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INTELLETTUALI E DEMOCRAZIA. LA LEZIONE DI SAVIANO E DI RUSHDIE. Una "lezione che, più che sulla letteratura, la dice lunga su una società in cui siamo chiamati tutti a prenderci la nostra parte, piccola o grande, di responsabilità. Una nota di Andrea Cortellessa - a cura di pfls.

domenica 4 novembre 2007.
 


-  Rushdie e Saviano
-  versetti camorristici

di ANDREA CORTELLESSA (La Stampa, 04/11/2007)

Non passa inosservato l’ampio profilo di Roberto Saviano sul New York Times di sabato. Gomorra viene definito «un urlo letterario che fa nomi, degli assassini e degli assassinati», stilisticamente ispirato da Pier Paolo Pasolini e Truman Capote. In casi come questo il copione prevede che il già non profeta rimbalzi in patria come una palla avvelenata, dividendo gli indigeni tra fautori agiografi e acrimoniosi ridimensionatori. Dopo di che si mette a profetizzare senza freni. Stavolta però le cose andranno diversamente: perché Saviano in patria era stato profeta, eccome (infatti i partiti all’ombra del campanile s’erano schierati per tempo - né erano mancate le esternazioni, anche a capocchia, dell’interessato).

«So dove colpirli per farli veramente irritare», ha concluso Saviano. E può ben dirlo: data la situazione in cui versa. Più di tutto colpisce che il NYT lo definisca «una sorta di Salman Rushdie nella lotta ancora irrisolta dell’Italia contro il crimine organizzato». La sua reclusiveness coatta davvero somiglia a quella cui dal 1989 è costretto l’autore dei Versi satanici colpito dalla fatwa di Khomeini: entrambi i casi attestano un’incoraggiante efficacia performativa della letteratura, una sua potenzialità «extramurale» (per dirla con Franco Fortini) che in genere invece, nel tempo del postmoderno, le è stata negata. Meno incoraggiante che ciò lo si debba constatare in negativo: solo quando un certo Potere, cioè, decide di farla pagare a chi l’ha sfrucugliato. E qui, fra i due casi, si vedono anche le differenze. Intanto perché quella contro Rushdie è stata una censura a tutti gli effetti. Esercitata, infatti, da un potere ufficiale (ancorché i suoi esecutori operassero in clandestinità). Mentre - almeno formalmente - la camorra è un potere ufficioso e occulto.

Ma un’altra differenza mi pare sia stata poco commentata. Le minacce non si produssero infatti quando Saviano pubblicò i suoi primi reportage, né quando uscì Gomorra, né quando questo ebbe il successo che ebbe. Ma solo quando, giusto un anno fa, lui in persona partecipò a un comizio al suo paese, durante il quale pubblicamente insultò i boss. Cioè quando il Denunciante per la prima volta contestava il controllo del territorio: occupandolo, sia pure per lo spazio d’un pomeriggio, fisicamente. L’azione pratica della letteratura si è dunque prodotta solo nell’atto, e a condizione, di uscire da sé. Lezione che, più che sulla letteratura, la dice lunga su una società in cui siamo chiamati tutti a prenderci la nostra parte, piccola o grande, di rischio. Cioè di responsabilità.


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