006 ha pubblicato per Mondadori Una madre lo sa, tra i finalisti del Premio Bancarella 2007 [...]

l’Unità 26.8.08

Il nostro posto

di Concita De Gregorio

Sono cresciuta in un Paese fantastico di cui mi hanno insegnato ad essere fiera. Sono stata bambina in un tempo in cui alzarsi a cedere il posto in autobus a una persona anziana, ascoltare prima di parlare, chiedere scusa, permesso, dire ho sbagliato erano principi normali e condivisi di una educazione comune. Sono stata ragazza su banchi di scuola di città di provincia dove gli insegnanti ci invitavano a casa loro, il pomeriggio, a rileggere ad alta voce i testi dei nostri padri per capirne meglio e più piano la lezione.

Sono andata all’estero a studiare ancora, ho visto gli occhi sbigottiti di coloro a cui dicevo che se hai bisogno di ingessare una frattura, nei nostri ospedali, che tu sia il Rettore dell’Università o il bidello della Facoltà fa lo stesso, la cura è dovuta e l’assistenza identica per tutti. Sono stata una giovane donna che ha avuto accesso al lavoro in virtù di quel che aveva imparato a fare e di quel che poteva dare: mai, nemmeno per un istante, ho pensato che a parità di condizioni la sorte sarebbe stata diversa se fossi stata uomo, fervente cattolica, ebrea o musulmana, nata a Bisceglie o a Brescia, se mi fossi sposata in chiesa o no, se avessi deciso di vivere con un uomo con una donna o con nessuno.

Ho saputo senza ombra di dubbio che essere di destra o di sinistra sono cose profondamente diverse, radicalmente diverse: per troppe ragioni da elencare qui ma per una fondamentale, quella che la nostra Costituzione - una Costituzione antifascista - spiega all’articolo 2, proprio all’inizio: l’esistenza (e il rispetto, e il valore, e l’amore) del prossimo. Il “dovere inderogabile di solidarietà” che non è concessione né compassione: è il fondamento della convivenza. Non erano mille anni fa, erano pochi.

I miei genitori sapevano che il mio futuro sarebbe stato migliore del loro. Hanno investito su questo - investito in educazione e in conoscenza - ed è stato così. È stato facile, relativamente facile. È stato giusto. Per i nostri figli il futuro sarà peggiore del nostro. Lo è. Precario, più povero, opaco.

Chi può li manda altrove, li finanzia per l’espatrio, insegna loro a “farsi furbi”. Chi non può soccombe. È un disastro collettivo, la più grande tragedia: stiamo perdendo la fiducia, la voglia di combattere, la speranza. Qualcosa di terribile è accaduto negli ultimi vent’anni. Un modello culturale, etico, morale si è corrotto. La politica non è che lo specchio di un mutamento antropologico, i modelli oggi vincenti ne sono stati il volano: ci hanno mostrato che se violi la legge basta avere i soldi per pagare, se hai belle le gambe puoi sposare un miliardario e fare shopping con la sua carta di credito. Spingi, salta la fila, corrompi, cambia opinione secondo la convenienza, mettiti al soldo di chi ti darà una paghetta magari nella forma di una bella presidenza di ente pubblico, di un ministero. Mettiti in salvo tu da solo e per te: gli altri si arrangino, se ne vadano, tornino a casa loro, crepino.

Ciò che si è insinuato nelle coscienze, nel profondo del Paese, nel comune sentire è un problema più profondo della rappresentanza politica che ha trovato. Quello che ora chiamiamo “berlusconismo” ne è stato il concime e ne è il frutto. Un uomo con un potere immenso che ha promosso e salvato se stesso dalle conseguenze che qualunque altro comune cittadino avrebbe patito nelle medesime condizioni - lo ha fatto col denaro, con le tv che piegano il consenso - e che ha intanto negli anni forgiato e avvilito il comune sentire all’accettazione di questa vergogna come fosse “normale”, anzi auspicabile: un modello vincente. È un tempo cupo quello in cui otto bambine su dieci, in quinta elementare, sperano di fare le veline così poi da grandi trovano un ricco che le sposi. È un tempo triste quello in cui chi è andato solo pochi mesi fa a votare alle primarie del Partito Democratico ha già rinunciato alla speranza, sepolta da incomprensibili diaspore e rancori privati di uomini pubblici.

Non è irrimediabile, però. È venuto il momento di restituire ciò che ci è stato dato. Prima di tutto la mia generazione, che è stata l’ultima di un tempo che aveva un futuro e la prima di quello che non ne ha più. Torniamo a casa, torniamo a scuola, torniamo in battaglia: coltivare i pomodori dietro casa non è una buona idea, metterci la musica in cuffia è un esilio in patria. Lamentarsi che “tanto, ormai” è un inganno e un rifugio, una resa che pagheranno i bambini di dieci anni, regalargli per Natale la playstation non è l’alternativa a una speranza.

“Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, diceva l’uomo che ha fondato questo giornale. Leggete, pensate, imparate, capite e la vita sarà vostra. Nelle vostre mani il destino. Sarete voi la giustizia. Ricominciamo da qui. Prendiamo in mano il testimone dei padri e portiamolo, navigando nella complessità di questo tempo, nelle mani dei figli. Nulla avrà senso se non potremo dirci di averci provato.

Questo solo posso fare, io stessa, mentre ricevo da chi è venuto prima di me il compito e la responsabilità di portare avanti un grande lavoro collettivo. L’Unità è un pezzo della storia di questo Paese in cui tutti e ciascuno, in tempi anche durissimi, hanno speso la loro forza e la loro intelligenza a tenere ferma la barra del timone.

Ricevo in eredità - da ultimo da Furio Colombo ed Antonio Padellaro - il senso di un impegno e di un’impresa. Quando immagino quale potrebbe essere il prossimo pezzo di strada, in coerenza con la memoria e in sintonia con l’avvenire, penso a un giornale capace di parlare a tutti noi, a tutti voi di quel che anima le nostre vite, i nostri giorni: la scuola, l’università, la ricerca che genera sapere, l’impresa che genera lavoro. Il lavoro, il diritto ad averlo e a non morirne. La cura dell’ambiente e del mondo in cui viviamo, il modo in cui decidiamo di procurarci l’acqua e la luce nelle nostre case, le politiche capaci di farlo, il governo del territorio, le città e i paesi, lo sguardo oltreconfine sull’Europa e sul mondo, la solidarietà che vuol dire pensare a chi è venuto prima e a chi verrà dopo, a chi è arrivato da noi adesso e viene da un mondo più misero e peggiore, solidarietà fra generazioni, fra genti, fra uguali ma diversi. La garanzia della salute, del reddito, della prospettiva di una vita migliore.

Credo che per raccontare la politica serva la cronaca e che la cronaca della nostra vita sia politica. Credo che abbiamo avuto a sufficienza retroscena per aver voglia di tornare a raccontare, meglio e più onestamente possibile, la scena. Credo che la sinistra, tutta la sinistra dal centro al lato estremo, abbia bisogno di ritrovarsi sulle cose, di trovare e di dare un senso al suo progetto. Il senso, ecco.

Ritrovare il senso di una direzione comune fondata su principi condivisi: la laicità, i diritti, le libertà, la sicurezza, la condivisione nel dialogo. Fondata sulle cose, sulla vita, sulla realtà. C’è già tutto quello che serve. Basterebbe rinominarlo, metterlo insieme, capirsi. Aprire e non chiudere, ascoltarsi e non voltarsi di spalle. È un lavoro enorme, naturalmente. Ma possiamo farlo, dobbiamo.

Questo giornale è il posto. Indicare sentieri e non solo autostrade, altri modi, altri mondi possibili. Ci vorrà tempo. Cominciamo oggi un lavoro che fra qualche settimana porterà nelle vostre case un quotidiano nuovo anche nella forma. Sarà un giornale diverso ma sarà sempre se stesso come capita, con gli anni, a ciascuno di noi. L’identità, è questo il tema. L’identità del giornale sarà nelle sue inchieste, nelle sue scelte, nel lavoro di ricerca e di approfondimento che - senza sconti per nessuno - sappia spiegare cosa sta diventando questo paese; nelle voci autorevoli che ci suggeriscano dove altro sia possibile andare, invece, e come farlo.

Sarà certo, lo vorrei, un giornale normale niente affatto nel senso dispregiativo, e per me incomprensibile, che molti danno a questo attributo: sarà un normale giornale di militanza, di battaglia, di opposizione a tutto quel che non ci piace e non ci serve. Aperto a chi ha da dire, a tutti quelli che non hanno sinora avuto posto per dire accanto a quelli che vorranno continuare ad esercitare qui la loro passione, il loro impegno. Non è qualcosa, come chiunque capisce, che si possa fare in solitudine. C’è bisogno di voi. Di tutti, uno per uno. Non ci si può tirare indietro adesso, non si deve. È questa la nostra storia, questo è il nostro posto.


l’Unità 26.8.08

Il primo giorno del direttore. Con gli auguri di Napolitano

Concita De Gregorio alla guida de «l’Unità» da ieri.

Il presidente della Repubblica: «Una scelta importante per il pluralismo dell’informazione»

Affollatissima prima riunione di redazione «Faremo opposizione militante»

È l’emozione, quella che accompagna sempre l’inizio di una avventura bella e avvincente - e dirigire un giornale come l’Unità certamente lo è - la chiave di lettura della prima giornata di Concita De Gregorio direttore che ha subito voluto dare una risposta a quanti in questi giorni hanno vissuto con allarme il cambio al vertice del giornale. La nuova Unità «sarà in assoluta coerenza con la sua storia, cambierà come cambia ciascuno di noi, restando se stessa» ma se «qualcosa cambierà» resterà un giornale «di opposizione militante, fortemente identitario, il giornale della sinistra di questo Paese». Nessun timore, dunque. Nessuna preoccupazione deve esserci tra «le firme eccellenti» ma soprattutto tra i lettori cui Concita De Gregorio ha voluto ribadire che «questo giornale è la casa di tutti, di chi lo ha fatto grande e di chi vuole parlare a tutta la sinistra» ma aprendo spazi «anche a chi non c’era prima». Ampliare non rinchiudersi, dunque. Aprirsi a nuove voci in un confronto che può solo portare ricchezza di idee e di valori. E la garanzia che non sarà «un giornale dai toni pastello».

E’ stata una giornata lunga, cominciata con la partecipazione del nuovo direttore alla riunione di redazione. Un impegno affrontato in modo soft, con i toni morbidi di chi è consapevole di entrare in una quotidianità scandita da tempi e ritmi con cui è meglio entrare in sintonia che pensare di stravolgere, e terminata con la lettura delle centinaia di messaggi di auguri arrivati via fax, sms, telefono. Tra gli altri il telegramma del presidente della Repubblica che ha sottolineato «la delicata responsabilità di guidare la storica testata e l’impegnativa prova nel campo della multimedialità» cui Concita De Gregorio è stata chiamata «in una fase di complesse e critiche trasformazioni come quella attuale» in cui è «importante che il pluralismo dell’informazione possa esprimersi anche con nuove esperienze e sensibilità professionali». Ha chiamato il sottosegretario Gianni Letta. E in mattinata la riunione è stata interrotta da un messaggio affettuoso fatto arrivare dal Cardinal Martini. Hanno scritto colleghi direttori, hanno chiamato giornalisti per le prime interviste sul nuovo incarico con la curiosità aggiuntiva che accompagna sempre il traguardo raggiunto da una donna.

Il nuovo direttore ha ascoltato con interesse l’intera riunione guidata dal vicedirettore Pietro Spataro, ha preso appunti, dato qualche suggerimento. Era affollata la stanza, come nelle grandi occasioni. Ed alla fine, solo alla fine, prima dell’incontro con il Cdr, qualche parola per «smentire la gran parte di quelle che sono state scritte in questi mesi». E qualche conferma. Ci sarà una riforma grafica, curata da Cases Y Associated. Nei prossimi giorni arriveranno in redazione Giovanni Maria Bellu da Repubblica e Daniela Amenta, ex Unità che ritorna da E Polis. Confermata la rubrica di Marco Travaglio e tutte le collaborazioni. Il resto sarà frutto di un lavoro quotidiano con la redazione che è cominciato solo ieri. Bisognerà conoscersi, imparare a lavorare insieme. Il direttore ha confermato di volersi confrontare con ognuno dei redattori che in questi anni hanno contribuito ogni giorno, con il loro lavoro, a fare de l’Unità il giornale che è. Saranno giorni faticosi. Anche duri. Però sarà una bella sfida da vincere.

Concita De Gregorio (Pisa, 11 novembre 1963)

Cresciuta a Livorno, si è laureata all’Università di Pisa in Scienze Politiche ed ha iniziato la professione nelle radio e tv locali toscane, passando poi a Il Vernacoliere e di seguito al Tirreno dove, per otto anni, ha lavorato nelle redazioni di Livorno, Lucca e Pistoia. Nel 1990 è passata al quotidiano la Repubblica, dove si occupa di cronaca e politica interna. Nel 2002 ha pubblicato Non lavate questo sangue, diario dei giorni del G8 a Genova e un racconto per la rivista letteraria di Adelphi. Nel 2006 ha pubblicato per Mondadori Una madre lo sa, tra i finalisti del Premio Bancarella 2007. (fonte: Wikipedia)


Corriere della Sera 26.8.08

-  Primo giorno
-  Il neo direttore: restano tutti, non normalizzerò Unità,
-  il debutto di Concita «Non userò toni pastello»
-  Travaglio anti Pd e lettere critiche per il congedo di Padellaro

-  La De Gregorio: «Sarà il giornale della sinistra di questo Paese»

-  L’ipotesi di trasferire la redazione in un loft

ROMA - «No, no, cominciate voi...». Sala riunioni, undici e mezza del mattino, posti in piedi e sì, anche un po’ di nervosismo. Tutti si aspettano il discorso ufficiale. Concita De Gregorio si siede, apre il blocchetto per gli appunti e (metaforicamente) fa un passo indietro: «Preferisco ascoltare». Sorrisi e non di circostanza. Sarà anche il giorno del debutto ma all’Unità l’inizio è quello di sempre. Cronache locali, politica, esteri... si parla del lavoro fatto e di quello da fare. Per entrare in punta di piedi nel quotidiano di Antonio Gramsci, il primo direttore donna ha scelto un paio di vezzose scarpe in stoffa scozzese che sdrammatizzano l’accoppiata abito nero/orecchini di perle.

Dopo un’ora buona si è limitata a fare i complimenti per le pagine sulla convention americana e sulle Olimpiadi, a rispondere a una telefonata che gli porta i saluti del cardinale Carlo Maria Martini. Poi, quando si è fatta quasi l’una, prende la parola. E va dritta al nocciolo della questione: «L’Unità resterà battagliera, sarà un giornale di opposizione militante, fortemente identitario, il giornale della sinistra di questo Paese». Una risposta a chi teme che insieme al direttore cambi anche la linea editoriale, per virare su registri più teneri con il Partito democratico. Una paura di normalizzazione arrivata anche sulle pagine del giornale con gli interventi dei lettori: «smarrito per il cambio», «disorientato », «un’informazione a schiena dritta», tanto per citare qualche titolo.

E con il pezzo di Marco Travaglio, il collaboratore più conosciuto, che sotto il titolo Scusate ma non ho capito chiama in causa Walter Veltroni per un cambio a suo giudizio ingiustificato. Lei lo sa e spiega che per fare un «giornale che non sarà l’house organ del Pd e parlerà a tutte le anime della sinistra» punterà sulle inchieste. Per questo da Repubblica si è portata Giovanni Maria Bellu, per ora l’unico nuovo arrivo insieme a Daniela Amenta (ex E polis) destinata all’ufficio centrale. «Gli altri nomi che avete letto - dice - sono tutte fantasie».

Nessun applauso alla fine, ma le barricate che qualcuno si aspettava non si vedono proprio. Il comitato di redazione, il sindacato interno, la incontra per mezz’ora e parla di «ottima impressione». Lei, dietro alla scrivania con le rose regalate dal suo predecessore Antonio Padellaro, riceve messaggi su messaggi, «anche dal centrodestra ma non da Berlusconi ». E promette continuità: «Tutti quelli che hanno scritto finora continueranno a farlo. Certo, anche Travaglio, anche Furio Colombo, anche Padellaro ».

Ma qualche nome nuovo arriverà, come Roberto Benigni che oggi regala un piccolo cameo. «Sarà il giornale di quelli che, come me, hanno votato alle primarie, un giornale di opposizione che però criticherà pure il Pd se sarà troppo tiepido. Nessuna normalizzazione, non useremo colori pastello ». E questa non è solo una metafora perché non sparirà la fascia rossa sotto la testata, quella frase del giorno che negli anni è diventata quasi un secondo editoriale. Il formato diventerà più piccolo. Non subito ma entro il 25 ottobre, giorno della grande manifestazione del Pd.

Forse cambierà anche la sede. Raccontano che il nuovo editore Renato Soru aveva una faccia un po’ così, quando è passato qui in redazione. Il terzo piano di via Benaglia, zona Porta Portese, è un vecchio ufficio periferico del catasto, architettura dignitosa ma un po’ triste. Il padre di Tiscali, invece, ama la tecnologia che si sposa all’antico. Per questo ha chiesto di trovare un loft, possibilmente zona Testaccio o San Lorenzo. Un loft. Sperando che porti miglior fortuna rispetto a quello scelto da Walter Veltroni.


la Repubblica 26.8.08

-  Primo giorno in redazione del nuovo direttore. Oggi anche la firma di Benigni
-  "L’Unità sarà un giornale di opposizione militante" l’esordio di De Gregorio
-  Travaglio attacca Veltroni: ha licenziato Padellaro

-  L’editore Soru sta cercando anche una nuova sede, forse un grande loft a Testaccio

di Luciano Nigro

ROMA - Antonio Padellaro non c’è. Però il direttore-predecessore ha lasciato un mazzo di rose. Rosa, appena orlate di rosso (chissà se è un messaggio politico). Tra i trenta redattori (su settanta) che la aspettano alla sua "prima" nella sede di via Benaglia non ci sono i "senatori" che più hanno mugugnato. E sul numero del lunedì, assieme a una pioggia di messaggi di lettori disorientati («Travaglio scriverà ancora?», «Speriamo che l’Unità non venga normalizzata», «sono smarrito per il cambio») Marco Travaglio in prima pagina denuncia il rischio che il giornale diventi di partito e attacca: «All’indomani dell’acquisto da parte di Renato Soru, Veltroni auspicava un direttore donna, cioè il licenziamento di Padellaro». Mica facile entrare così in una redazione dove non hai «mai messo piede». Tantopiù se sei la-prima-donna-direttore dell’Unità. E se l’arrivo è stato preceduto da quelli che Ninni Andriolo del comitato di redazione chiama "incidenti di percorso" (l’intervista di Veltroni e quella a Prima Comunicazione che anticipavano l’annuncio del nuovo editore - ndr).

Eppure anche i più scettici vacillano quando il diavolo si presenta in redazione, alle 11,30, accompagnato dall’amministratore delegato Giorgio Poidomani, con l’aspetto di Concita De Gregorio, abito nero, orecchini di perla, occhiali nero-argento al collo, e dopo aver ascoltato tutti i capiservizio («sono qui per imparare») mette sul piatto una carta assicurante: «Non ci sarà nessuna normalizzazione, l’Unità resta un giornale militante e battagliero». E anticipa che in prima pagina oggi accanto alla sua firma ci sarà quella di Roberto Benigni. Poi, rilancia: «Punteremo sulle grandi inchieste» e ci sarà, entro ottobre, «un nuovo formato e una nuova veste grafica», ma «la striscia rossa non si tocca» perché «il 90% di ciò che è stato scritto sono balle». Un biglietto da visita, preceduto nei giorni scorsi dall’editore Renato Soru che ha garantito che cercherà una sede più grande e più bella (meglio se «un grande loft» al Testaccio o a San Lorenzo) e arriverà la multimedialità con gli schermi piatti al posto degli "scatoloni" che ancora occupano le scrivanie di via Benaglia 25. Così la tensione si scioglie in risate.

«Come dobbiamo chiamarti? Direttrice, direttora...?», chiede Stefano Miliani, il vice degli spettacoli. «Come volete, direttore va bene - risponde lei - ma vedrete, presto mi chiamerete tutti Concita». Sorrisi. Baci. «Non dobbiamo avere paura del cambiamento» proclama Marcella Ciarnelli al suo «quattordicesimo direttore». Benedice, ottimista, Paolo Branca, caporedattore centrale. «Emozionante - scappa a Roberto Brunelli del cdr - dopo la depressione una ventata di novità». Andriolo però lo corregge: «L’approccio giusto, quello che serviva dopo le tensioni del passato». Un bel primo giorno di scuola anche per il direttore-Concita? «Sono sicura che faremo un giornale bellissimo», dice, tra una telefonata da parte del cardinale Carlo Maria Martini e una con Benigni in Germania. Padellaro, Colombo e Travaglio scriveranno? «Scriveranno tutti quelli che vogliono.

All’Unità ci sono eccellenti giornalisti questa è la loro casa. Io voglio aggiungere, non togliere, mi hanno scritto a centinaia, scrittori, attori, intellettuali e politici: ci vorrebbero 200 pagine al giorno per ospitare tutti». Sarà il giornale di Veltroni? «Sarà di opposizione ferma: cercherà di mettere insieme i pezzi della sinistra che si sono divisi». Il Pd? «E’ il più grande partito del centrosinistra non può essere il nostro nemico, ma quando non ci convincerà lo scriveremo. Parleremo a tutta la sinistra a cominciare dai 4 milioni delle primarie. C’ero anch’io quel giorno, in fila al gazebo».


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