Un’opinione sui fatti di Arezzo

Domenica di follie. Muore un giovane tifoso.

Un agente spara. Un ragazzo muore. I tifosi impazziscono. Di chi è la colpa?
lunedì 12 novembre 2007.
 

Dispiace. E molto. Dispiace per quel ragazzo, Gabriele, morto ammazzato in un autogrill nei pressi di Arezzo. Dispiace per l’agente che ha sparato. Dispiace osservare il ripetersi di quelle scene di ordinaria follia calcistica a cui purtroppo siamo già abituati. La ragione però spinge sempre ad indagare le cause di questi fatti. Non si spiegano, infatti, i motivi che spingano un gruppo di ragazzi ad innescare lo sfottò al di fuori degli stadi. Si va allo stadio per tifare, e quello è il luogo più adatto.

Non si spiega, tuttavia, neanche la motivazione che spinga un agente di polizia a sparare "in aria" dei colpi di arma da fuoco per sedare lo sfottò che stava sfociando in rissa. Per giunta, dall’altra parte dell’autostrada. Se si analizza, infatti, la frase "sparare in aria", frase pronunciata dallo stesso agente e confermata dal questore di Arezzo, c’è da dire che tutti, quando hanno la sfortuna di sparare, lo fanno in aria. Per fortuna sono rari i colpi sparati a bruciapelo. Forse si deve parlare di "sparare verso l’alto". Ma anche in questo caso non si riesce a capire come un colpo sparato al cielo, per giunta dalla parte opposta rispetto a quella dove si stava svolgendo il fatto, abbia potuto colpire il giovane tifoso laziale Gabriele. Non si può neanche parlare di colpo partito per sbaglio, dato che una pistola ha comunque almeno due sicure e che queste, per forza di cose, devono essere disattivamente manualmente, quindi con l’intenzione.

D’altro canto, però, risulta difficile credere che un agente di polizia, un servitore dello Stato, in condizioni normali, possa avere compiuto volontariamente un atto simile, senza un apparente motivo. Motivo che, si spera, venga chiarito dalla perizia balistica e dalle seguenti indagini processuali. Quello di cui non si riesce a capacitarsi è l’innescarsi di violenze e scontri dentro e fuori gli stadi. Cosa spinge, infatti, gruppi esaltati di tifosi prima a sfottersi, picchiarsi tra di loro e poi coalizzarsi contro Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza? Sembra un controsenso. Sono tante le motivazioni che possono essere elencate per giustificare quei gesti. Invece bisogna reagire contro queste barbarie. Se ha sbagliato un agente, è giusto che questo debba pagare, ma nelle sedi opportune. E che debba pagare solamente lui, non i suoi "colleghi" impegnati a garantire la sicurezza negli stadi. Non c’entrano i giornalisti malmenati, non c’entrano le auto incendiate, non c’entrano gli operatori che svolgono il loro mestiere per una funzione sociale.

D’altronde, se gli stessi tifosi riuscissero ad andare allo stadio solo per vedere la partita, cantare, gioire per un goal fatto e rattristarsi per uno subito, non ci sarebbe bisogno di tutto quello schieramento di forze (e di soldi) che vediamo ogni domenica. Bisognerebbe fermare il campionato, e farlo perchè, a queste condizioni, non è possibile garantire la sicurezza di tutti coloro che, invece, spendono soldi per vedere semplicemente la partita e poi tornano a casa senza impelagarsi in scontri o risse. Lo sfottò è giusto, quando non lede la sensibilità altrui. Ci sono luoghi e tempi per farlo. In tutti gli altri casi si è nel torto.

Mauro Diana.


Rispondere all'articolo

Forum