Politica

San Giovanni in Fiore. Essere di sinistra nel comune florense è una moda, un vezzo, una necessità, un obbligo o un impegno?

venerdì 30 maggio 2008.
 

Il dibattito suscitato dal pezzo di Domenico Barbero circa il disagio dei giovani a San Giovanni in Fiore mi ha spinto a una nota sulla sinistra locale.

Nelle opinioni lette, soprattutto in quelle di Chiara Iaquinta, ho colto un interesssante richiamo alla fedeltà ideologica. E gli ideali sono una faccenda seria, il motore delle azioni, la guida dell’etica, l’energia della politica. Tanto più che, al contrario di quanto generalmente si crede, "viviamo in un mondo fortemente ideologizzato". Ce lo ricorda spesso il filosofo Alfonso Maurizio Iacono, spesso assieme al collega Etienne Balibar.

Che cosa può significare, oggi, essere di sinistra nel contesto florense? Penso che la risposta deve restare nel contemporaneo e nel glocale. Se non altro, per evitare di riproporre gli schemi teorici della dialettica fascisti/comunisti, ancora in voga fra i giovani militanti di An e del Pd.

Limpidi, lasciamoci stimolare dalla domanda. Abbandoniamo, anche solo per poco, il buonismo metodologico che ci caratterizza come nuova leva della politica; tendente, di solito, a riconoscere infinite possibilità di riscatto ai vertici della sinistra locale, in perenne difficoltà economica e costretti a governare in un’area depressa ma finanziata a pioggia dall’Europa. Cerchiamo, dunque, qualche gesto, provvedimento od elemento, riconducibile a quel novero, che possa qualificarsi di sinistra.

Partirei, tanto per attualità, dalla recentissima celebrazione dei fratelli Bandiera da parte del sindaco di San Giovanni in Fiore, Antonio Nicoletti, e del presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio.

Ho sentito discorsi istituzionali, l’insistenza sull’eroismo dei Bandiera, l’innno nazionale ed esortazioni all’unità della patria, sullo sfondo un leggero sventolìo del Tricolore.

Agli inizi di maggio, l’antropologo Vito Teti, sul giornale Il Quotidiano della Calabria, ha scritto un bel fondo sul radicamento, riguardante una moderna impostazione della Questione calabrese, alla luce degli ultimi fatti regionali e della situazione politica italiana dopo il 14 aprile.

Non mi pare che le fanfare a memoria dei Bandiera siano una buona risposta all’accorato appello di Teti al radicamento, in vero rivolto anzitutto ai quadri della sinistra moderata.

Radicamento che, di là dalla riverenza di Nicoletti e Oliverio per la storia scritta dai più forti, non è, nell’intenzione dell’intellettuale vicino al Pd, apologia della sangiovannesità, del folklore e delle pur suggestive tradizioni locali, non presidiate in primo luogo dalla sinistra. Radicamento che allude, piuttosto, alla necessità d’un ruolo propulsivo della Calabria nelle dinamiche politiche del Paese e all’utile abbandono della marginalità culturale e sociale costruita in decenni di subordinazione dei nostri rappresentanti (di sinistra). Radicamento che significa anche apertura al mondo, dialogo, formazione e uscita dalle sbarre del campanilismo, vittimistico, autoreferenziale e celebrativo, dentro cui ci hanno artatamente imprigionati i politici della sinistra locale.

Sicuramente, se dicessi dello scempio urbanistico (a San Giovanni in Fiore), che non è affatto obiettivo tipico della sinistra, più di qualcuno mi apostroferebbe, invitandomi a generalizzare e a imputare, più che la sinistra, la casta nella sua totalità, compreso il Partito dell’amore di Riccardo Schicchi, se ancora si regge.

Se cercassi prove di comunismo o socialismo nelle politiche sociali della sinistra locale, troverei improvvisazione, clientelismo e assenza di cognizione e programmazione. Ma presumo che, nella fattispecie, più di qualcuno diventerebbe viola Fiorentina e pretenderebbe un rinvio a giudizio dell’intero arco costituzionale.

Se guardassi alle politiche ambientali, che non sono troppo dissociate dall’urbanistica, isolerei paradigmi di impensabili rovine e favori agli amici, agli amici degli amici, agli amici degli amici degli amici. Fraternità, fratellenza e libera muratoria. Mi si obietterebbe che questo disordine armonioso, questo ordine disarmonico, è roba bipartisan. Ma qui, è bene ribadirlo, si vanno cercando tracce di sinistra autentica nelle politiche della sinistra locale.

Se m’addentrassi nelle politiche culturali, lì davvero scoprirei una riedizione trash del Ventennio, atteso che Mussolini si servì di Giovanni Gentile, che, a parte le polemiche con - e di - Benedetto Croce, come pure il gesto dei Gap, fece quella discussa Riforma della scuola vissuta sino, più o meno, all’aziendalizzazione dell’istruzione.

Chiudere totalmente e militarmente alle proposte culturali dell’avversario, questo ha fatto l’esecutivo in carica - alquanto diverso l’andazzo ai tempi di Riccardo Succurro. Si noti, "avversario" è, per la sinistra di San Giovani in Fiore, chiunque non si sottometta al suo potere, chiunque non proclami eterna fedeltà alla compagine, chiunque non dimostri d’aver votato o procacciato consensi per la scuderia e il suo cavallo da corsa, ormai non più di battaglia. Ovviamente, i tifosi, i simpatizzanti e i tesserati della sinistra (locale) sbandiererebbero, di contro, le manifestazioni dei giovinotti della squadra, belle, partecipate e riuscite.

Non tocco la Sanità, che è di competenza manageriale, limitandomi al seguente auspicio: che nessuno abbia mai guai seri di salute, perché, grazie al parassitismo della sinistra locale e al cannibalismo di ambo i lati in Regione, siamo in casini grossi, enormi, colossali.

Pregherei il lettore di non confondere il mio discorso critico con un manifesto partigiano: al bando le catalogazioni spicciole e comode.

La sinistra locale, per arrivare al succo, è veramente sinistra? Le sue scelte sono di sinistra?

Molto approssivamente, a me pare che a San Giovanni in Fiore ci siano tante anime di sinistra. Anime disilluse, demoralizzate, deluse; che non si riconoscono più nei partiti della sinistra e manifestano frequentemente un disagio, un disorientamento, un’indignazione trattenuta.

I cambiamenti italiani, la fusione (a freddo) nel Pd e, prima, la modernizzazione del Pci, diventato Pds e Ds, hanno portato notevoli vantaggi a pochi protagonisti della scena politica locale.

Modernizzazione che ha avuto una linea precisa, quella di Confindustria, e che si è sostanziata nella falsa diagnosi e propaganda dell’unico male italiano: lo scandalo del conflitto di interessi dell’Imperatore possidente, onnipresente e forcaiolo. Trattato il quale avremmo avuto - per i democratici della Quercia - libertà, prosperità, garanzie sul lavoro e bonus sociali.

Se non vaneggio, lo stesso Veltroni ha impostato la campagna elettorale sullo sbaglio clamoroso dell’antiberlusconismo a oltranza nella Seconda Repubblica. Smentendosi con la candidature di Colaninno junior e monsieur Calearo. Da un lato, la critica alla sinistra, incapace di rispondere alla degenerazione etica italiana e alle esigenze dei lavoratori, che pagando le tasse e spesso la vita, sono l’organo vitale dello Stato e di un’impresa di puro profitto. Dall’altro, l’investitura veltroniana di gerarchi del capitale organizzato. Bella mossa, splendida coerenza.

Dove è la sinistra? E’ nel programma riformista di Obama, pure legato alla rivoluzione del gioachimismo, o nell’integralismo di Ferrando, che ha irrigidito il (suo) partito ripudiando espressioni d’un comunismo ermeneuticamente derivato?

C’è una via di mezzo tra il nuovo modello di sinistra, quello americano incarnato dal candidato democratico di colore, e quello del dotto professore genovese?

E, di là da questo, come si muove la sinistra locale per non sembrare un falso d’autore del Pd di Veltroni, proiezione italiana dei Democratici Usa e aggiustamento capitolino del remake arcorese?

E, prioritariamente, come si muove la sinistra florense per lo specifico del posto e della Calabria?

Il fatto è che, oltre a dormire e baccagliare in casa, la tira sempre sulla disperazione, la miseria e la sorte ineluttabile di San Giovanni in Fiore. Di recente, un suo alto esponente ha proferito in consiglio comunale: "Qui non ci sono possibilità". Massima che dovrebbe muoverlo a dimissioni immediate.

In conclusione, se la sinistra locale non ha fatto un tubo nelle materie di sua pertinenza; se è rimasta ferma al mero riconoscimento della dignità delle donne in consiglio - giocando, ai tempi, sulla gayaggine di Vattimo - e se ha rifiutato qualsiasi confronto, che cosa significa, oggi, essere di sinistra nel contesto florense? Via libera alle risposte.

Emiliano Morrone


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