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SCIENZIATI E SCIENZIATE: UNA LUNGA DISCRIMINAZIONE. Per riflettere, il progetto «Nobel negati» di Lorenza Accusani, che la Triennale di Milano ospiterà domani con un convegno e una mostra all’interno della rassegna «I giardini di marzo» - a cura di pfls

martedì 20 marzo 2007.
 


Scienziate del Novecento, la ricerca nell’ombra

Domani alla Triennale, alla presenza dell’astrofisica Jocelyn Bell-Burnell, un convegno ricorda le studiose che, pur avendo preso parte a progetti insigniti del Nobel, furono discriminate

di Sara Sesti (il manifesto, 18,03,2007)

Nel 1867 l’École Polytecnique di Zurigo aprì le sue porte alle studentesse: per la prima volta, dopo secoli di ostracismo, le donne avevano accesso allo studio delle materie scientifiche all’interno di un ateneo. A distanza di quasi centocinquant’anni, e in un quadro di riferimento molto diverso, il rapporto fra donne e scienza continua a presentare forti chiaroscuri: a tutt’oggi le scienziate insignite del Nobel sono infatti appena undici e il numero di donne che rivestono ruoli di rilievo nella ricerca rimane esiguo, malgrado gli ottimi risultati delle studentesse nelle facoltà scientifiche e la consistente presenza femminile in molti laboratori. Su questa lunga discriminazione si propone di stimolare una riflessione il progetto «Nobel negati» di Lorenza Accusani, che la Triennale di Milano ospiterà domani con un convegno e una mostra all’interno della rassegna «I giardini di marzo».

Apparentemente bizzarra, la definizione di «Nobel negati» fa riferimento ad alcune scienziate che, pur avendo preso parte a progetti premiati con il celebre riconoscimento, furono penalizzate rispetto ai loro colleghi: la cristallografa Rosalind Franklin, la biologa Nettie Marie Stevens, l’astronoma Annie Jump Cannon, l’astrofisica Jocelyn Bell-Burnell e le fisiche Lise Meitner e Chien-Shiung Wu. Tra di esse una soltanto è ancora in vita: l’astrofisica irlandese Jocelyn Bell-Burnell, che scoprì le stelle pulsar nel 1967 quando aveva ventiquattro anni e che sarà ospite dell’incontro milanese. Studentessa a Cambridge, le fu assegnata come tesi una ricerca sui quasar. Durante le sue osservazioni scoprì sui diagrammi dei picchi inaspettati che comparivano periodicamente.

Determinante per la scoperta delle pulsar fu il fatto che la giovane non trascurò queste «irregolarità», registrando puntigliosamente le apparizioni ripetute. La sorgente - chiamata all’inizio LGM, Little Green Man (omino verde), quasi si trattasse di un segnale «extraterrestre» - venne poi identificata come una stella di neutroni rotante ad altissima velocità, la prima pulsar appunto, e nel febbraio del 1968 la scoperta venne pubblicata su «Nature». Ma nel 1974 fu solo Anthony Hewish, relatore della tesi, a ricevere il Nobel per la fisica con Martin Ryle «per il ruolo decisivo svolto nella scoperta delle pulsar». Una ingiustizia mai sottolineata dalla stessa Bell-Burnell, ma cui cercò di rimediare l’Istituto Franklin di Philadelphia, che assegnò la medaglia «Albert A. Michelson» a Anthony Hewish e a Jocelyn Bell-Burnell «per uguale impegno».

Fra le vicende delle scienziate che verranno ricordate a Milano, emblematica è quella della fisica Lise Meitner, austriaca di origine ebrea, che insieme ai chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprì la fissione nucleare sul finire degli anni Trenta. Siccome Otto Hahn riteneva ancora azzardato esporre pubblicamente la teoria, fu Lise Meitner a scrivere su «Nature» una delle lettere più celebri della storia della scienza, datata dicembre 1938. Negli anni successivi la scienziata, fuggita dalla Germania nazista e rifugiata in Svezia, rifiutò di andare negli Stati Uniti a lavorare al Progetto Manhattan, il programma di Fermi per l’ideazione e la costruzione delle prime armi atomiche. Otto Hahn invece partecipò al progetto, fallito, di costruirne una tedesca e dopo la guerra ricevette il premio Nobel, che fu invece negato a Lise Meitner.

Altrettanto significativa è la sorte della chimica Rosalind Franklin, che fornì le prove sperimentali della struttura del Dna. Per questa scoperta ricevettero il Nobel nel ’62 solo James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins, che realizzarono il modello a doppia elica, reso possibile in realtà grazie alla famosa «foto 51», scattata dalla Franklin e sottratta dal suo laboratorio. La verità fu rivelata nel 1968 dallo stesso Watson nel libro La doppia elica, quando la ricercatrice era morta.

Se la sfortuna di scienziate come Rosalind Franklin si può ricollegare al fatto che all’epoca della loro attività la presenza femminile nei laboratori era fortemente penalizzata (spesso le donne non erano ammesse alle mense e alle sale comuni, nei luoghi cioè dove avveniva lo scambio di informazioni tra scienziati), studi recenti hanno rilevato come forme sottili di discriminazione resistano anche oggi. Un’indagine condotta con rigore statistico nel ’97 dalle svedesi Christine Wenneras e Agnes Wold e pubblicata su «Nature» ha dimostrato che per ottenere promozioni pari a quelle di un ricercatore, una ricercatrice deve dimostrarsi due volte e mezzo più brava.


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