__ PEGAH E’ LIBERA!!!__
FRIENDS EveryOnGroeup
OF PEGAH
CAMPAIGN
EveryOne Group
roberto.malini@annesdoor.com
matteo.pegoraro@infinito.it
t: 0039-334-842-9527
Mercoledì 29 agosto 2007
Comunicato Stampa
Pegah Emambakhsh. Messaggio alle Istituzioni, ai Gruppi e agli Amici.
“Friends of Pegah Campaign”, l’associazione che cura gli interessi della signora Pegah Emambakhsh a Sheffield, Regno Unito, affida all’organizzazione per la tutela dei Diritti Umani “EveryOne Group” il compito ufficiale di comunicare in sede italiana e internazionale alle Istituzioni, alle Organizzazioni e ai singoli attivisti le seguenti informazioni, con preghiera di seguire integralmente le richieste formulate.
Innanzitutto “Friends of Pegah Campaign” desidera ringraziare tutti coloro che di propria iniziativa, seguendo l’attivismo organizzato o in sede istituzionale hanno partecipato attivamente alla campagna a favore della signora Pegah Emambakhsh. I frutti del loro impegno sono di valore umano incalcolabile.
In seguito a un incontro con il Pubblico Ministero che si occupa della signora Pegah Emambakhsh avvenuto ieri mattina, 28 agosto 2007, e alla presentazione del caso alla Border and Immigration Agency da parte del team legale che la rappresenta a tutt’oggi, dichiariamo di essere pienamente soddisfatti della rappresentanza legale e politica, che ora sono pienamente efficienti.
La signora Pegah Emambakhsh ha dunque affidato pieno mandato allo studio legale che si occupa del suo caso nel Regno Unito.
Ora che il vostro straordinario supporto ha generato l’atmosfera serena, improntata al rispetto della dignità dell’assistita, fondamentale per lo svolgimento regolare del procedimento, siamo certi che tutti voi avrete la cortesia di comprendere l’estrema delicatezza dei prossimi sviluppi del procedimento e di rispettare una necessità di Pegah Emambakhsh: quella di affidarsi alle procedure, alle decisioni e alle strategie dei suoi rappresentanti legali.
Adesso dobbiamo attendere finché non conosceremo gli esiti delle prossime fasi e riteniamo che ulteriore pubblicità non sia ora necessaria né utile al caso di Pegah.
Naturalmente vi terremo costantemente informati di tutti gli sviluppi
significativi ogni volta che ci sarà possibile. Vi siamo immensamente grati
per il lavoro impegnativo ed eccezionale in favore della signora Pegah
Emambakhsh: il vostro sostegno è risultato essenziale.
Un ringraziamento a ognuno di voi.
Friends of Pegah Campaign (Regno Unito)
Per il Gruppo EveryOne
Roberto Malini, Matteo Pegoraro,
Dario Picciau, Ahmad Rafat, Steed Gamero
PER PEGAH
Roberto Malini
Salvatore Conte
URGENT!
Sign the Petition to stop her deportation to death
And
Send flowers and letters to Ms. Pegah Emambakhsh
Nel sito, si cfr. anche:
Messaggio di Pegah Emambakhsh a tutti i gruppi e le persone che la stanno aiutando *
Grazie a una persona meravigliosa, una donna iraniana che vive in Italia ed è impegnata da molti anni nel campo dei Diritti Umani, un’amica che siamo orgogliosi di annoverare fra i membri del Gruppo EveryOne, siamo in contatto quasi quotidiano con Pegah, detenuta nel carcere di Yarl’s Wood. Oggi, 8 settembre 2007, Pegah Emambakhsh ha affidato alla nostra comune amica un messaggio rivolto a tutti i gruppi, gli attivisti, le personalità politiche, le persone comuni che si stanno occupando del suo caso:
"Cari amici, care amiche,
come sapete, sto vivendo giorni molto difficili, senza sicurezze per il mio futuro e con tanto dolore nell’anima. Non posso nascondere che ho ancora paura e che il distacco dai miei amati figli mi dà un dolore che a volte sembra insopportabile. Non immaginate neanche quanto mi sia di conforto sapere che ci siete voi. Non mi conoscete neanche eppure vi impegnate per me, vi esponete per me, lottate per me, mi scrivete e mi mandate fiori meravigliosi. Non mi aspettavo nulla di simile, ormai. Persino molti degli iraniani con cui ero in contatto qui nel Regno Unito, mi hanno abbandonata, quando hanno saputo il motivo per cui ho presentato domanda di asilo. Non li sento più, non hanno più intenzione di frequentarmi.
Non immaginavo che esistessero gruppi ed esseri umani come voi. Spero che il futuro mi conceda di conoscere una per una le persone che mi hanno dimostrato tanta amicizia. Sono rasserenata, sono felice di tutta questa protezione, di tutto questo amore che mi infonde energia e volontà di continuare a vivere. Cari amici miei, mantengo freschi i fiori che mi avete inviato. Ne sono così orgogliosa! Qui al centro di Yarl’s Wood hanno suscitato un po’ di gelosia da parte delle altre donne.
Leggo e rileggo le lettere e le cartoline che mi avete spedito. Ho tanto tempo per pensare a quello che mi sta succedendo e, nonostante non mi senta ancora pronta per parlare in pubblico, una volta fuori di qui voglio fare qualcosa per l’umanità. Grazie a tutti voi e a presto.
Pegah Emambakhsh".
Pegah: l’Europa mi ha abbandonata
di Farian Sabahi
«Sono stanca dì lottare, stanca di attendere la notizia di un asilo che non arriva mai o di una deportazione che sembra sempre più vicina», confessava qualche giorno fa l’iraniana Pegah Emambakhsh.
Quarant’anni, ha rischiato di essere deportata in Iran, dove sarebbe stata condannata a morte per avere amato un’altra donna. Dopo alcuni giorni di silenzio, Pegah ha finalmente accettato di farsi intervistare per telefono grazie alla mediazione dell’amica iraniana V.T., che preferisce restare nell’anonimato, e del Gruppo EveryOne che si è tanto impegnato per ottenere la sua scarcerazione.
Pegah ha passato le ultime settimane nei centro di detenzione inglese di Yarl’s Wood vicino a Clapham, nel Bedfordshire. Il suo caso ha messo in subbuglio le severe regole di questo luogo, anticamera di innumerevoli deportazioni e tragedie. In seguito alla campagna internazionale «Flowers for Pegah» lanciata dal gruppo EveryOne, al centro di detenzione sono arrivati mazzi di rose, gigli e orchidee. E tanti biglietti e messaggi di sostegno con i francobolli inglesi, italiani e spagnoli.
Secondo le rigide procedure del carcere nessun oggetto può però essere consegnato ai detenuti. E quando i fiori sono diventati migliaia le guardie carcerarie hanno preso la decisione arbitraria di gettare tutto nella spazzatura, senza neanche mostrare alla prigioniera quei segni d’affetto e solidarietà da tutto il mondo. Finché una guardia carceraria più umana delle altre si è messa in tasca qualche biglietto, qualche petalo di rosa e, con fare furtivo, li ha passati a Pegah, sussurrandole quello che accadeva fuori.
Quanto è stato importante quel momento?
«È stato in quel preciso istante, quando la solidarietà ha superato il limite posto dal regolamento del carcere, che ho intravisto la speranza. Sto bene. Ho passato momenti terribili, ma adesso mi sento meglio. So che tante persone meravigliose si stanno preoccupando per me e desidero rassicurarle. Spero di uscire presto di qui, perché vorrei ringraziarle una per una».
La data della deportazione e il suo volo per Teheran sono stati fissati tre volte e, grazie all’intervento di alcune associazioni, la macchina della morte si è fermata. L’incubo della fine l’ha abbandonata?
«Sì. quel pensiero se ne è andato via dalla mia anima. Ora sono, serena e ho la speranza in un futuro migliore».
Le mancano i suoi figli?
«Ho due maschi a cui voglio tutto il bene del mondo. Sono anni che non li vedo, li penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Mi mancano tanto e spero che stiano bene, che siano felici. Penso spesso anche a mio padre. E’ vecchio e l’ultima volta che l’ho visto non stava bene, sono preoccupata per la sua salute e prego sempre per lui».
Lei ha lasciato l’Iran nel 2005 e pensava di trovare asilo in Europa. È rimasta delusa?
«Mi era stato detto che il Regno Unito è uno Stato molto accogliente con i profughi, molto attenta ai diritti della persona. Se devo essere sincera, quando sono arrivata qui, ero convinta di essere finalmente al sicuro. Avevo perduto tutto, ma non rischiavo più la pelle. Invece è andata diversamente anche se, devo ammetterlo, in Europa, ho trovato degli amici. Penso ai tanti che si sono presi a cuore il mio caso, e in particolare ai Gruppo EveryOne che ha aderito al sit-in di lunedì scorso a Roma, davanti all’ambasciata del Regno Unito. L’Europa è anche questo, gente che non mi conosce personalmente ma soffre insieme a me. Per questo vorrei incontrare Roberto, Matteo, Dario, Ahmad, Steed e tutti gli altri che lottano per farmi ottenere l’asilo definitivo».
È riuscita a vedere le immagini del sit-in? Ed è stata informata del fatto che il Gruppo EveryOne ha chiesto aiuto al Consiglio d’Europa?
«Ho visto qualche articolo sui quotidia ni, ma nel centro di detenzione di Yarl’s Wood siamo tenuti all’oscuro di quello che succede fuori e non abbiamo la possibilità di usare Internet».
* da: La Stampa del 5 settembre 2007 (cf. anche il blog di Farian Sabahi), ripreso da Anne’s Door. La cultura a difesa della vita.
Essendosi dichiarata lesbica è condannata a morire
Urgente appello al Consiglio d’Europa sul caso di Pegah Emambakhsh *
Partita la richiesta formale per ’’’intervenire tempestivamente sul caso e scarcerare immediatamente la cittadina iraniana’’, facendo pressione ’’affinché venga concesso l’asilo definitivo
Roma, 3 set. (Ign) - Un nuovo e urgente appello a favore di Pegah Emambakhsh è stato inoltrato al Consiglio d’Europa. E’ il Gruppo EveryOne che, scrivendo al Segretario generale del Consiglio d’Europa Terry Davis e al vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Maud de Boer Buquicchio, chiede formalmente ’’di intervenire tempestivamente sul caso’’ per ’’la scarcerazione immediata della cittadina iraniana e facendo pressione affinché venga concesso l’asilo definitivo’’.
Finora sono state molte le ipotesi di asilo che personalità politiche italiane hanno comunicato attraverso i canali diplomatici e la stampa al governo britannico per offrire sostegno alla donna, una lesbica iraniana fuggita nel 2005 nel Regno Unito, dopo che la sua compagna era stata arrestata, chiedendo asilo in accordo con la Convenzione ONU di Ginevra del 1951 (e successivo protocollo del 1967) relativa allo status di rifugiato. Poi, alcuni giorni fa, la decisione di Londra di espatriarla nella Repubblica Islamica.
Nel suo Paese, Pegah è attesa da una condanna a 100 frustate comminate con un nerbo semirigido e tagliente (punizione che distrugge il corpo del condannato e, spesso, risulta letale) e probabilmente alla condanna della lapidazione, essendosi dichiarata lesbica e avendo chiesto aiuto, atteggiamento che le leggi iraniane equiparano a immoralità e cospirazione, due reati capitali. Inoltre il codice locale considera un’aggravante il fatto che Pegah sia sposata; una donna sposata che si macchi di ’atti immorali’ con una persona del proprio sesso è infatti condannata a morire, gettata da una rupe.
Senonché, pochi giorni prima della partenza di Pegah, l’associazione ASSIST di Sheffield ha contattato alcuni gruppi e, in particolare, l’Iranian Queer Organization e il Gruppo EveryOne (Italia), dando vita a una campagna internazionale capillare, diffondendo appelli, inviando articoli alla stampa e ai siti di informazione libera, coinvolgendo inoltre importanti personalità politiche e intellettuali. E la risposta internazionale è stata formidabile: migliaia di voci hanno raggiunto il Regno Unito, i Lord, i Reali, il primo ministro britannico Gordon Brown, l’Home Secretary. Il ’volo della morte’ della British Aiways è stato così annullato all’ultimo istante.
I media italiani hanno dedicato prime pagine e ampi spazi alla vicenda di Pegah; il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e quello di Roma Walter Veltroni hanno offerto asilo e una casa alla profuga, numerosi parlamentari hanno sollevato il problema nelle sedi politiche e alcuni ministri hanno lanciato al Regno Unito la proposta di accogliere Pegah in Italia concedendole asilo.
Il capo dell’Ufficio Politico dell’Ambasciata Britannica a Roma, a nome del governo del Regno Unito, ha così convocato gli attivisti del Gruppo EveryOne - Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau e Steed Gamero - assicurando che il caso sarebbe stato valutato in appello nel pieno rispetto della Convenzione di Ginevra, della Dichiarazione dei Diritti Umani e di tutti i documenti che garantiscono il rispetto della dignità e della vita del Rifugiato.
Pegah Emambakhsh, i media inglesi e il silenzio dei colpevoli
di Roberto Malini
Cara Miriam, cara Elisa, cari amici
di Watch International/Secondo Protocollo,
l’iniziativa "Fiori per Pegah", che il Gruppo EveryOne ha promosso a livello internazionale, ha offerto un grande risultato. Il carcere di Yarl’s Wood, in cui Pegah è rinchiusa, in condizioni di salute fisica e psichica assolutamente precarie, è stato inondato di mazzi di rose, gigli, gerbere, fiori di campo. Il centro di detenzione è entrato in crisi e le autorità, in violazione alle norme che tutelano i profughi, hanno ordinato di gettare fra i rifiuti tutti i fiori e i biglietti di sostegno indirizzati a Pegah.
E’ qualcosa di gravissimo, perchè il Regno Unito nega a Pegah persino il diritto a ricevere corrispondenza. Pensate che persino i nazisti concedevano agli ebrei internati nei lager di ricevere posta. Molti cittadini britannici ci scrivono increduli, affermando di vergognarsi del loro Paese, del loro governo. Noi del Gruppo EveryOne protestiamo in ogni sede, ma l’arroganza dei potenti non ammette ripensamenti e non concede spazio al’umanità: "Pegah deve stare in galera"; "Pegah non può ricevere messaggi dal mondo che le è vicino"; "I fiori per Pegah finiranno nella spazzatura"; "La vita di Pegah è una cosa nostra".
I media, nel frattempo, in ossequio ai potenti, cercano di nascondere la tragedia di Pegah. Ecco il messaggio che, tradotto in lingua inglese, cercheremo di far giungere ai cittadini del Regno Unito, la maggior parte dei quali continua a coltivare la compassione e l’umanità e non si riconosce in questo governo spietato verso i deboli. Rimanete vicini a Pegah e non abandonateci, per favore, in questa azione di umanità. Roberto Malini
Cari amici, la televisione, le radio, la stampa inglese non concedono spazio al caso di Pegah Emambakhsh. E’ semplicemente incredibile. Ascoltate la BBC, sfogliate un quotidiano. Quante notizie futili vengono trasmesse o scritte ogni giorno? Qui parliamo di una profuga fuggita dall’Iran, dove è condannata a 100 frustate (spesso letali e sempre devastanti) perchè è lesbica e alla pena di essere gettata da una rupe, impiccata o lapidata in quanto donna sposata e in quanto fuggita all’estero clandestinamente.
Qui parliamo di uno stato che ha una grande tradizione di civiltà, ma che ha perduto la strada del rispetto dei diritti umani. Uno stato in cui i la vita dei profughi viene decisa in modo affrettato e disumano. Pegah non ha commesso alcun crimine. E’ una donna indifesa che ha chiesto aiuto al Regno Unito. Ma non ha ricevuto Asilo. Hanno tentato di deportarla in Iran, verso la tortura e la morte e adesso si trova in carcere, allo stremo delle forze, senza poter ricevere visite o il sollievo di un mazzo di fiori, che le guardie gettano fra i rifiuti senza neanche farle sapere che qualcuno ha pensato a lei. E’ tutto così atroce, così incredibilmente spietato. E’ un caso su cui si scriveranno libri e si gireranno documentari e film. Eppure i giornali non la ritengono una notizia da divulgare, le televisioni la nascondono.
La BBC ha intervistato me e un altro membro del Gruppo EveryOne. Quando abbiamo chiesto al giornalista perché i media inglesi stanno nascondendo il caso all’opinione pubblica, lui mi ha risposto con orgoglio. "La BBC è diversa e non ha paura di niente. State tranquilli, perché darà ampio spazio alla notizia". Invece niente, l’intervista non è mai andata in onda. State attenti, amici, perché il silenzio é un sipario dietro il quale agiscono i carnefici. La Storia ci insegna che è così, che è sempre stato così.
Con grande civiltà, protestate. Chiedete ai media di informarvi sui fatti che accadono nel Regno Unito, anche se sono scomodi, urtano i potenti e non fanno fare bella figura al Governo. Protestate adesso, alzate la voce adesso, prima che il silenzio divenga ancora più profondo, le urla di dolore siano coperte da jingle pubblicitari e nella profonda quiete apparente comincino a riecheggiare passi ritmici di stivaloni militari. Perché l’orrore ritorna sempre e il silenzio è il suo complice più fedele.
Per il Gruppo EveryOne, Roberto Malini
Fiori per Pegah
di Roberto Malini *
Il carcere di Yarl’s Wood, triste luogo di transito che si trova vicino a Clapham, nel Bedfordshire, in cui gli immigrati attendono la deportazione è stato raggiunto da un arcobaleno di colori. Da ieri, infatti, centinaia di mazzi di rose, gigli e gerbere vengono consegnati dai fattorini di Interflora alle guardie, che firmano le ricevute con grande stupore. "E’ una situazione difficile," ha detto un responsabile del centro, "perché non ci era mai accaduto niente di simile. I fiori arrivano a un ritmo incessante e noi non sappiamo cosa fare. All’inizio ci hanno detto di separare i biglietti di accompagnamento e mettere da parte i mazzi e le composizioni, in attesa di disposizioni, ma a un certo punto è diventato impossibile, perché ci perviene una montagna di fiori e la situazione è diventata ingestibile". Sui biglietti e le cartoline che accompagnano i fiori sono scritti messaggi di sostegno, di speranza e di amore: "Presto sarai libera", "Non arrenderti, ti siamo vicini", "Attendiamo con ansia che il Regno Unito ti conceda asilo". I fiori e i messaggi sono tutti per lei, Pegah Emambakhsh, il cui nome è scritto spesso in uno stile elegante e graziato.
La portavoce di un’Associazione che vigila sulle deportazioni dall’interno del Centro ha chiesto informazioni su quella marea multicolore proveniente da tutto il mondo all’associazione "Friends of Pegah Campaign" ed ha appreso così che l’iniziativa è partita dall’Italia grazie al Gruppo EveryOne. In poche ore, grazie all’appoggio di gruppi per i diritti umani, siti internet, forum e gente comune, l’idea si è trasformata in una grande manifestazione di solidarietà. Migliaia di cittadini di ogni età, sesso, razza e condizione sociale hanno cominciato a inviare fiori e si può essere certi che l’ondata non si fermerà tanto presto. "Non sono sicura che le guardie si premureranno di separare i fiori dai biglietti, " ha dichiarato in un primo momento E.G., "perché non sono tutte famose per la loro gentilezza. Può darsi che ora le guardie gettino tutti i mazzi fra i rifiuti e che Pegah non ne sia neanche informata. Però il fenomeno è notevole e può darsi che porti attenzione sul caso di Pegah, anche per intervento dello Staff di Immigrazione e del personale della compagnia privata che gestisce il carcere. Chi può dirlo? Ogni azione è come una lama a doppio taglio. Vorrei dire al Gruppo EveryOne che è meraviglioso tutto quello che stanno facendo per Pegah e il coinvolgimento di gente di tutto il mondo. Una cosa è certa: tutto questo solleverà il morale di Pegah e in questa situazione il suo stato di salute psichica è importante tanto quanto il procedimento giudiziario in corso".
Simon Forbes di OutRage! definisce l’azione "Un gesto di incredibile umanità", mentre dall’interno del carcere giungono notizie rassicuranti: le guardie hanno compreso lo spirito dell’iniziativa e, nei limiti delle loro funzioni, si prodigano per manifestare solidarietà alla detenuta.
Chi volesse inviare una cartolina a Pegah (che sicuramente le sarà consegnata, per regolamento del Centro), può inoltrarla a:
Pegah Emambakhsh
Yarl’s Wood Immigration Removal Centre,
Twinwood Road,
Clapham, Bedfordshire MK41 6HL,
United Kingdom
Telephone 01234 821000
Per chiedere giustizia e asilo per Pegah:
United Nations High Commissioner for Refugee hqls@unhcr.org
The President of the European Parliament Hans-Gert Pötterin: info@europarl.eu.int
European Court of Human Rights Webmaster@echr.coe.int
Prime Minister Gordon Brown: http://www.number-10.gov.uk
British Embassy in Italy: RomePoliticalSectionEnquiries@fco.gov.uk
Per inviare messaggi di sostegno a Pegah:
EveryOne Group (Italy): Roberto.malini@annesdoor.com - matteopegoraro@emergentesgomita.com
Friends of Pegah Campaign (Sheffield): pegahletters@mac.com
The case of Pegah Emambakhsh and the new frontiers of Human Rights
By Roberto Malini - EveryOne Group
The widespread international campaign to save Pegah Emambakhsh’s life,
which has involved governmental institutions, human rights organizations,
GLBT activist groups, intellectuals, experts in international law and millions
of people who have come to love Pegah, has succeeded in achieving a
positive outcome. Pegah is now serene, she is being assisted by a top legal
office, by the “Friends of Pegah Campaign” association (which the EveryOne
Group is proud to be part of) and has obtained the guarantee that her case will
undergo an objective reassessment. The meeting between the lawyers and
the magistrate was extremely positive and satisfactory.
Pegah’s face and her moving story has travelled the world and brought about
a new priority: to work all together to ensure that the international law that protects
refugees and guarantees asylum to those who are persecuted in their home country
is recognised by government and legal institutions, and then adhered to. There are
declarations, conventions, documents, appendages, international and local agreements
that regulate this delicate subject-matter, but the essential rule is very simple and all the
civilized countries have signed it: “If, due to discrimination, a human being risks in his own
country becoming the victim of physical or psychological ill-treatment, limitation of the
freedom of opinion and expression, torture, imprisonment, capital punishment,
he must be protected by the country he has taken refuge in, not be detained in prison
and in the shortest time possible granted political asylum”.
So simple, so difficult for those who don’t want to see. Another law that exists,
but not as well-known to governments is the following: “Any country that is able to grant freedom
and a dignified life to a refugee, must be able to offer that asylum in the event of the refugee
being turned down by the first country he or she has applied to.” The legal material on
Refugee Status and a Right to Asylum contains thousands of pages, yet it would be so simple
just to apply at least these two main principles.
There would be so much less injustice, and so fewer victims!
It is now time to reflect and remain calm. Pegah’s case could become
a symbol and help all governments to shed light on this delicate priority which is
so essential for the safeguarding of human rights. The horrors of history, genocides
and holocausts emerge slowly and develop when indifference reigns or when human
rights are forgotten or ignored by the authorities. We are all watchdogs of the
respect for human rights and each and every one of us - as Mark Twain wrote - is a patriot
and represents his own country when it fights for the observance of what one believes is right,
even if he is the last person to see where Truth and Justice lie.
If we defend the weak and help our governments not to lose the way of human rights, then we
will be patriots, we will be - with pride - representatives of our country and no one,
not even kings, not even presidents, can impose ideas on us that are far from Truth and Justice.
Let us now be watchful over the developments in Pegah’s case, but with faith and serenity,
because legality and truth have been restored.
A relaxed atmosphere will help Pegah’s lawyers and the magistrates carry out their work
with conscience. We are sure to receive some good news shortly.
The case of the Iranian woman, whose life and happiness we have taken to heart, will
help us to ensure similar cases in Germany, Holland, Japan, Italy and other countries
are also treated with justice, according to the human rights laws.
The EveryOne Group will remain in contact with Pegah’s representatives, with the
“Friends of Pegah Campaign” association, and contribute to maintaining a calm and constructive
climate, supplying information and updating when there is any news. In the meantime,
we are already working on other cases that concern the rights of the weakest.
Contact us, support us, work alongside us.
We live in a tormented world, where those who are poor, or different, those who suffer
are turned away, tortured, eliminated. We are sure that each and every one of you
will want to contribute towards changing things.
EveryOne Group, Founding Members:
Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau, Ahmad Rafat,
Arsham Parsi, Steed Gamero, Glenys Robinson, Fabio Patronelli.
Il caso Pegah Emambakhsh e le nuove frontiere dei Diritti Umani
di Roberto Malini - EveryOne Group*
La vasta campagna internazionale a favore della vita di Pegah Emambakhsh, che ha coinvolto istituzioni governative, organizzazioni per i diritti umani, gruppi di attivisti GLBT, intellettuali, esperti di diritto internazionale e milioni di persone che hanno imparato ad amare Pegah, è servita a ottenere il massimo risultato. Ora Pegah è serena, è seguita da uno studio legale di altissimo livello, dall’associazione "Friends of Pegah Campaign" (di cui con orgoglio il Gruppo EveryOne fa parte) e ha ottenuto la garanzia di un riesame obiettivo della sua pratica.
L’incontro fra i legali e il PM è stato estremamente soddisfacente e positivo. Il volto di Pegah e la sua storia commovente hanno fatto il giro del mondo e sollevano una nuova priorità: lavorare tutti insieme per assicurarci che il diritto internazionale che protegge i rifugiati e assicura asilo a coloro che sono perseguitati in patria venga riconosciuto dalle istituzioni governative e giuridiche e, infine, rispettato.
Vi sono dichiarazioni, convenzioni, protocolli, appendici, disposizioni internazionali e locali che regolano questa delicata materia, ma la norma principale è semplicissima e l’hanno sottoscritta tutti i paesi civili: "Se un essere umano rischia nel proprio paese, a causa della discriminazione, di subire maltrattamenti fisici o psicologici, limitazioni alla libertà di espressione, torture, detenzione o l’estrema barbarie della pena capitale, deve essere protetto dal Paese in cui si rifugia, non deve essere detenuto e nei tempi più brevi possibili deve ricevere asilo politico".
Così facile, così difficile per chi non vuol capire! Un’altra norma importante, che esiste, ma è poco nota ai governi, è la seguente: "Qualsiasi Paese in grado di garantire libertà e una vita dignitosa a un profugo, deve essere in grado di proporre asilo a quella persona qualora esso fosse negato dal paese cui il profugo si è rivolto in prima istanza".
La letteratura giuridica sullo stato di rifugiato e sul diritto di asilo comprende migliaia di pagine, eppure sarebbe così semplice applicare almeno questi due principi fondamentali. Quante ingiustizie, quante vittime in meno ci sarebbero!
Ora è il momento di riflettere e mantenersi sereni.
Il caso di Pegah può diventare emblematico e aiutare tutti i governi a fare chiarezza su questa delicata priorità, basilare per la minima tutela dei diritti umani. Gli orrori della Storia, i genocidi e gli olocausti nascono lentamente e si sviluppano quando regna l’indifferenza e quando i diritti umani vengono dimenticati o aggirati dalle autorità.
Tutti noi siamo garanti del rispetto dei diritti umani e ognuno di noi - come scrisse Mark Twain - è un patriota e rappresenta il proprio Paese quando si batte per il rispetto di ciò che ritiene giusto, anche se fosse l’ultima persona, nella nazione in cui vive, capace di vedere dove siano verità e giustizia. Se difendiamo i deboli e aiutiamo i nostri governi a non perdere la via dei diritti umani, allora saremo patrioti, allora saremo - con orgoglio - rappresentanti del nostro Paese e nessuno, neanche i re, neanche i presidenti, potrà imporci un pensiero lontano dalla verità e dalla giustizia.
Adesso manteniamoci attenti agli sviluppi del caso di Pegah, ma con fiducia e serenità, perché la legalità e la verità sono state ripristinate. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ha ricevuto dal Gruppo Everyone un fascicolo riguardante il caso di Pegah Emambakhsh, vigilerà insieme a noi sul procedimento d’appello. Un clima sereno aiuterà i legali e i magistrati a svolgere con cocienza il loro lavoro. Non dubitate che avremo presto buone notizie.
Il caso della donna iraniana la cui vita e la cui felicità ci stanno così a cuore sarà utile perché casi analoghi, in Germania, Olanda, Giappone, Italia e altri Paesi si risolvano secondo giustizia, nel rispetto dei diritti umani. Il Gruppo EveryOne sarà costantemente in contatto con l’ambiente di Pegah, con l’associazione "Friends of Pegah Campaign", e contribuirà a mantenere un clima tranquillo e costruttivo, fornendo informazioni e aggiornamenti quando si presenteranno novità.
Intanto, siamo già attivi su altri casi che riguardano i diritti dei più deboli. Contattateci, restateci vicini, lavorate insieme a noi. Viviamo in un mondo perseguitato, dove chi è povero, chi è diverso, chi soffre viene spesso scacciato, tormentato, annientato. Siamo certi che ognuno di voi desidera contribuire al cambiamento.
Per il Gruppo EveryOne,
Roberto Malini, Matteo Pegoraro,
Dario Picciau, Ahmad Rafat,
Arsham Parsi, Fabio Patronelli.
SAVE PEGAH
di Salvatore Conte *
Cari Amici di Israele,
ho una domanda sul labbro: non Vi sconcerta l’allucinante vicenda della Sig.ra Pegah Emambakhsh, l’esule iraniana perseguitata anche nella "civilissima" Europa, dove se sbagli a compilare un modulo, scatta la pena di morte?
Come è possibile che un Paese, come la Gran Bretagna, che si dice nemico della barbarie e degli "Stati canaglia", si trovi in perfetta sintonia con l’Iran quanto all’esigenza di lapidare una giovane donna innocente?
Non è tutto questo già una bomba atomica nelle mani dell’Iran?
I grandi massacri dell’Europa non sono forse sempre nati dall’indifferenza e dall’aggressione dei più deboli e delle minoranze?
Vi ringrazio moltissimo per aver rilanciato (in alcuni Vs. siti d’informazione) lo struggente articolo di Repubblica con l’intervista alla Sig.ra Pegah: tutti dovrebbero conoscere le sue parole di speranza, amore e giustizia, sperando che non siano le ultime.
E spero con il cuore, è una preghiera, che la Vs. grande cultura e generosità di popolo antico e saggio, a lungo ingiustamente perseguitato, si materializzi in un gesto, anche silenzioso, di grande e superiore civiltà: intervenire per liberare dalla prigionia e dal dolore la Sig.ra Pegah.
Sarebbe una più che meritevole cittadina europea. Un baluardo vivente contro la barbarie e l’odio. Il miglior scudo spaziale contro le bombe atomiche di qualsiasi Paese canaglia.
Io oso sperarlo.
Grazie,
Salvatore Conte
(Roma)