Eu-ropa ed Eu-angelo. Una Riforma cosmologica ...

GIORDANO BRUNO, LE "TRE CORONE" E IL VANGELO ARMATO. Nuccio Ordine rilegge la grande opera di Bruno (e fa intravedere impensate connessioni con Dante, Boccaccio, Lessing e noi, tutti e tutte). Intervista di Maria Mantello - a cura di Federico La Sala

"Lo Spaccio de la bestia trionfante" - all’ordine del giorno!!!
venerdì 2 novembre 2007.
 


Nuccio Ordine, CONTRO IL VANGELO ARMATO. GIORDANO BRUNO, RONSARD E LA RELIGIONE, Cortina editore, 2007

Maria Mantello intervista Nuccio Ordine (n° 92 di Lettera Internazionale)

Nuccio Ordine è professore di Teoria della letteratura nell’Università della Calabria ed ha insegnato in diversi atenei europei e statunitensi. Esperto di autori del Rinascimento e di teoria dei generi letterari, ha raggiunto fama internazionale soprattutto per i suoi studi su Giordano Bruno, di cui ha curato anche l’edizione delle Opere Italiane per “Les Belles Lettres” e per la Utet . Quella di Nuccio Ordine per Bruno è una passione coltivata con impegno negli anni. Un lavoro di scavo nei testi bruniani, che gli ha consentito di raggiungere livelli critici notevoli. Ma che soprattutto stimola ad un approccio diretto agli scritti del Nolano. L’esperienza critica condotta da Ordine, come ha scritto il premio Nobel per la chimica (1977), Ilya Prigogine: “ha il merito di saper svegliare la curiosità del lettore e rendere appassionante la straordinaria esperienza filosofica di Giordano Bruno”. Altro merito di Ordine è quello di aver aperto una vasta riflessione sulle radicali innovazioni linguistiche della “Nolana Filosofia”. Nell’infinto cosmo di Bruno non ci sono più punti fissi. Si aprono infinite possibilità di conoscere ed agire. Cadono dogmi e si infrangono stereotipi. Allora, anche gli stantii codici letterari vengono sottratti alla gabbia della pedanteria dominante per intrecciarsi in un’inedita e straordinaria mescolanza di generi, linguaggi, stili.

Ma la prospettiva semiologica dei testi bruniani è stata delineata da Ordine anche attraverso l’analisi della complessa figurazione simbolica con cui Bruno riannoda la separazione cielo-terra operata dal cristianesimo. Si pensi ad una metafora come quella dell’asino, che tanto spazio ha nella filosofia del Nolano. Come ha scritto Eugenio Garin: “Nuccio Ordine è il primo a recensire sistematicamente il senso teorico dell’asinità, a precisarne ogni ambivalenza. Ad analizzare le sue accezioni contradditorie, a mostrare come questo gioco di significati opposti porti al cuore del pensiero del Nolano”. L’asinità ha infatti per Bruno due facce speculari: da un lato la connotazione negativa del dogmatismo arrogante e dell’obbedienza pedantesca; dall’altra quella positiva della umile pazienza, che arriva a spezzare l’unidimensionalità delle conclusioni, per conquistare con Fatica e Lavoro il pluralismo della ricerca. Come allora spesso accade nella filosofia di Bruno, il vizio si può ribaltare, per trasformarsi in qualità. Pertanto, anche la quiete rassicurante del simbolico asino può diventare strumento di riscatto dell’individuo. Così, proprio in virtù di una propositiva pazienza ogni individuo può superare soggezione e sottomissione per uscire dallo stato asinino della passività fideistica.

Nel suo recente libro, Contro il Vangelo armato. Giordano Bruno, Ronsard e la religione (Cortina editore, febbraio 2007), i testi di Bruno (in particolare lo Spaccio della bestia trionfante) sono accostati a quelli del poeta della Pleiade, Ronsard, ma anche a quelli dell’ambasciatore del re di Francia, Michel de Castelneau e di altri intellettuali coevi. Da questa interessante lettura comparata emerge quanto l’ambiente politico-culturale della corte dei Valois fosse ampiamente caratterizzato dai grandi fermenti di tolleranza culturale, proprio nella diffusa condanna dei fanatismi religiosi. Scrive Ordine: “E’ possibile rintracciare anche una lunga tradizione poetica e iconografica legata ai Valois: il monarca-filosofo libero da ogni dogma di fede, in grado di riconoscere l’utilitas del culto ai fini sociali per superare i conflitti e rafforzare lo Stato” (p.142). Ed è proprio in questo ambito, che non a caso Giordano Bruno cerca affinità elettive ed alleanze politiche per prospettare la sua Riforma, il cui fine è quello di creare un mondo di pace e giustizia.

Si parla dell’Europa della seconda metà del ‘500, ma il pensiero va inevitabilmente ai nostri giorni, dove un rinnovato fondamentalismo delle fedi ripropone tragicamente mai dismesse aspirazioni teocratiche (di casa nostra e d’importazione), che fanno temere rinnovate guerre di religione. In questa prospettiva, l’insegnamento del filosofo postcristiano Bruno, che pensa alla religione come legame umano di coesione civile, frutto della responsabile e consapevole intersoggettività dell’azione umana nella storia, è allora ancora di grande attualità. Ne parliamo con Nuccio Ordine

Partiamo dal titolo del suo ultimo libro: perché Contro il Vangelo armato?

È la citazione di un verso di Ronsard della raccolta Discours des Misères de ce temps: in questo straordinario pamphlet il fondatore della Pléiade prende la distanza dai fanatismi religiosi dei protestanti e dei cattolici. La guerra civile tra “papisti” e “ugonotti” stava trascinando la Francia nel baratro della disgregazione sociale, morale ed economica. Senza ricostruire il dibattito che si andava svolgendo alla corte dei Valois e nell’Accademia del Palazzo, fondata successivamente da Enrico III, sarebbe stato difficile cogliere la sottile rete di allusioni e di rinvii utilizzata da Bruno nello Spaccio de la bestia trionfante. E, sempre in riferimento al milieu francese, non bisogna dimenticare un elemento finora sfuggito alla critica bruniana: che il Nolano lavora al suo dialogo sulla riforma celeste nell’ambasciata francese a Londra proprio mentre l’ambasciatore e suo protettore, Michel de Castelnau, scrive i suoi Mémoires

-  Un’opera autobiografica in cui è possibile rintracciare elementi di riflessione in comune con Giordano Bruno?

Certamente. La critica bruniana aveva scartato i Mémoires ingannata dalle date che precedono i vari capitoli: il diario si apre con la morte di Enrico II (1554) e si chiude con l’editto di Saint Germain (1570). Bruno arriva in Francia e in Inghilterra negli anni Ottanta: quindi, apparentemente, nessuna speranza di trovare riferimenti utili. Solo dopo aver letto per intero l’opera ci si accorge che le annotazioni di Castelnau vanno ben al di là dei limiti cronologici: partendo da alcuni specifici episodi, l’ambasciatore divaga fino a parlare di eventi accaduti durante gli anni Ottanta. Nessuna allusione diretta a Bruno. Ma i Mémoires sono ricchi di importantissime riflessioni sui disastri provocati dalle guerre di religione, sulle conseguenze nefaste dei fanatismi cattolici e protestanti, sulla funzione civile dei culti, sulla necessità di ripristinare la Legge e la Giustizia. Mi sembra una coincidenza straordinaria: Bruno e Castelnau, sotto lo stesso tetto, scrivono due opere che, in maniera diversa, analizzano ruolo e responsabilità della religione nella vita civile. Non è un caso che Ronsard dedichi a Castelnau dei versi. E che Castelnau reciti a Fontainebleau una stupenda poesia di Ronsard sul teatro del mondo.

-  specifichiamo meglio la posizione politica di Ronsard.

Il poeta, assieme ad altri letterati legati a Caterina de’ Medici e agli eredi di Enrico II, si schiera a difesa della Monarchia, dello Stato, delle istituzioni civili. Ronsard, sulla scia di Machiavelli, riconosce che la religione ha soprattutto una funzione civile: il culto deve fungere da cemento sociale, deve avere un ruolo eminentemente politico. Nella sua polemica contro i fanatismi non c’è nessun interesse per questioni di natura teologica. Ronsard non risparmia critiche agli immorali comportamenti del clero cattolico, che hanno provocato la reazione della Riforma: vendere benefici, distribuire ruoli di responsabilità nella gerarchia ecclesiastica trascurando i meriti e la vocazione per privilegiare famiglie potenti e accordi politici. Ha significato ridurre la religione a mercimonio e corruzione. Ma Ronsard sostiene anche che non si possono correggere gli errori della Chiesa proponendo un rimedio che è peggiore del male: la conflittualità dottrinale aperta dai protestanti e la convinzione di ogni setta di possedere la verità universale hanno scatenato guerre non solo contro i diretti oppositori cattolici, ma anche all’interno dello stesso fronte riformato.

-  E come si inserisce Bruno in queste complesse problematiche?

Bruno arriva a Parigi vent’anni dopo l’inizio dei conflitti. E vuole immediatamente mostrare come compito della “nolana filosofia” sia anche quello di segnalare gli effetti deleteri della fede e della teologia sui diversi piani del sapere e della vita civile. Non a caso sin dal Candelaio, il Nolano distingue con chiarezza tra fede e verità, religione e filosofia. Per il nostro filosofo, i libri sacri non parlano di filosofia. I libri sacri non descrivono i fenomeni naturali, né indagano i segreti degli astri. I libri sacri hanno solo il compito di dettare delle leggi morali a chi non ha gli strumenti per indagare da solo la verità. Ecco perché il teologo (pastore di popoli) deve occuparsi delle masse ignoranti: queste ultime, oltre alle leggi civili, hanno anche bisogno di leggi divine che favoriscano la pace e la «civile conversazione».

-  Nello Spaccio de la bestia trionfante, Bruno considera centrale questa distinzione

Eccome! L’intero dialogo ruota sul valore civile della religione. Nella riforma celeste, Giove spiega con chiarezza che i culti sono stati istituiti dagli dei solo per far vivere gli uomini nella pace e per rafforzare le Repubbliche. Gli dei non si adirano per una bestemmia o per un’offesa a loro indirizzata: gli dei si adirano quando si compiono azioni che provocano lacerazioni nella coesione sociale, indebolendo lo Stato, la Legge, la Giustizia. Non esistono religioni vere e religioni false (e chi potrebbe stabilire in materia di fede ciò che è vero e ciò che è falso?). Esistono religioni utili e religioni dannose. E l’efficacia di una religione si può misurare solo sugli effetti positivi o negativi che essa produce nella società. Ecco perché Giove tesse l’elogio dei Romani: la gloria della Roma repubblicana sta proprio nell’aver saputo stimolare, attraverso il rispetto divino, l’amore per la patria e per le leggi. L’honos romano si configura così come praemium virtutis, come riconoscimento pubblico per ciò che si è fatto a favore della comunità sociale. Contano, insomma, solo parole ed opere in grado di produrre frutti per le istituzioni civili...

-  Pagine in cui è possibile ritrovare l’eco dei Discorsi di Machiavelli?

Non c’è dubbio. Sono molto eloquenti le lodi indirizzate ai Romani e le feroci critiche rivolte al cristianesimo: se i pagani hanno saputo piegare le cerimonie a fini civili, i cristiani hanno completamente sacrificato l’orizzonte mondano per privilegiare esclusivamente quello divino. Si tratta di temi che erano ampiamente discussi in Francia e in Inghilterra. Non bisogna dimenticare che Enrico III leggeva i testi del Segretario fiorentino direttamente in italiano (grazie alla collaborazione di alcuni profughi come Bartolomeo Del Bene) e che a Londra nel 1584 (anno in cui viene stampato lo Spaccio) l’editore John Wolf pubblica i Discorsi.

-  Bruno nello Spaccio della bestia trionfante, proprio come Ronsard, ribadisce a più riprese la radice etimologica del termine religio. Vogliamo approfondire?

La specifica funzione politica della religione, così come Giove la teorizza nella sua riforma celeste, è iscritta anche nella sua etimologia: religio deriva da religare, proprio perché il compito principale dei culti è quello di unire, di aggregare, di saldare. Ronsard usa un’immagine molto forte: la religione è un «ciment» che tiene assieme la comunità civile. Ma sia Ronsard, che Bruno tengono a sottolineare che questo “legame” non unisce l’uomo a dio, ma l’uomo all’uomo. All’interno di questa visione i principali nemici della religione sono coloro che, in nome della religione, disseminano morte e distruzione...

-  Sarebbero i Giganti del mito, che intraprendono la scalata verso l’Olimpo per impossessarsi del potere e far piazza pulita delle Leggi e della Giustizia?

Si tratta di un mito importante, sfuggito alla critica bruniana. Nei commenti allo Spaccio nessuno aveva spiegato perché Giove programma la sua riforma celeste nel giorno della commemorazione della vittoria sui Giganti. Proprio allo scoppio delle guerre di religione in Francia, Ronsard ed altri poeti identificano il re di Francia con Giove che fulmina i superbi Giganti-ugonotti. E Bruno riprende il mito, piegandolo al suo disegno: quello di liberare la filosofia morale dai fanatismi religiosi.

-  Nel suo libro è evidenziato come i fanatismi religiosi, oltre ad investire la sfera etica, finiscano anche per inasprire il dibattito sull’estetica, pretendendo di fissare limiti e prescrizioni all’uso della lingua, dei generi... degli stessi miti.

Basta rileggere un eloquente passaggio di Calvino contro i nicodemiti per ritrovare le tesi di fondo dell’estetica riformata più radicale: il vero scrittore cristiano deve respingere il falso e lascivo mondo pagano dei miti per abbracciare la verità della parola sacra. Ecco segnata la frattura tra la corrotta letteratura popolata da false divinità e la divina teologia. Frattura condivisa anche dai cattolici più ferventi che, da posizioni diverse, si associano alla battaglia contro gli “dei menzogneri”, contro una cultura classica in contrasto con i testi sacri. Non a caso gli attacchi che gli ugonotti rivolgono a Ronsard non riguardano solo la sua concezione della religione, ma si estendono anche alla sua concezione della lingua, al suo uso del serio e del comico, al suo interesse per autori “lascivi” come Boccaccio e Aretino, alla sua ammirazione per i modelli classici. Bruno, in coerenza con la sua nuova cosmologia infinitistica, opera una rivoluzione sul piano estetico ancora più eclatante: trasferisce la filosofia nella commedia (si pensi al Candelaio) e la commedia nel dialogo filosofico (si pensi alla teatralità di dialoghi come la Cena e lo stesso Spaccio). Ma c’è di più: contro i precetti dell’aristotelismo dominante, il Nolano unisce commedia e tragedia, riso e pianto, serio e comico, vocaboli colti e osceni, filosofia e letteratura...

-  Fermiamoci un momento sull’impresa di Enrico III (“Ultima coelo manet”) che Bruno commenta nello Spaccio. Dalla sua dettagliata ricostruzione emerge un rovesciamento radicale del significato dell’immagine delle tre corone. Al contrario di ciò che pensava Frances A. Yates, lei ipotizza che la corona celeste (che resta in cielo) sia al servizio delle due corone terrestri. E non viceversa

La questione è complessa ed è difficile riassumerla in poche righe. La Yates sostiene che la corona celeste è la corona spirituale che attenderà in cielo Enrico III dopo la sua morte. A me pare che le cose siano più complicate. Ho passato in rassegna quasi tutta la letteratura emblematica fino al Seicento e una serie di testi in cui si parla dell’impresa di Enrico III. La famosa terza corona che resta in cielo potrebbe significare due cose: una concreta e mondana (il regno d’Inghilterra) e l’altra più politica e astratta (la religione al servizio della vita civile, delle due corone terrene, della Monarchia). Da una parte, quindi, un messaggio all’Inghilterra: Enrico III non ha nessun interesse a conquistare la terza corona. Rinuncia quindi alle aspirazioni imperialistiche francesi che da decenni venivano esaltate e incoraggiate dai letterati vicini ai Valois, perché i veri nemici da battere sono la Spagna e i fanatismi religiosi. Dall’altra parte, Enrico III, nell’interpretazione di Bruno, ribadisce, in sintonia con Elisabetta d’Inghilterra, che il culto religioso ha una funzione civile e che deve essere utilizzato dalla monarchia per creare coesione sociale.

-  Lei sostiene (e lo ha ribadito anche nell’intervento che ha tenuto lo scorso 17 febbraio in Campo de’ Fiori) che Bruno per battere l’intolleranza dei fanatismi religiosi ricorre a un importante corollario della sua rivoluzione cosmologica: in un universo infinito non esiste più un centro assoluto.

Questo mi pare il punto di partenza su cui il Nolano costruisce il suo programma rivoluzionario. Liberare la terra dalle catene del geocentrismo è il primo movimento della “nuova filosofia”. Bruno va al di là di Copernico: non solo colloca il sole al centro, ma inserisce l’intero sistema solare all’interno di un universo infinito. E nell’universo infinito non c’è più un centro assoluto: il centro dell’universo infinito è l’individuo che guarda l’universo. Le implicazioni di questa nuova visione cambiano radicalmente il nostro modo di ragionare: si spazzano via tutte le false gerarchie (la formica più piccola e l’astro più grande sono, allo stesso titolo, il centro dell’universo e quindi godono della stessa dignità) e si distrugge, una volte per tutte, la pretesa che possa esistere un punto di vista assoluto. Nessuno insomma, può pensare di possedere la Verità (quella con la v maiuscola). Unica ed esclusiva.

-  Ma oggi il relativismo viene demonizzato dalle gerarchie cattoliche.

Mi pare che ci sia una fortissima contraddizione nei sermoni che Benedetto XVI tiene da qualche tempo sul relativismo. Essere relativisti, secondo una vulgata costruita ad uso e consumo dei dogmatici, vorrebbe dire mettere tutto sullo stesso piano, rinunciare alla ragione, disprezzare la scienza, coltivare l’irrazionalismo, discreditare l’universale, negare l’esistenza di ogni valore. Un identikit nel quale nessuno degli oppositori delle “chiese” e i dei loro dogmi, munito di buon senso, si riconoscerebbe. Come si può essere sostenitori della verità assoluta e poi proporre un dialogo costruttivo con le altre religioni? Come si può immaginare un autentico confronto senza la coscienza che la propria verità possa essere messa in discussione? Bruno non ha dubbi: coloro che ritengono di possedere la verità assoluta e coloro che ritengono che nessuna verità esista producono, per eccesso e per difetto, effetti disastrosi sul piano del sapere e della vita civile, aprendo la strada all’intolleranza e ai fanatismi. Riconoscere i limiti di ogni verità e di ogni certezza non significa rinunciare a battersi per dei valori: significa solo considerare ogni conquista nella sua finitudine e nella sua provvisorietà.

-  Ritornando alla distinzione tra fede e filosofia, di cui lei parlava all’inizio, non le pare che ancora oggi i piani rischiano di sovrapporsi?

Purtroppo spesso non si tiene conto degli errori commessi nel passato. Giudicare la validità del copernicanesimo alla luce dei testi sacri ha prodotto soltanto ingiuste torture e strazianti morti di innocenti pensatori. Lo ricordava ancora Leopardi, in una delle sue operette morali dedicata allo stesso Copernico, in cui si fa allusione al rogo di Giordano Bruno. La Chiesa ancora nell’Ottocento si ostinava ad apporsi alle scoperte scientifiche. Oggi si commettono pericolosi errori in nome di pregiudizi religiosi: non si può ricorrere alla Bibbia per spiegare la differenza tra un essere umano e una cellula fecondata. Galileo, sulla scia di Bruno, lo avevo detto bene: i libri sacri non ci insegnano come va il cielo ma come si va in cielo...

-  Ma anche l’elogio della molteplicità e della varietà che Bruno tesse in tante bellissime pagine dei dialoghi italiani, sembra essere in netto contrasto con alcune tendenze dei nostri giorni in cui l’incontro di culture diverse viene guardato con terrore.

Per Bruno, la molteplicità non è un ostacolo alla crescita dell’umanità, ma un’immensa ricchezza. Solo nella polifonia (non a caso sceglie il genere dialogo per illustrare a più voci la sua “nuova filosofia”); solo nell’incontro-scontro di filosofie, culture, lingue, generi, popoli diversi è possibile immaginare una continua quête in grado di mettere in discussione luoghi comuni e verità consolidate. La presunzione, anche in questo caso, di esportare con la violenza e la forza i propri valori ha provocato catastrofi enormi nella storia dell’umanità. Poche voci nel Cinquecento, assieme a quella coraggiosa di Las Casas, si levarono a sostegno degli Indios nelle Americhe: gli Spagnoli avevano sterminato popolazioni inermi con il pretesto di portare la civiltà tra i “selvaggi”, ma ci sono voluti secoli per capire che i marinai assetati di sapere erano, in fondo, solo dei pirati assetati di oro e di argento. Le pagine della Cena e dello Spaccio dovrebbero farci riflettere su alcune mistificazioni imperialistiche contemporanee: con il pretesto di esportare libertà e democrazia (ma su questo tema si vedano le acute riflessioni di Luciano Canfora), si usa la spietata forza delle armi per perseguire ben altri fini (poco nobili) legati al profitto e al petrolio

-  Lei ha sottolineato più volte che i miti spesso danneggiano gli autori che ne sono oggetto.

Nel caso di Bruno mi sembra ancora più vero. Mi è capitato in diverse circostante di leggere e ascoltare riflessioni deliranti sul filosofo, prive di qualsiasi conoscenza diretta delle opere. Conteso da movimenti e sette, utilizzato in riti segreti e in lotte di piazza, bisogna dire però che, per fortuna, la poliedrica immagine del filosofo è riuscita comunque a sfuggire a qualsiasi tentativo di cristallizzazione. Non a caso, nel corso dei secoli, su Bruno è stato detto tutto e il contrario di tutto: campione della magia e precursore della scienza, fautore dell’oscurantismo e anticipatore della modernità. Ma per evitare di farne un “santino”, bisogna insistere sulla lettura delle opere. Ecco perché - assieme all’avvocato Gerardo Marotta, presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - alla fine degli anni Ottanta pensammo che la maniera migliore di prepararsi al quarto centenario della sua morte (17 febbraio 2000) fosse proprio quella di pubblicare un’edizione critica delle sue opere: grazie al grande lavoro filologico di Giovanni Aquilecchia, alla preziosa competenza di tanti studiosi di diversi paesi europei e alla disponibilità di un grande editore di classici come Les Belles Lettres, tra il 1993 e il 1999 abbiamo stampato le sette opere italiane (ora ripubblicate dall’Utet in edizione economica), un vero monumento al pensiero bruniano. Incoraggiare le nuove generazioni a leggere le opere di Bruno: è questa la strada più diretta per onorare la memoria di questo grande filosofo e per un autentico confronto con il suo pensiero.

Maria Mantello

(11-10-2007)


Sul tema delle "tre corone" in Dante - e non solo, in rete, si cfr.:


LE TRE CORONE DELLA CELEBRATA IMPRESA DELL’INVITTISSIMO ENRICO III

Dallo Spaccio de la bestia trionfante: *

[...] Or bene dunque, disse Giove, da questo luogo si parta la Bestialità, l’Ignoranza, la Favola disutile e perniziosa; e dove è il Centauro, rimagna la Semplicità giusta, la Favola morale. Da ove è l’Altare, si parta la Superstizione, l’Infidelità, l’Impietà e vi soggiorne la non vana Religione, la non stolta Fede e la vera e sincera Pietade. -

Qua propose Apolline: - Che sarà di quella Tiara? a che è destinata quella Corona? che vogliamo far di essa? -

Questa, questa, rispose Giove, è quella corona, la quale, non senza alta disposizion del fato, non senza instinto de divino spirito e non senza merito grandissimo, aspetta l’invittissimo Enrico terzo, Re della magnanima, potente e bellicosa Francia; che dopo questa e quella di Polonia,si promette, come nelprincipio del suo regno ha testificato, ordinando quella sua tanto celebrata impresa, a cui, facendo corpo le due basse corone con un’altra piùeminente e bella, s’aggiongesse per anima il motto: Tertia coelo manet. Questo Re cristianissimo, santo, religioso e puro può securamente dire: Tertia coelo manet, perché sa molto bene che è scritto Beati li pacifici, beati li quieti, beati li mondi di cuore, perché de loro è il regno de’ cieli. Ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto; non gli piaceno gli rumori, strepiti e fragori d’instrumenti marziali che administrano al cieco acquisto d’instabili tirannie e prencipati de la terra; ma tutte le giustizie e santitadi che mostrano il diritto camino al regno eterno. Non sperino gli arditi, tempestosi e turbulenti spiriti di quei che sono a lui suggetti, che, mentre egli vivrà (a cui la tranquillità de l’animo non administra bellico furore), voglia porgerli aggiuto per cui non vanamente vadano a perturbar la pace de l’altrui paesi, con pretesto d’aggionger gli altri scettri ed altre corone; perché Tertia coelo manet. In vano contra sua voglia andaranno le rubelle Franche copie a sollecitar gli fini e lidi altrui; perché non sarà proposta d’instabili consegli, non sarà speranza de volubili fortune, comodità di esterne administrazioni e suffragii che vagliano con specie d’investirlo de manti ed ornarlo di corone,toglierli (altrimente che per forza di necessità) la benedetta cura della tranquillità di spirito, più tosto leberal del proprio che avido de l’altrui. Tentino, dunque, altri sopra il vacante regno Lusitano; sieno altri solleciti sopra il Belgico dominio. Perché vi beccarete la testa e vi lambiccarete il cervello, altri ed altri prencipati? perché suspettarete e temerete voi altri prencipi e regi che non vegna a domar le vostre forze, ed involarvi le proprie corone? Tertia coelo manet. Rimagna dunque (conchiuse Giove) la Corona, aspettando colui che sarà degno del suo magnifico possesso; e qua oltre abbia il suo solio la Vittoria, Remunerazione, Premio, Perfezione, Onore e Gloria; le quali, se non son virtudi, son fine di quelle. [...]

* Giordano Bruno, Spaccio dela bestia trionfante, a cura di Diego Fusaro


GiordanoBruno,Spaccio della bestia trionfante (testo integrale).

SCHEDA: “ Il testo, come tutti i dialoghi in volgare italiano pubblicati da Bruno a Londra tra il 1584 e il 1585, è stampato nell’officina tipografica di John Charlewood, pur recando sul frontespizio la falsa indicazione di Parigi come luogo di stampa. Muovendosi in una linea decisamente antiaccademica, Bruno sceglie la forma letteraria del dialogo e della lingua volgare, dando alle stampe nel breve volgere di due anni ben sei dialoghi; nel 1584: La cena de le Ceneri, De la causa, principio et uno, De l’infinito, universo et mondi, e lo S.; nel 1585: Cabala del cavallo pegaseo. Con l’aggiunta dell’asino collerico e De gl’heroici furori.

In termini molto generali si può sostenere che nel primo gruppo di tre Bruno definisce la sua concezione dell’Universo alla luce di una radicale revisione delle dottrine cosmologiche tradizionali, negando la finitezza dell’Universo e la centralità della Terra della cosmologia aristotelico-tolemaica e costruendo sulla nozione di sostanza una e infinita la sua dottrina dell’Universo infinito, senza centro né periferia. Nel secondo gruppo di dialoghi, invece, diviene centrale l’aspetto etico della nuova onto-cosmologia e Bruno propone con urgenza la necessità di una «riformazione» dell’animo umano, dei valori e delle leggi che governano la «civile conversazione».
-  Dedicato a sir Philip Sidney, uno dei principali esponenti della corte elisabettiana, lo S. si compone di una Epistola esplicatoria e di tre dialoghi, suddivisi ciascuno in tre parti, in cui gli interlocutori, Sofia (elemento di mediazione tra uomini e dei), Saulino (alter ego di Bruno) e Mercurio (messaggero degli dei), discutono della riforma voluta da Giove durante un concilio con gli dei per mettere fine alla decadenza che opprime il mondo celeste.
-  Il cielo in cui si svolge l’azione è un firmamento fisicamente illusorio, popolato dalle 48 costellazioni descritte nell’Almagesto di Tolomeo; nella finzione dialogica esso è la metafora di un discorso morale. Lo «spaccio» (l’espulsione) dal cielo delle figure mitologiche che sin dall’antichità erano divenute simboli di specifici tratti caratteriali svela come la conquista di una rinnovata umanità comporti lo «spaccio» dei vizi/bestie che devastano l’animo umano.
-  Al posto delle costellazioni vanno collocate le personificazioni delle virtù, che Bruno indica come portatrici di valori positivi (Verità, Bontà, Prudenza, Fortezza, Filantropia, Magnanimità: «Nessuna legge che non è ordinata alla prattica del convitto umano deve essere accettata») nel cielo allegorico e nell’orizzonte etico dell’umanità.
-  In questo contesto si inserisce una dura condanna per la perdita della dimensione sapienziale originaria, in cui l’uomo aveva un contatto diretto con la sfera del divino attraverso la Natura; tale perdita è causata dall’affermarsi della religione giudaico-cristiana, la cui forma deteriore è rappresentata dagli esiti recenti della Riforma (in partic. la dottrina della salvezza sola fide). Nella linea di filiazione giudaico-paolino-luterana, Bruno individua la ragione del rovesciamento delle leggi di natura, la dolenda secessio che ha portato alla frattura tra uomo e divinità; così nello S. Bruno rimpiange attraverso una traduzione rivisitata del celebre Lamento ermetico dell’Asclepius quel rapporto tra umano e divino che passa attraverso il riconoscimento della Natura come «diva madre», umiliata e vilipesa dalla posizione secondaria in cui la relegano le religioni rivelate. Il compito della «nova filosofia» è quindi il recupero delle radici della storia dell’umanità, il capovolgimento del rapporto tra cristianesimo e sapienza antica, riaffermando finalmente la perduta unità fra uomo, Natura e Dio.
-  La complessa struttura del dialogo e l’oscurità del titolo hanno fatto sì che lo S. fosse oggetto di numerose interpretazioni fin dai primi anni seguiti alla stampa: K. Schoppe - giovane luterano convertito, testimone oculare del rogo di Bruno in Campo dei fiori il 17 febbraio del 1600 - identificò nella «Bestia» il Pontefice romano, mentre il cosiddetto Postillatore napoletano (tra i primi e più sottili lettori del dialogo bruniano, che sulla sua copia del testo appose numerose note), ne indicò la fondamentale polemica contro la religione riformata.
-  A partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento si è affermata la lettura integralmente ‘ermetica’ di F.A. Yates, ormai definitivamente sostituita da una tendenza a collocare il dialogo nel contesto in cui fu scritto e nel serrato e fecondo confronto di Bruno con le fonti più disparate.” (da Treccani.it)


Nuccio Ordine, "Tre corone per un re: L’impresa di Enrico III e i suoi misteri" Bompiani - 576 pagine

FLS


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