PADRI SEPARATI E AFFIDAMENTO CONDIVISO
La drammatica esperienza di un giovane uomo riapre la ferita, mai rimarginata, della penalizzazione dell’uomo in quanto padre.
Ciao Andrea, uso questo nome perché, come mi hai chiesto, non vuoi che si conosca quello vero dal momento che sei in pieno ricorso. Grazie, innanzitutto, per aver deciso di raccontare la tua storia in modo che altri papà possano attingere dalla tua esperienza e, soprattutto, perché è necessario che la gent, quella che non ha nemmeno l’idea di quale possa essere la sofferenza di un padre, si renda conto di cosa, invece, subisce, troppo spesso, un uomo.
Vorrei che tu parlassi a ruota libera, conosco già la tua storia vissuta ed è ricca di punti importanti. Hai scritto al presidente della Repubblica e al ministro Pollastrini, la disperazione ti ha fatto compiere passi importanti. Leggendo le due lettere ho voluto ricavarne un sunto che, spero vivamente, faccia riflettere tutti quelli che leggeranno questo articolo.
Andrea parla:
“Non chiedo un lavoro e nemmeno che qualcuno si getti in un fiume per me. Chi decide, però, potrebbe evitare la mia morte psicologica, restituendo a me e a tutti i padri negati la speranza di esserlo di nuovo, ridandoci la dignità
Sono stato figlio di padre assente, orfano, praticamente, di padre vivo, ho sofferto per questo ma sono riuscito a cavarmela, riuscendo persino ad affermarmi come libero professionista nell’informatica e come musicista di fama internazionale. Fino a qualche anno fa davo la colpa solo a mio padre per la sua assenza, poi mi sono sposato e dopo due anni separato (2003), ho quindi capito che a volte non dipende dall’uomo. E’ iniziato il mio calvario da emarginazione paterna, proprio com’era successo a mio padre e moltissimi altri oggi. Ho capito che il mio genitore era solo una vittima di un sistema che isola l’uomo come elemento usa e getta per i soldi e per il lavoro, costretto a vivere a distanza dall’amore vero di una famiglia.
Mia moglie, che amavo, mi tradì quando la nostra bambina aveva solo 18 mesi, lo fece con un mio studente, un ragazzino appena 18enne, di dieci anni meno di lei, rimase anche incinta di questo ragazzo e chiese quindi la separazione. Ingenuo e spaventato accettai la ‘prassi’ di lasciare la bambina in affido alla madre. Da quel giorno non sono più stato bene. I miei amici dicono che mi sono anche imbruttito. Quel giorno orribile, quando dovetti separarmi da mia figlia, è iniziata una guerra e ancora oggi mi trovo a difendermi per non soccombere e morire psicologicamente. Quando si è in guerra si diventa come le bestie, da quel giorno, a causa di umiliazioni ed emarginazioni sociali, sono anche caduto in depressione.
Il giorno dell’udienza e della separazione ufficiali mi sentii un alieno: ero disperato, mentre mia moglie sorridente e felice parlava di ‘Grande fratello’ e minigonne alla moda con le persone che le stavano accanto. Nessun rispetto per il mio dolore. Dovetti presto rinunciare alla mia attività e ai miei sogni professionali, avevo bisogno di più soldi. Accettai di pulire pavimenti in precariato, e, quando mi accorsi che la mia busta non bastava nemmeno per pagare gli alimenti stabiliti a mia figlia, sebbene mia moglie guadagnasse 5.000 euro al mese e io soltanto 500, mi sentii disperato e in trappola.
Allontanai gli amici perché non potevo nemmeno invitarli a casa mia dal momento che vivevo senza riscaldamento. Un giorno mia moglie mi chiese di compartecipare, al 50%, all’acquisto dei regali a mia figlia, cose di marca e carissime che io non potevo permettermi. Mi canzonò e mi fece sentire in colpa. Spesso succedeva che mi offendeva al telefono e io dovevo stare zitto per evitare ritorsioni sulle visite a mia figlia. Arrivò al punto di farmi capire che mi avrebbe permesso di vedere di più mia figlia se le avessi dato più soldi. Piangevo come un bambino quando mia moglie, senza preavviso, trasferì la sua residenza molto più lontana. I miei orari non mi permettevano di arrivare in tempo all’asilo e quando chiesi alla madre di mia figlia di concedermi un cambiamento di orario le mi disse: ‘rivolgiti al tuo legale’. Durante l’estate vidi pochissimo la mia bambina e potei trascorrere con lei soltanto una notte. Ricevetti un pugno allo stomaco e uno al cuore quando seppi che la mia piccola era costretta a chiamare ‘babbo’ il mio allievo, il compagno della mia ex moglie e, quando ne parlai con quella donna mi rispose: ‘ mia figlia può chiamare babbo chi vuole’. Non trovavo avvocati disposti a chiedere l’affido condiviso, e qualcuno ebbe il coraggio di dirmi che preferiva lavorare con le mamme perché creavano meno problemi.
Ho anche frequentato in questi 3 anni molte associazioni di padri separati. Li ho potuto constatare che il mio non era un problema isolato, ma anzi diffusissimo, ho potuto osservare cosa è successo alla nostra società, una società dove la figura paterna è assente dalla famiglia oramai da un bel po’. E’ assente dalle consuetudini, dai luoghi comuni, che vogliono la sola “mamma” per crescere i figli. E’ assente dalle decisioni più importanti per i figli, da quelle sul loro concepimento, alla nascita, a quelle durante la loro vita. Ma essere assenti dalla famiglia equivale in pratica ad essere assenti dalla società, perché la famiglia è la colonna della società. Non lo dicono sempre in politica?
Ho conosciuto troppi padri ‘morti dentro’ a causa di questo sistema crudele. Le umiliazioni, i soprusi e le violenze psicologiche, l’impotenza di fronte alla giustizia ingiusta ti cambiano la vita.
La storia si ripete. Mio padre che ha lavorato tanto per comprare una casa ad ognuno dei 3 figli ed una anche a mia madre si separò 15 anni fa e fu lasciato solo dai figli. Lui ora ha 70 anni è stato un grande ma morirà solo e non compreso. Io non mi riconosco più, ho deciso di scendere in guerra per difesa e per non soccombere, ma per quanto ancora? Tre anni sono sufficienti? Tornerò mai come prima? Col sorriso, la voglia di vivere, di fare e di donare?
Da più giovane lessi “Il Sergente nella Neve” e la mia domanda mi sembra quella stessa domanda che faceva sempre il soldato in trincea dopo anni di sfibrante guerra ed eterne attese al buio ed al freddo.. diceva ai suoi compagni: quando torneremo alla baita?
Ho capito che la libertà vale più di tutto. Che “vivere” e “sopravvivere” sono due cose completamente diverse. Che spesso nel solo sopravvivere la dignità non c’è. Che è forse meglio morire che sopravvivere senza un senso ed una direzione perché l’essere umano dovrebbe vivere e non solo sopravvivere. E la mia direzione si chiamava famiglia, si chiamava mia figlia, e le redini di tutto questo sono state date evidentemente alla persona sbagliata, alla persona che la famiglia l’ha distrutta, alla persona che alla famiglia ed ai suoi membri ha mancato clamorosamente di rispetto, mentre a chi con anni di affetto, fedeltà ed impegno avrebbe meritato non è stato dato niente.
Dell’art.29 della costituzione che dice “Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” non ho visto traccia nella mia storia ed in quella di tanti padri che ho conosciuto.
Questo non è giusto, la parità deve essere vera. E’ giusto che le donne si avvicinino al lavoro, ma è anche giusto che l’uomo si avvicini alla famiglia, con incentivi, investimenti, comunicazione e cultura costruttiva, come viene fatto per la donna. La legge sul condiviso da poco approvata è un primo piccolo passo, ma è una goccia nel mare. Dobbiamo impegnarci ancora molto se vogliamo una società giusta e serena, dove uomo e donna si possano amare e rispettare, scegliere liberamente i ruoli più affini alle loro attitudini ed affettività, mi pare invece che ci siano ancora troppi pregiudizi e vincoli sul ruolo dell’uomo, si tratta spesso di concetti e modi di pensare retrogradi e a volte anche di furberia ed opportunismo personale o di un gruppo.
Dobbiamo lottare per la paternità quanto si lotta per la maternità, per una famiglia sana ed equilibrata dove nessun genitore viene escluso, dove i figli ricevono i diversi ed altrettanto indispensabili insegnamenti che il padre e la madre danno.
Occorre agire subito”.
Alcune considerazioni.
La storia di Andrea è un caso reale di mobbing genitoriale. Dov’è la democrazia? Dov’è l’eguaglianza tra cittadini? Com’è possibile che esistano, per lo Stato, ancora cittadini di serie A e cittadini di serie B? E’ vero la ministra Pollastrini ha accettato un confronto e il senatore Eufemi ha cominciato a parlare di diritti dei figli di coppie non sposate, ma siamo ancora troppo indietro.
Il sistema dovrebbe solo vergognarsi di aver dato il potere esclusivo alla madre di questa storia che, nonostante il tradimento, era quella con il potere di non permettere ad Andrea le visite alla figlia. Cosa dire di quegli avvocati che preferivano lavorare con le mamme perché ‘danno’ meno problemi? Il minino è pensare che sono soltanto degli ‘azzeccagarbugli’ poco professionali, senza alcuna etica, che pensano esclusivamente alla parcella. Nessun rispetto per il dolore di Andrea, la moglie, felice della sua nuova love story, non si cura del magone del suo ex marito. Cosa sarebbe accaduto se un uomo si fosse comportato nella stessa maniera? Si sarebbe gridato allo scandalo, uomo crudele contro povera donna.
Finchè non verranno garantiti pari diritti tra i genitori, madri e padri, credo che la civiltà sarà ancora lontana da qualsiasi eguaglianza. Pari diritti tra uomo e donna, che così sia, a cominciare dai genitori. Tralasciando le eccezioni, che piaccia o no, un padre ama, protegge, cura e si annulla per il bene dei propri figli, proprio come fa una madre. Basta con ridicoli stereotipi e cafoneschi luoghi comuni. Nascono associazioni che, divincolandosi nella rete delle leggi ostili, tentano di aiutare i padri disperati e, una delle ultime è nata a Firenze. I papà toscani possono rivolgersi qui http://www.armatadeipadri.it/firenze.html
Cosmo de La Fuente
www.familiafutura.blogspot.com
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO.
Il caso
Sereni para tutto e si sfoga in tv
testimonial dei padri separati dai figli
Il portiere del Brescia: "Non vi vedo da mesi, vi dedico la vittoria". Non incontro i mei bambini da molto tempo, e non per mia volontà. Si moltiplicano le associazioni di chi dopo il divorzio si vede negare la possibilità di mantenere rapporti con i figli
di MAURIZIO CROSETTI *
TORINO - Mentre parla ai suoi bambini dentro una telecamera, la voce di Matteo Sereni trema un po’, non come le mani che parano tutto. "Dedico questa vittoria ai miei figli che non vedo da molto tempo, e non per colpa mia". Di solito, dopo una partita i giocatori raccontano della prestazione, del risultato, del mister, dei compagni, dei tifosi. Invece Matteo Sereni, 35 anni, portiere del Brescia, migliore in campo ieri contro il Palermo (3-2 il risultato, grazie anche ai voli e ai guizzi del vecchio numero uno), nell’intervista a caldo spalanca una porta sull’abisso in cui spesso precipitano i padri separati, in guerra giudiziaria con le ex mogli.
La storia del calciatore è uguale a tante, dolorosa allo stesso modo: nel 2009, 100.252 bambini (66.406 dei quali minori) sono stati coinvolti in separazioni non consensuali, e 49.087 in divorzi. Le vittime sono innanzi tutto loro, oggetti di violenza anche psicologica, costretti a crescere nel parziale vuoto affettivo, usati come merce di scambio o ricatto, ma anche il destino dei padri può essere triste e senza uscita; nell’85 per cento dei casi, i giudici affidano i figli alle madri, e spesso gli accordi e gli obblighi sul tempo da concedere ai papà vengono disattesi o ignorati.
Il portiere del Brescia si è separato dalla moglie Silvia un anno fa. Si conobbero quando lei si occupava di pubbliche relazioni per alcune discoteche genovesi, fu un amore dirompente con tanto di matrimonio esotico su una spiaggia giamaicana. Un’unione atipica e duplice, perché Silvia era anche la procuratrice del marito: fece scalpore il duro scontro che la signora ebbe con Claudio Lotito, presidente laziale, quando Matteo giocava a Roma. Donna che non teme il muro contro muro e non solo nella professione, la signora Sereni cura anche gli interessi di David Di Michele, appena passato dal Torino al Lecce.
Nel primi mesi dopo la separazione, Matteo poteva vedere i figli col contagocce, e da giugno non riesce neppure a sentirli al telefono. Così, l’unico modo per comunicare con Giorgia, 5 anni e con Simone, 9 anni, è stata l’intervista televisiva dopo la formidabile partita.
Il messaggio scritto dal calciatore dentro quella specie di bottiglia che può essere una telecamera, nel giorno in cui il Brescia tornava a giocare e vincere in serie A, in casa, dopo cinque anni, è identico a quello che decine di migliaia di padri separati affidano ogni giorno al web, dove non si contano le associazioni che li tengono uniti, dando possibilità di sfogo e ascolto condiviso, oltre ad assistenza legale e consigli pratici. Su Internet colpiscono le storie di questi uomini, dentro blog e siti che si chiamano "Caro papà", "Figli contesi", "Forza papà", "Figli negati" oppure "Papà separati": dove, per separati, bisogna intendere dai figli e non solo dalle mogli.
Gallerie fotografiche toccanti, nelle quali i padri sfilano cullando bambolotti che simboleggiano i bimbi contesi, e forse perduti. Non è raro che sullo sfondo delle battaglie tra genitori possa esplodere la tragedia: negli ultimi dieci anni, sono stati uccisi in raptus o a sangue freddo 158 minori, trasformati in oggetto di vendetta e follia. Ma vi sono anche pagine e pagine di testimonianze, di sofferenza ma anche di indigenza, perché proprio tra i padri separati sta crescendo enormemente la percentuale dei nuovi poveri che si rivolgono alla Caritas o ai servizi sociali, appelli e lettere che si rivolgono ai piccoli lontani. Un po’ come ha fatto Sereni. E la sensazione, molto forte, è che in quei pochi secondi di intervista (gli importava davvero qualcosa, ormai, della grandiosa partita appena disputata?), l’anziano portiere parlasse e soffrisse a nome di tanti.
* la Repubblica, 13 settembre 2010