Individuo e Stato. Psicologia di massa del fascismo (Wilhelm Reich).

ORIGINI DEL TOTALITARISMO. LA TESI DI HANNAH ARENDT NON CONVINCE. Emilio Gentile, con "La via italiana", lo dimostra e getta luce sul nostro stesso presente - a cura di Federico La Sala

Per la studiosa tedesca un regime non si poteva defìnire totalitario senza il terrore e un dittatore dalla mente criminale.
lunedì 16 giugno 2008.
 

-  FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA.


Hannah e i suoi camerati

Secondo il concetto di totalitarismo della Arendt, il fascismo non fu tale fino al ’38, mentre lo erano il nazismo e la Russia di Stalin. Ma la tesi non convince

Per la studiosa tedesca un regime non si poteva defìnire totalitario senza il terrore e un dittatore dalla mente criminale

di Emilio Gentile (Il Sole 24 Ore, Domenica 15.06.2008)

Nel suo libro Le origini del totalitarismo, pubblicato nel 1951, Hannah Arendt dedicava al fascismo poche e sparpagliate osservazioni, che complessivamente superano appena la lunghezza di una pagina. Sui seicentotrenta titoli elencati nella bibliografia, le pubblicazioni che riguardano il fascismo, fra le migliaia di opere che pure erano disponibili in tedesco, inglese o francese, nel periodo in cui la studiosa tedesca compose il suo libro, non superano le dita di una mano, e nessuna è una storia del fascismo o uno studio del suo sistema politico. Nonostante ciò, poche interpretazioni del fascismo hanno avuto tanta ampia e durevole influenza su molti studiosi che, nell’ultimo mezzo secolo, si sono occupati del fascismo e del totalitarismo, quanto l’interpretazione proposta da Arendt nell’ambito del suo studio sul totalitarismo.

Un’ analisi critica del giudizio della Arendt sul fascismo risulta importante se consideriamo che tale giudizio ha segnato una svolta decisiva nell’analisi e nell’interpretazione sia del fascismo sia del totalitarismo, rispetto a tutte le precedenti interpretazioni, che erano state elaborate nei decenni precedenti da studiosi come Luigi Sturzo, Hans Kohn, Michael Florinsky, Raymond Aron, Alfred Cobban, Carlton Hayes, Emil Lederer, Sigmund Neumann. Malgrado le loro differenti e opposte ideologie, tutti questi studiosi, nella loro analisi del totalitarismo, avevano considerato il fascismo un regime totalitario, non perché tale il fascismo si proclamava, ma perché essi riscontravano nel regime fascista le caratteristiche tipiche dei regimi a partito unico sorti in Europa dopo la Prima guerra mondiale. Poiché il problema del totalitarismo e il termine stesso hanno avuto origine dal fascismo, la negazione del carattere totalitario del fascismo, asserita dalla Arendt, investe l’intero problema del totalitarismo. Infatti, gran parte delle idee fondamentali che costituiscono l’interpretazione del totalitarismo elaborata dalla Arendt erano state già esposte dagli studiosi citati, nessuno dei quali escludeva il fascismo dal totalitarismo. L’unica novità, nell’interpretazione della Arendt, era la definizione del terrore come la «vera essenza» della forma totalitaria di governo. Il terrore non era ovviamente ignorato dai precedenti studiosi del totalitarismo, ma nessuno di essi lo aveva considerato l’essenza del totalitarismo.

La Arendt parla genericamente di movimenti totalitari e semitotalitari sparsi nell’Europa dopo la Grande guerra, ma alla fine dalla sua analisi emerge che il nazionalsocialismo era l’unico movimento totalitario, mentre, sostiene senza esitazione la Arendt, la dittatura bolscevica, fino al 1930, non fu la creatura di un movimento totalitario. Fu Stalin, sostiene la studiosa, che trasformò «la dittatura di partito unico in un regime totalitario», e soltanto a Stalin la Arendt attribuisce la colpa di aver predisposto le condizioni per instaurare il totalitarismo, pienamente sviluppato con il terrore di massa. Nel caso della Germania, la Arendt sostiene invece che il nazionalsocialismo fu un movimento totalitario fin dalle origini, ma divenne un regime totalitario soltanto dopo il 1938, anzi, precisa la studiosa, lo divenne soltanto durante la Seconda guerra mondiale, ma neppure allora fu un «totalitarismo pienamente sviluppato» perché, spiega la Arendt, soltanto «se la Germania avesse vinto la guerra avrebbe conosciuto una dittatura totalitaria pienamente sviluppata». Così, neppure il nazionalsocialismo, che secondo la Arendt fu l’unico movimento veramente totalitario prima della conquista del potere, divenne mai un totalitarismo pienamente sviluppato.

Il rapporto fra movimento totalitario e regime totalitario, nell’interpretazione della Arendt, rinlane oscurato da numerose contraddizioni, che vanno oltre il caso della Russia e della Germania. Infatti, occupandosi della Cina comunista la studiosa afferma che le caratteristiche totalitarie del partito comunista cinese erano presenti fin dall’inizio, e si inasprirono negli anni Sessanta durante il conflitto russo cinese, e aggiunge che nel periodo iniziale della dittatura comunista in Cina ci fu un terrore di massa che provocò circa quindici milioni di vittìme, ma, precisa la studiosa, «se questo fu terrore, e lo fu certamente, era un terrore diverso, e qualunque siano stati i suoi risultati, non decimò la popolazione». Quindi, conclude, non si poteva applicare al regime comunista cinese, nonostante quindici milioni di vittime, l’attributo di totalitarismo autentico perché, sostiene la Arendt, «il "pensiero" di Mao Tse-tung non seguiva nella scia lasciata da Stalin (e da Hitler, in questo campo), perché non era un assassino per istinto, e in lui il sentimento nazionalista, tipico in tutti i movimenti di rivolta anticoloniale, fu forte abbastanza da porre dei limiti al dominio totale».

In sostanza, nell’interpretazione della Arendt il totalitarismo appare come una sorta di fenomeno intermittente, che appare e scompare, oppure come una pianta che in un Paese, la Russia, nasce e cresce senza avere radici; in un altro, la Germania, ha radici ma tarda a nascere e a crescere; in un altro, l’Italia, non ha radici, non nasce e non cresce, ma poi la studiosa lascia intendere che comunque il totalitarismo sarebbe apparso anche in Italia dopo il 1938. In tal modo, però, l’intera questione della natura dei movimenti totalitari, dei regimi totalitari, delle loro somiglianze e differenze è avvolta in una nebbia teorica, mentre emergono evidenti, chiari, netti e perentori affermazioni e giudizi non preceduti, né accompagnati, né seguiti da argomentazioni coerenti, e spesso fondati su dati storici inattendibili o inesistenti.

Da queste considerazioni sorge un’ultima questione, forse la più importante, perché investe l’intera interpretazione del totalitarismo proposta dalla Arendt e il suo giudizio sul fascismo. Come abbiamo visto, la studiosa tedesca ripeteva continuamente che il fascismo non era totalitario. Tale giudizio è stato recepito da molti studiosi del fascismo e del totalitarismo, che tuttora lo ripetono come fosse un’interpretazione inconfutabile e definitiva, senza tener in nessun conto i risultati della ricerca storica che ne ha da tempo dimostrato la infondatezza.

Ma tutti costoro trascurano di notare che la stessa Arendt aveva posto le premesse per rimettere in questione il suo giudizio, quando affermava che il fascismo non fu totalitario «fino al 1938». Forse la Arendt intendeva, con questa precisazione, dire che il fascismo dopo il 1938, adottando l’antisemitismo come ideologia di Stato, trasformò la dittatura di «partito al di sopra dei partiti» in un regime totalitario, come era accaduto in Russia dopo il 1930 e in Germania dopo il 1938? E inoltre: se il partito bolscevico non era un movimento totalitario, come poté diventare totalitario per l’iniziativa di un solo individuo, e poi cessare nuovamente di essere totalitario dopo la morte dello stesso individuo, come, secondo la Arendt, avvenne dopo la morte di Stalin? Può un solo individuo dalla mente criminaIe trasformare in un regime totalitario una dittatura di partito, nata da un movimento non totalitario, senza trovare gli strumenti per la trasformazione nella dittatura esistente, la quale, di conseguenza, non può essere esclusa dal totalitarismo? E se il fascismo divenne totalitario dopo il 1938, quali furono le radici e le cause di questa trasformazione: erano nel movimento e nel regime fascista prima del 1938 o dipesero soltanto, come in Russia, dalla volontà di un individuo?

Su tutte queste questioni, che sono decisive per comprendere la natura del totalitarismo e il suo significato nella storia del Novecento, il silenzio della Arendt è rimasto totale.

-  «La via italiana al totalitarismo»,
-  di Emilio Gentile,
-  nella nuova edizione riveduta e ampliata
-  (pagg. 414, € 26,50), uscirà da Carocci
-  giovedì 19 giugno.

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«L’eredità? Nei partiti»

di Emilio Gentile

Per molti antifascisti la peggiore eredità del fascismo non era la continuità delle istituzioni statali e pubbliche create dal regime e incorporate nello Stato repubblicano, quanto e soprattutto un certo modo di concepire e praticare la politica, che il partito fascista aveva coltivato per un ventennio, coinvolgendo per la prima volta nella storia degli italiani, milioni di uomini e donne nelle sue organizzazioni di massa...

Il fascismo non aveva creata il conformismo, scriveva De Ruggiero nel 1946, ma l’aveva aggravato «rendendo obbligatoria e coattiva una tendenza che già spontaneamente si affermava vittoriosa. La democrazia, che oggi succede al fascismo, non porta un rimedio a quel male, ma ne racchiude in sé gli stessi germi... La fine del fascismo ha lasciato una società modellata sul conformismo e avvezzata a esso, ma senza più una norma unica e comune cui conformarsi. [...] In sede politica, noi avvertiamo questo fenomeno nei partiti, ciascuno dei quali conserva in sé tracce indelebili del "Partito", nelle sue gerarchie, nelle sue omertà, nelle sue intolleranze».

Per eredità del totalitarismo fascista, la cultura liberale intendeva inoltre «lo spirito e lo stile politico del fascismo», cioè, come precisava «Risorgimento liberale» nel maggio 1945. «la intolleranza, la sopraffazione, l’accettazione supina della mistica di partito con il relativo corollario del fine che giustifica i mezzi, la tendenza di certi movimenti a costituirsi come stati nello Stato e ad agire come gli eserciti in territorio occupato, che hanno come sola legge la propria necessità»... Insieme al misticismo politico, dall’eredità che il totalitarismo fascista lasciava alla neonata democrazia scaturiva la «mistica del Partito», come la definiva il repubblicano Mario Ferrara nel 1949, cioè l’esaltazione del primato del partito come organizzazione alla quale l’individuo deve aderire con disciplina e dedizione integràli: «Anche per coloro che si dicono democratici e liberali il Partito è diventato un mondo chiuso e tirannico del quale non si può fare a meno e in nome del quale si abdica a ogni dignità morale e, talora, alla dignità umana pura e semplice».

Se il conformismo e il misticismo politico erano mali del fascismo trasmessi alla democrazia, altrettanto grave era un’altra tendenza del totalitarismo fascista che pareva avesse contagiato i partiti della democrazia, cioè la tendenza a organizzare le masse con appelli al settarismo fanatico, e la loro propensione a prevaricare lo Stato per i loro interessi, producendo così, dopo l’esperienza del dominio del partito unico, una nuova forma di dominio partitico, che fu definito, fin dai primi anni dell’Italia repubblicana, con il termine "partitocrazia "... L’eredità del fascismo non consiste soltanto nella continuità degli apparati statali e del personale dirigente, che passò senza patire epurazione dallo Stato fascista allo Stato repubblicano.

L’eredità dell’esperienza fascista è stata rintracciata anche nella perpetuazione di un modo di concepire e praticare la politica di massa, nel primato attribuito al partito nei confronti delle istituzioni parlamentari, nella propensione a coltivare una prassi di "partitizzazione" delle istituzioni pubbliche.



Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  "LEZIONE SU KANT" A GERUSALEMME: PARLA "PILATO", IL SUDDITO DELL’"IMPERATORE-DIO". Il ’sonnambulismo’ di Hannah Arendt prima e di Emil Fackenheim dopo.

-  FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA.

-  L’ITALIA COL BAVAGLIO: LA SOLUZIONE FINALE, "I PAPI", E I NIPOTI DI "PILATO" EICHMANN.

-  COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....

SOCIETA’ ARCAICA, NEVROSI OSSESSIVA E FASCISMO. LA FRECCIA FERMA. Una sorprendente ipotesi di Elvio Fachinelli

-  AVANTI!!! A "REGIME LEGGERO", FINO ALLA CATASTROFE ....
-  L’ ITALIA IPNOTIZZATA. TUTTO IL PARLAMENTO CANTA ALLEGRAMENTE: "FORZA ITALIA" - L’INNO DI UN SOLO PARTITO!!! L’ECCEZIONE E’ LA REGOLA...

LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI...

PIANETA TERRA. DEMOCRAZIA E TOTALITARISMI....
-  L’interdipendenza delle civiltà e la grammatica di una culturale globale. Lo sguardo antropologico di Margaret Mead sugli Stati Uniti d’America.

FLS


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