Diritti civili
«Guerra santa» anti-gay a Gerusalemme. L’omofobia vince in Israele. Nel silenzio del mondo
Gruppi ebrei ultraortodossi scatenati contro il «pride» di venerdì a Gerusalemme: barricate e scontri con la polizia. Contro la sfilata, già notevolmente ridimensionata, rabbini, imam e cattolici. E i politici, da Olmert al socialista Peretz, tacciono
di Michele Giorgio (il manifesto, 08.11.2006)
Gerusalemme. Dopo violente manifestazioni notturne e scontri con la polizia, ora contro gli organizzatori della gay parade di Gerusalemme potrebbe essere pronunciata anche la pulsa denura (in aramaico «frusta di fuoco»), la maledizione che, nelle intenzioni dei rabbini più fanatici, dovrebbe causare la morte del destinatario entro un anno, come accadde al primo ministro Yitzhak Rabin assassinato da un estremista di destra 11 anni fa.
Ma il rabbino Shmuel Papenheim e gli ultraortodossi di Eda Haredit, schierati contro gay e lesbiche che chiedono di tenere il 10 novembre la loro marcia, non avranno bisogno di invocare gli «angeli della distruzione» affinché non perdonino i peccati del maledetto - la Open House di Gerusalemme - e scatenino su di lui tutte le disgrazie menzionate nella Torah.
Gli oppositori, sempre più numerosi, della marcia dell’orgoglio gay di fatto hanno già vinto. Quello che doveva essere il World Gay pride si è ridimensionato fino a diventare una marcia locale alla quale prenderanno parte solo poche migliaia di persone. Ed è una magra consolazione il fatto che accanto a gay e lesbiche ci saranno tante altre persone che temono questa ulteriore virata a destra, sotto la spinta del fondamentalismo ebraico, fatta dalla società israeliana.
Non solo. La polizia (che impiegherà 12 mila uomini) ha concordato - in realtà ha imposto - ad Open House un nuovo tracciato per la gay parade che sarà totalmente all’interno della zona dei ministeri, dove non ci sono rioni residenziali. Ma il Ko definitivo potrebbe giungere oggi se l’Alta Corte accoglierà una petizione contro la marcia presentata dal vicepremier Eli Yishai (Shas, ultraortodossi sefarditi) ribaltando il via libera dato due giorni fa dall’Avvocato dello stato Menachem Mazuz.
Tacciono nel frattempo il «laico» primo ministro Olmert e il «socialista» ministro della difesa Amir Peretz, preoccupati di non urtare i potenti vertici religiosi. E in silenzio sono rimasti anche alcuni dei più osannati (anche in Italia) intellettuali di Israele, come gli scrittori Abraham Yehoshua e Amos Oz, pronti a scendere in campo lo scorso luglio per benedire «la guerra giusta» contro il Libano e invece muti mentre i fondamentalisti ebrei fanno il bello e il cattivo tempo a Gerusalemme.
Il World Gay pride era previsto già ad agosto del 2005, ma la coincidenza con l’evacuazione di coloni e soldati israeliani dalla Striscia di Gaza aveva indotto la Open House a rinviare di un anno la marcia, alla quale avrebbero dovuto prendere parte omosessuali di angolo del pianeta.
Quest’anno, come molti si attendevano, i problemi sono cominciati all’inizio dell’estate. A meno di un mese dal grande raduno internazionale a Gerusalemme, i rabbini (con il sostegno indiretto di religiosi cristiani e musulmani) hanno cominciato a moltiplicare gli sforzi per impedire la «profanazione di massa» della Città Santa, fino ad arrivare alla distribuzione nei rioni ortodossi ebraici di Mea Shearim e di Gheula di volantini in cui si proponeva addirittura una ricompensa di 20 mila shekel (quasi 4.000 euro) a chi «avrebbe provocato la morte di quanti vengono da Sodoma e Gomorra». «Trecentomila animali corrotti, noti peccatori della comunità di Sodoma, vogliono invadere la nostra Città Santa e corrompere i nostri figli», si leggeva nei comunicati firmati dal gruppo «La Mano rossa per la salvazione». Altri volantini riportavano istruzioni su come preparare bottiglie incendiarie «Schlissel-Special», dedicate a Yishai Schlissel, l’estremista ebreo che qualche anno fa si era lanciato a testa bassa con un coltello contro una marcia di omosessuali nel centro di Gerusalemme, ferendo in modo grave uno dei partecipanti. Pochi giorni dopo illustri rabbini, fra cui il centenario Elyashiv e la guida spirituale di Shas, Ovadia Yossef, hanno ordinato ai loro seguaci di scendere nelle strade per impedire con la propria presenza la «marcia disgustosa». Simile il giudizio del sindaco di Gerusalemme, Uri Lupoliansky, un ebreo ortodosso, contrario alla marcia gay ma privo degli strumenti legali per impedirla.
Di fronte ad oppositori tanto importanti, gli organizzatori due mesi fa avevano chiesto alla polizia il permesso di sfilare a Gerusalemme il 21 settembre, ottenendo però ancora una volta una risposta negativa poiché la data era «troppo vicina» al Capodanno ebraico. Dopo negoziati estenuanti e il giudizio favorevole della Corte Suprema, la polizia aveva accettato di spostare la gay parade al 10 novembre, ma giunti alla fine di ottobre le minacce agli organizzatori si sono fatte più gravi e insistenti. Due esponenti della destra estrema israeliana, Baruch Marzel e Hillel Weiss (portavoce del Nuovo Sinedrio, una congregazione di 70 rabbini che si propongono come alternativa alle istituzioni civili) hanno esortato a lanciare una «guerra santa» con ogni mezzo contro gli omosessuali per impedire loro di «profanare» la Città Santa.
Un appello prontamente raccolto da migliaia di ebrei ultraortodossi. Nelle ultime notti le strade di Mea Shearim sono state invase da zeloti anti-parade, che hanno bruciato cassonetti dell’immondizia e attaccato le forze di polizia. I rappresentanti di Open House hanno provato a resistere a questa offensiva fondamentalista che, fatto significativo, lascia indifferente la maggioranza della popolazione israeliana. «Quella di venerdì sarà una manifestazione per i diritti civili e la libertà di espressione, la comunità gay non sarà soffocata dalle minacce. Continueremo a lottare per una società migliore», ha assicurato Noa Satat, una dirigente della comunità omolesbica di Gerusalemme, Noa Satat. Ma il potere dei rabbini ha avuto il sopravvento sui diritti.
Gay e lesbiche di Israele non solo hanno dovuto rinunciare al World pride ma dovranno accontentarsi di una marcia di profilo molto basso che eviterà totalmente il centro cittadino e rimarrà confinata in un’area non residenziale, piena di uffici ministeriali che venerdì saranno vuoti.
Eppure gli omosessuali israeliani possono considerarsi fortunati. La loro protesta almeno ha trovato spazio sulle pagine dei giornali, mentre non è accaduto lo stesso alla manifestazione dei falasha, gli ebrei etiopici . Due giorni fa in centinaia sono scesi in strada per denunciare lo stato di discriminazione in cui si trovano, ma la polizia ha bloccato il loro corteo con la forza perché «illegale».
All’origine della tensione è una inchiesta televisiva da cui, la settimana scorsa, è emerso che le donazioni di sangue degli ebrei etiopici non vengono utilizzate a causa dell’assurdo timore di malattie molto diffuse in Africa, prime fra tutte l’aids. I donatori originari dell’Etiopia non vengono informati che il loro sangue viene congelato e che difficilmente sarà utilizzato. Già dieci anni fa migliaia di ebrei etiopici si scontrarono per giorni con la polizia dopo aver scoperto che le loro donazioni di sangue venivano gettate. «In questi dieci anni non abbiamo fatto alcun progresso», ha commentato con amarezza l’ex deputato laburista Adisso Massala, nato in Etiopia. Protestano anche i leader religiosi della comunità falasha, che si sentono discriminati rispetto ai rabbini ortodossi ashkenaziti e sefarditi.
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«La strada per i nostri diritti in Israele è ancora lunga»
Reluca Gana, portavoce di Hopen house, l’associazione che organizza il corteo: siamo ottimisti perché esiste ancora uno stato di diritto. Agli ortodossi dico: una società pluralista si costruisce sulla tolleranza
Gerusalemme- Gay e lesbiche di Israele in questi ultimi mesi hanno avuto non poche delusioni, addolcite solo dal semaforo verde dato alla loro marcia a Gerusalemme dall’Avvocato dello stato Menachem Mazuz. Il colpo più basso non sono state tanto le manifestazioni violente degli ebrei ultraortodossi - l’«intifada degli zeloti» - e le minacce subite, quanto l’impossibilità di tenere la marcia nelle vie del centro della zona ebraica (ovest) di Gerusalemme, come accadeva fino a qualche anno fa. Venerdì prossimo poche migliaia di omosessuali e lesbiche, contro le decine di migliaia che si attendevano per l’iniziale World Gay pride, sfileranno in zone periferiche fino all’ateneo di Givat Ram, rimanendo a distanza dalle aree residenziali della città. Ne abbiamo discusso con Reluca Gana, portavoce di Open House, l’associazione di Gerusalemme che assiste gay e lesbiche e che in questi giorni ha condotto le trattative con la polizia.
Se non ci saranno sorprese dall’Alta Corte di Giustizia, venerdì finalmente si svolgerà la vostra parade. Ritenete che il bicchiere sia mezzo vuoto o mezzo pieno dopo questa estenuante maratona di negoziati con la polizia e di battaglie legali?
Mi piace guardare a questi ultimi avvenimenti in modo positivo e pertanto il bicchiere è a mio avviso mezzo pieno. Lo dico perché istituzioni importanti come l’Avvocato dello stato Menachem Mazuz e la Corte suprema hanno sancito la piena legalità della nostra richiesta. Sappiamo che esiste ancora uno stato di diritto e questo ci tranquillizza.
Fino ad un certo punto però. La vostra marcia da World Gay parade si è trasformata in una sfilata di modeste dimensioni che dovrà essere protetta da migliaia di poliziotti. Inoltre le proteste degli ebrei ultraortodossi non hanno scosso o fatto indignare la maggior parte della popolazione israeliana e ciò è una battuta di arresto per chi mira proprio a cambiare la società.
Senza dubbio il quadro della situazione può anche essere letto in questa maniera ma, come sottolineavo in precedenza, preferiamo guardare le cose con ottimismo: se le violenze degli ebrei haredim (ultraortodossi) non hanno provocato indignazione, è altrettanto vero che la maggior parte della gente non si oppone alla nostra marcia. La verità è che la strada che porta ai diritti e alla tutela di gay e lesbiche in Israele è ancora molto lunga. E’ una campagna impegnativa che inevitabilmente prevede stop dolorosi lungo il percorso. Non nascondo che fino a qualche mese fa eravamo sicuri di poter tenere a Gerusalemme il World Gay pride e non è stato facile dover rinunciare a un appuntamento tanto rilevante che, ne siamo certi, avrebbe aiutato l’opinione pubblica a capire meglio le nostre rivendicazioni. Eppure andiamo avanti e Open House sa di essere diventata un punto di riferimento importante nella società civile israeliana.
Venerdì sarà una giornata di forte tensione, gli ortodossi ebrei stanno organizzando manifestazioni di protesta non solo a Gerusalemme ma anche in altre città. Vi aspettate incidenti, vi sentite in pericolo?
Il capo della polizia di Gerusalemme ci ha assicurato il massimo della protezione e abbiamo sentito che verranno schierati più di 10 mila agenti. La marcia inoltre non passerà accanto ai quartieri dove vivono i religiosi, quindi ci sentiamo tranquilli. Invito tuttavia gli ebrei ultraortodossi a riconsiderare le loro azioni, una società pluralista si costruisce sulla tolleranza, un bene comune che favorisce anche loro e non solo gay e lesbiche.
il manifesto, 08.11.2006
Gerusalemme, Vaticano contro il gay pride "Grave affronto per milioni di ebrei"
La polizia: necessario rinvio per tutelare sicurezza L’Arcigay: "Scandalose pressioni da Roma" *
CITTA’ DEL VATICANO - Il Vaticano chiede a Israele di cancellare la sfilata dei gay prevista a Gerusalemme per dopodomani. In attesa che la Corte Suprema si pronunci sui ricorsi dell’ultimo minuto presentati da più parti, la Santa Sede, attraverso il nunzio in Israele, e con una nota ufficiale, ha fatto domanda al ministro degli Esteri, Tsipi Livni, di adoperarsi affinché venga impedita la manifestazione nella Città santa per ebrei, cristiani e musulmani.
Se non annullato, l’evento sarà probabilmente rinviato a venerdì prossimo. La sorveglianza di una manifestazione così folta in un contesto ad alto allarme terroristico richiede la presenza di migliaia di agenti. "Abbiamo fatto presente che sarà necessario rinviarlo", ha detto il capo della polizia di Gerusalemme, Ilan Franco. "Possiamo aspettare un settimana se oggi la situazione della sicurezza non lo permette", ha spiegato Noa Satat, leader della comunità omosessuale di Gerusalemme.
Nella nota inviata dal Vaticano viene ribadita la posizione della Chiesa sulle persone omosessuali, espressa nel Catechismo della chiesa cattolica. "La Santa Sede esprime la sua viva disapprovazione per tale iniziativa perché essa costituisce un grave affronto ai sentimenti di milioni di credenti ebrei, musulmani e cristiani, i quali riconoscono il particolare carattere sacro della città e chiedono che la loro convinzione sia rispettata".
Nei giorni scorsi l’annunciato evento aveva causato una sorta di "intifada" tra gli ebrei ultra-ortodossi decisi a non far passare l’affronto. In serata la sala stampa ha diffuso il testo della nota della nunziatura in cui esprime il "dispiacere" per la notizia della convocazione del Gay Pride auspicando che il governo "voglia esercitare la sua influenza perché sia riconsiderata la decisione di autorizzare".
E ancora: "Alla luce di tali elementi e considerando che in precedenti occasioni sono stati sistematicamente offesi i valori religiosi - si legge nella nota - la Santa Sede nutre la speranza che la questione possa venire sottoposta a doverosa riconsiderazione".
Da una settimana ormai, tutte le notti, il celebre quartiere degli zeloti a Mea Sharim, nel cuore di Gerusalemme, vive ore di rivolta. Centinaia di ultra-ortodossi, nelle tradizionali redingote nere, barba e cappello, si scontrano con la polizia, lanciano pietre, danno fuoco ai cassonetti dell’immondizia per protestare contro una manifestazione che vedono come blasfema.
I rabbini di Edah Haredit, una corte rabbinica ultra-ortodossa, potrebbero lanciare prima di venerdì la temibile maledizione cabbalistica della Pulsa de Nura (la Scudisciata di Fuoco, in aramaico) contro gli organizzatori della Parade e contro le autorità che ne hanno reso possibile lo svolgimento, ha detto oggi il loro portavoce Shmuel Papenheim.
La Parade, organizzata dall’associazione Open House, si svolgerà nella zona dei ministeri lontano dai quartieri abitati dagli ultra-ortodossi in centro. Gli attesi 2-3.000 manifestanti saranno protetti da almeno 12.000 poliziotti. Si prevede che migliaia di zeloti cercheranno di opporsi al suo svolgimento.
Il Rabbinato capo di Israele ha invitato a una protesta pacifica e a "riunioni di preghiera contro questa abominevole marcia". Da giovedì mattina sedute di preghiera contro la Gay Pride si svolgeranno in particolare al Muro del Pianto.
"E’ scandaloso che, come avvenne a Roma nel 2000, anche in occasione del secondo World Pride, che si terrà tra pochi giorni a Gerusalemme, il Vaticano prema sulle istituzioni statali per un divieto". E’ quanto afferma il presidente di Arcigay, Sergio lo Giudice.
"Il Vaticano - prosegue - conferma di essere la più grande organizzazione internazionale omofoba del pianeta. Preferiremmo che l’ accordo fra le tre grandi religioni monoteiste si trovasse sul tema della pace nel mondo e non - conclude Lo Giudice - sulla lotta ai diritti umani delle persone omosessuali". (8 novembre 2006)
Sul sito, cfr.
RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULL’OMOFOBIA e I TANTI VOLTI DEL PANICO GAY
PAPA WOJTYLA, PAPA RATZINGER E I GAY. Una Chiesa senza speranza né futuro
GERUSALEMME BLINDATA PER IL GAY PRIDE - I RABBINI ULTRA’ LANCIANO MALEDIZIONE
IN VOLANTINI DISTRIBUITI NEL RIONI RELIGIOSI I DIRIGENTI DELLA ’EDA’ HAREDIT’ RICORDANO DI POSSEDERE DOTI SOVRANNATURALI E LANCIANO ’’UNA SEVERA MALEDIZIONE’’ VERSO QUANTI PARTECIPERANNO OGGI ALLA MANIFESTAZIONE. *
Roma - La polizia israeliana dispiegherà oltre 7mila agenti a Gerusalemme per proteggere i partecipanti alla parata del Gay Pride, che si svolge oggi nella città santa.
Lo riferisce il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Alla manifestazione sono attese 5mila persone.
Intanto 23 estremisti ultra-ortodossi sono stati arrestati ieri sera, per aver protestato con violenza contro la manifestazione.
Altre iniziative di protesta sono previste in diverse zone della città.
La parata, autorizzata dalla polizia, percorrerà alcune centinaia di metri, dalla strade King David e Moshe Hess fino al vicino Liberty Bell Park.
Da ieri la polizia presidia la zona per evitare possibili attentati contro il corteo, mentre i servizi di emergenza Magen David Adom hanno messo a disposizione 45 ambulanze.
La polizia teme azioni violente da parte degli estremisti ultra-ortodossi, e gli agenti si sono preparati a fronteggiare ogni tipo di scenario. Lo scorso anno la parata si era svolta nella stadio dell’Università di Gerusalemme, poichè le autorità avevano impedito il suo svolgimento per le vie della città proprio per il timore di attacchi. L’anno precedente un estremista era riuscito a infiltrarsi tra i partecipanti alla sfilata e aveva accoltellato tre persone.
La polizia ha già arrestato tre persone che volevano lanciare chiodi lungo il percorso per causare forature agli pneumatici dei mezzi che sfileranno, e nel quartiere di Gilo sono stati ritrovati 60 copertoni che gli estremisti avrebbero potuto incendiare in strada.
Una maledizione cabbalistica nei confronti degli organizzatori della odierna Gay Pride Parade di Gerusalemme e di quanti prenderanno parte attiva per renderla possibile (fra cui le forze di sicurezza) e’ stata lanciata negli ultimi giorni dai rabbini della corrente ultraortodossa della ’Eda’ Haredit’. Si tratta di una corrente minoritaria fra gli zeloti di Gerusalemme, caratterizzata da un acceso antisionismo, da cui i piu’ autorevoli rabbini ortodossi si sono dissociati.
In volantini distribuiti nel rioni religiosi i dirigenti della ’Eda’ Haredit’ ricordano di possedere doti sovrannaturali e lanciano ’’una severa maledizione’’ verso quanti parteciperanno oggi alla manifestazione. Agli agenti di polizia questi rabbini consigliano di darsi dunque per malati, perche’ altrimenti rischieranno di dover visitare presto ’’i reparti oncologici degli ospedali’’.
’’Chiunque malgrado tutto garantisca lo svolgimento della Parade e perseguiti quanti invece protestano contro di essa sappia che e’ iniziato il conto alla rovescia del proprio funerale’’, avverte il volantino.
Per chi non potesse assistere alla manifestazione di oggi, si consoli recandosi alla Biennale di Venezia (27 e 28 giugno) per assistere allo spettacolo danzate Messiah Game, con ballerini nudi e orge sado-maso durante l’Ultima Cena e conseguente Crocifissione in stile ! Il tutto con il sostegno e il finanziamento dello Stato !!
W O ITALY !!
Caro Biagio
se hai tempo, e oggi che è il giorno più lungo dell’anno, cerca di (guardati allo specchio e ) ri-fletti un po’ di più:
non solo la rete dei vari falsi pescatori (come ha detto sempre il tuo "grande fratello") è strappata, ma proprio oggi la tela della menzogna è stata bucata!!!
E, se vuoi, rileggiti
M. csaluti e buona estate - mi auguro a san Giovanni in Fiore!!!
W o ITALY !!!
Federico La Sala
Ha suscitato reazioni scomposte da parte della solita lobby gay. Ma è stato un fulmine a ciel sereno anche per il pensiero dominante, per la “borghesia illuminata” e perfino per qualche ambiente cattolico. Stiamo parlando del documento della Congregazione per l’Educazione cattolica che ha definito la posizione della Chiesa a proposito di sacerdozio e omosessualità. I mass media ne hanno riassunto il contenuto in termini drastici: le persone omosessuali non possono diventare preti cattolici.
Una sintesi che ha bisogno di un approfondimento, ma che nella sostanza rispecchia la notizia più importante contenuta in questo agile ed essenziale documento. In una parola, a giudizio della Chiesa cattolica esiste una vera e propria incompatibilità non solo fra il ministero sacerdotale e l’omosessualità praticata, ma anche fra abito talare e tendenza omosessuale profondamente radicata. Soprattutto questo secondo passaggio del documento ha suscitato perplessità tra qualche credente, poco ferrato in materia di omosessualità e ancor meno preparato circa la dottrina cattolica sul sacerdozio. Come è possibile che il possesso di una semplice tendenza sia motivo sufficiente a escludere dal sacerdozio? La situazione non è analoga a quella del prete normale, che conserva la sua inclinazione naturale verso la donna, ma che scegliendo Cristo si impegna a una vita di castità nella continenza? Non è forse questo documento la prova definitiva che la Chiesa discrimina le persone omosessuali? E poi: se uno desidera fare il prete, chi può privarlo di questo diritto?
Omosessualità: il giudizio della Chiesa
Il documento della Congregazione risponde indirettamente a queste domande, attraverso una serie di passaggi logici molto chiari: poche parole, ma precise. Vediamo di riassumerne il senso.
a. Il sacerdozio è - in base a una costante tradizione immodificabile - riservato al battezzato di sesso maschile. Il prete è infatti un “alter Christus” e la sua sessualità non è affatto mortificata dal celibato. Egli rimane pienamente uomo pur senza esercitare la genitalità ed esprime le virtù cristiane incarnate nelle sue tipiche qualità maschili. Il sacerdote non è un essere asessuato.
b. Il sacerdote è una persona che dona tutta se stessa, assumendo la paternità spirituale di tutta la comunità che gli è affidata. Per fare questo, il candidato al sacerdozio deve raggiungere la maturità affettiva, che gli permetterà di relazionarsi in modo corretto con uomini e donne.
c. La Chiesa distingue fra atti omosessuali e tendenze omosessuali. Gli atti sono intrinsecamente immorali, giudicati peccati gravi dalla Sacra Scrittura e non possono essere approvati in nessun caso.
d. Per quanto riguarda le tendenze, il documento della Congregazione mette in luce due aspetti: da un lato, queste persone vivono una prova e devono essere accolte con rispetto e delicatezza, evitando ogni marchio di ingiusta discriminazione; dall’altro, quando profondamente radicate, queste tendenze «sono oggettivamente disordinate». Questo passaggio del documento non allude a un giudizio morale di colpevolezza, ma afferma che la tendenza omosessuale produce delle conseguenze sulla personalità che sono obiettive, ancorché superabili e vincibili nel tempo.
Sacerdozio: i criteri di esclusione
Il documento assume una posizione molto precisa a riguardo dei criteri di ammissibilità al sacerdozio. Senza nulla togliere al rispetto dovuto a tutte le persone, «la Chiesa non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che»: a. praticano l’omosessualità; b. presentano tendenze omosessuali profondamente radicate; c. sostengono la cosiddetta cultura gay.
Circa il primo punto, non c’è bisogno di alcun commento. Più complessa la questione delle “tendenze”. Il documento non chiude la porta definitivamente alle persone che abbiano sperimentato atti o tendenze omosessuali, ma stabilisce che i candidati devono dimostrare di aver superato il problema almeno tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Un cenno merita il quanto mal opportuno riferimento atta “cultura gay”: coloro che sostengono le istanze di tipo giuridico ed ecclesiale delta lobby omosessuale, che teorizzano la “normalità” di questa condizione, che invitano gli omosessuali a perseverare in atti oggettivamente immorali, persone di questo tipo sono incompatibili con il sacerdozio perché tradiscono radicalmente il Magistero.
Le ragioni della Chiesa
La disciplina della Chiesa non è frutto di un mero atto di autorità, ma è radicata nel riconoscimento dell’uomo, delta sua natura ferita e della dignità suprema del sacerdozio. Proviamo a riassumere queste ragioni:
a. personalità equilibrate e identità sessuale: le persone con problemi di omosessualità vivono una «situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne». Dunque la Chiesa afferma un “no” che non ha un sapore punitivo o dispregiativo. È piuttosto la presa d’atto di un problema umano: se si vive, anche senza colpa, un grave disturbo della personalità, bisogna rinunciare al sacerdozio.
b. Il sacerdozio non è un diritto: nella vocazione sacerdotale vi sono sia il dono gratuito di Dio, sia la libertà responsabile dell’uomo. Il solo desiderio non è sufficiente, e sta alla Chiesa decidere chi è idoneo a essere ordinato.
c. omosessualità e pedofilia: l’omosessuale non è un pedofilo. Tuttavia, è inutile nascondersi che in questi anni si sono verificati episodi di abusi contro minori, certamente ingigantiti dalla malizia anticattolica dei mass media, ma non per questo meno gravi. Dunque la Chiesa ha tutto il diritto e il dovere di assumere ogni cautela e di procedere a una seria verifica delle qualità umane dei candidati al sacerdozio. La presenza di tendenze omosessuali costituisce certamente un pericolo annunciato.
d. omosessualità e continenza: le scienze umane che studiano il fenomeno ci dicono che la tendenza omosessuale radicata non è paragonabile alla pulsione sessuale ordinaria. L’omosessualità scatena impulsi più difficili da governare, genera personalità disturbate e dunque crea una condizione di instabilità preoccupante, nella quale è bene che un sacerdote non venga a trovarsi.
Il compito dei vescovi e dei seminari
Chi dovrà applicare le rigorose disposizioni delta Congregazione? Il documento contiene un richiamo tutt’altro che formate alle responsabilità congiunte dei candidati al sacerdozio e dei seminari. I primi devono essere leali e sinceri, evitando la grave disonestà di nascondere un’eventuale problema di omosessualità. D’altro canto, i seminari hanno «l’obbligo di valutare tutte le qualità della personalità ed accertarsi che il candidato non presenti disturbi sessuali incompatibili con il sacerdozio». Sono apertamente chiamati in causa il rettore, il direttore spirituale e gli altri formatori del seminario. Il vescovo o il superiore maggiore sono personalmente responsabili di garantire sempre alla Chiesa sacerdoti idonei, «veri pastori secondo il cuore di Cristo».
di Mario Palmaro, da "Il Timone" n. 50, febbraio 2006
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Carissimi saluti e splendida estate anche a te, GRANDE FEDERICO !
biagio allevato
PS: Io mi auguro invece che tu intraprenda finalmente un viaggio per Damasco...
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Violentemente malmenati anche il deputato europeo Cappato e il funzionario Ue Marzocchi Naziskin si sono scagliati su un gruppo di manifestanti che intendevano consegnare una lettera al sindaco
Gay Pride a Mosca, aggrediti i radicali
Picchiata anche Vladimir Luxuria *
MOSCA - Durante la manifestazione organizzata a Mosca in favore del Gay Pride, "un gruppo di naziskin" ha "picchiato violentemente i radicali". Lo denuncia il partito radicale, secondo il quale "subito dopo c’è stato l’intervento della polizia che anzichè difendere le persone aggredite ha provveduto ad arrestare i radicali". Tra le persone aggredite, secondo i Radicali, ci sono il deputato europeo Marco Cappato e Vladimir Luxuria, parlamentare di Rifondazione Comunista, che, però, non è stata fermata dalla polizia.
Al Gay Pride di Mosca sono attese oltre 200.000 persone, nonostante il divieto posto alla manifestazione dal sindaco di Mosca Iuri Luzhkov. Il Gay Pride di oggi è stato organizzato per ricordare il 14° anno della depenalizzazione dell’omosessualità in Russia.
"Questa mattina alle ore 10.15 ora italiana - spiegano i radicali - a Mosca, davanti alla sede ufficiale del sindaco di Mosca, sulla Via Tverskaja, sono stati aggrediti e malmenati da gruppi di naziskin, e poi dalla polizia che li ha arrestati, gli esponenti radicali Marco Cappato, deputato europeo; Nikolai Alexeiev, radicale russo e Coordinatore del Gay Pride di Mosca; Nikolay Kramov, rappresentante dei radicali a Mosca; Ottavio Marzocchi, radicale e funzionario al Parlamento Europeo". Nel pomeriggio Cappato e Marzocchi sono stati poi rilasciati.
La delegazione radicale, insieme a parlamentari europei di altri gruppi voleva consegnare al sindaco, spiegano i radicali, una lettera firmata da 50 parlamentari europei e italiani dopo che era stato vietato il Gay Pride.
Ma "mentre veniva distribuito il volantino con il testo della lettera un gruppo di naziskin, alla presenza di un vescovo ortodosso, scortato da due persone, che dava loro la benedizione, ha cominciato a tirare uova ai partecipanti all’iniziativa non violenta e poi a picchiare violentemente i radicali". Subito dopo è intervenuta la polizia. "Siamo molto preoccupati - dicono ora i radicali - soprattutto per le condizioni di Marzocchi che è stato violentemente picchiato".
Radio Radicale ha trasmesso anche in diretta una testimonianza di Cappato: "Mi trovo in una cella all’interno di una camionetta della polizia. Siamo qui con alcuni militanti dei diritti civili in Russia", ha detto il deputato radicale, collegato di nascosto con un telefono cellulare.
"Alla fine l’autorizzazione della manifestazione non era arrivata, ma noi volevamo solo consegnare una lettera al sindaco di Mosca. Il cordone della polizia chiudeva i manifestanti senza però proteggerci da alcuni contromanifestanti che gridavano e si lanciavano contro di noi, lanciandoci oggetti e uova".
"Ho personalmente visto anche alcuni di questi contromanifestanti che, prima di venire a lanciare dell’acqua, hanno parlato con i poliziotti che ci avrebbero dovuto difendere. Uno di loro ha cominciato a tirare calci ad Ottavio Marzocchi, ed è allora che ho iniziato a urlare in inglese, chiedendo perchè la polizia non ci difendesse. Tempo cinque secondi e sono stato trascinato via da agenti in tenuta antisommossa".
Nella sede dei Radicali, informa una nota, "è stata costituita una cellula di crisi in stretto contatto con la Farnesina e l’Ambasciata italiana a Mosca".
* la Repubblica, 27 maggio 2007
Vescovo di Spagna: Dio ama gli omosex
di † Demetrio Fernández, vescovo di Tarazona *
Pubblichiamo un breve scritto di monsignor Demetrio Fernández, vescovo di Tarazona, dal titolo "Dio ama anche gli "omosessuali." Il testo spagnolo da me velocemente tradotto, è stato divulgato in tutti i paesi di lingua spagnola e inglese. Perfino in Turchia e qualche paese arabo meno "radicale". Ma non in Italia!
Speriamo ancora, non che sia un testo teologicamente perfetto e liberatorio, ma almeno per la prima volta non siamo "abominio" ma amati
buona domenica
fra Roberto
TARAZONA, sabato, 11 novembre 2006
Dio ama gli omosessuali, perché sono persone create da Lui per la sua gloria. Dio ama tutto quello che Egli ha creato e non disprezza nessuna delle sue creature. Non ci sono persone di prima classe e persone di seconda. Né meno ancora, persone eliminabili. "Esisto, dunque Dio mi ama immensamente", può dire ogni persona, sia come sia la sua condizione, sia come sia la sua situazione.
Al principio, Dio creó l’uomo, maschio e femmina li creó. "E Dio vide che era cosa molto buona". Dio non si pente di nessuna delle creature che Egli porta a questo mondo. E tutti veniamo a questo mondo come frutto di un amore personale e creativo di Dio, al quale collaborano i nostri genitori come pro-creatori, ma il Creatore continua ad essere insostituibilmente Dio. Dio non si è sbagliato creando ognuno di noi.
Dio crea l’anima spirituale, in maniera unica ed irripetibile, come il principio che anima tutto il nostro essere. Non siamo pura materia, o semplice insieme di reazioni chimiche. Siamo persone libere ed intelligenti che hanno un’anima, creata da Dio e data direttamente ad ognuno. Siamo un frutto dell’amore di Dio, e nella nostra propria crescita influiscono molte persone che ci circondano.
Ma nell’origine della storia dell’umanità entrò il peccato, per iniziativa umana. La tentazione del demonio fu suggerire all’uomo e la donna: "Sarete come dei", e, affascinati per questa pretesa ingannevole, essi si allontanarono da Dio, disubbidirono alla sua sacra legge, peccarono contro Dio e turbarono tutta la natura creata. Questo è il peccato originale, col quale tutti nascono.
Il peccato originale introdusse un blackout universale che solo la luce di Cristo ha potuto restaurare. A partire dal peccato originale, la natura intera soffre una confusione, un squilibrio, che ci colpisce tutti. E dentro la natura, l’uomo nasce ferito a causa del peccato. L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, constata che questa immagine è sfumata, sfumata. Non tutto quello che è successo all’uomo, è buono. Più ancora, ha molte trovate e sentimenti che vanno contro Dio, e che fanno male a sé stesso e gli altri.
Uno non sceglie il suo proprio sesso, per quanto lo dica il Parlamento. Qualunque sia la sua inclinazione (mettiamo da parte ora quello che ci sia di biologico, psicologico o educativo), l’uomo deve accettare sé stesso come è e deve vivere la sua sessualità in un clima di castità che gli insegni ad amare gratuitamente. La sessualità umana anche questa consunta dal peccato deve essere redenta da un amore sempre crescente, per il quale ogni uomo conta sulla grazia di Dio.
Anche una persona con inclinazione omosessuale è amata da Dio e è chiamata all’amore che non necessariamente si esprime per l’esercizio della sessualità. Un mondo supererotizzato rende più difficile vivere la castità senza repressione, ma dove abbondò il peccato soprabbondò la grazia, e la redenzione di Cristo è grazia abbondante per vivere la castità con libertà, nella situazione personale nella che ognuno si trovi. La Vergine María che fu liberata di ogni peccato, perfino del peccato originale, è madre che ci ama uno ad uno e capisce questi nostri problemi. Guardandola capiamo meglio la nuova umanità alla quale Dio ci chiama. Ella è "dolcezza" e speranza nostra.
Col mio affetto e benedizione:
† Demetrio Fernández, vescovo di Tarazona
* Fonte: www.ildialogo.org, Domenica, 03 dicembre 2006
Vaticano e ultraortodossi contro il corteo di Gerusalemme
Gay pride, perché le religioni odiano i «pervertiti»?
di Saverio Aversa (Liberazione, 12.11.2006)
Ancora una volta la Libertà è stata sconfitta a Gerusalemme. Venerdì 10 novembre i diritti umani e civili hanno subito una grave battuta d’arresto da parte dei fondamentalisti delle tre religioni monoteiste che non si sono fatti alcuno scrupolo nello strumentalizzare lo stato di guerra continua presente in quella città, in Israele e in Palestina, per cercare di impedire una manifestazione pacifica organizzata dalle associazioni gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Già dall’anno scorso a Gerusalemme si sarebbe dovuto tenere il World Pride, il secondo dopo quello di Roma del 2000, ma la tensione e i disordini collegati allo sgombero dei coloni israeliani dalla striscia di Gaza aveva imposto uno spostamento all’anno successivo. Il WP era stato quindi rimandato all’agosto 2006 ma, sfortunatamente, la concomitanza con la guerra con il Libano ha fatto cancellare il nuovo appuntamento ed è stata fissata un’altra data: il 10 novembre.
Ma già il 18 ottobre scorso, esponenti politici conservatori e rabbini ultraortodossi sono scesi in piazza chiedendo la definitiva cancellazione del Pride. Una serie di manifestazioni intolleranti e violente, avallate dai partiti di destra che fanno parte del governo, si è protratta anche nei giorni successivi trasformandosi in una vera e propria rivolta contro “il corteo dei pervertiti” con lanci di pietre e altri oggetti verso i poliziotti, con fuochi appiccati ovunque. Una bomba rudimentale è stata ritrovata in una stazione di polizia sotto la scritta “Via i sodomiti”.
Un gruppo di attivisti capitanati da Saar Netanel del partito Meretz, gay dichiarato, ha fatto ricorso alla Corte Suprema che si espressa con una sentenza a favore della manifestazione ma contraria alla partecipazione di esponenti glbt provenienti dall’estero cancellando quindi il carattere internazionale del Pride. Le forze dell’ordine hanno dichiarato di non avere i mezzi per garantire la sicurezza della parata che doveva percorrere le vie della città nuova senza quindi toccare i quartieri del centro. A questa complessa situazione si è aggiunto il timore di rappresaglie, conseguenti ai bombardamenti israeliani dell’8 novembre a Gaza con l’uccisione di 18 civili, che tiene in stato di allerta sia polizia che esercito.
Intanto è arrivata anche una dichiarazione dal Vaticano nella quale Ratzinger esprimeva viva disapprovazione nei confronti della parata omosessuale considerata un grave affronto ai sentimenti di milioni di credenti ebrei, musulmani e cristiani che pretendono venga rispettato il carattere sacro della città di Gerusalemme. Tsipi Livni, ministro degli esteri di Israele, ha ricevuto, attraverso il nunzio apostolico, la richiesta di impegnarsi per impedire l’evento mentre il Rabbino Capo ha organizzato riunioni di preghiera contro “l’abominevole marcia”.
Il corteo non è stato quindi autorizzato e i gruppi glbt hanno dovuto accettare il duro compromesso di una manifestazione stanziale che si è tenuta nello stadio dell’Università Ebraica situato in una zona vicina al Parlamento ma lontana da “Mea Sharim”, quartiere degli ultraortodossi, con la presenza ridotta di soltanto 3000-4000 persone che hanno dato vita ad una protesta contenuta, senza l’allegria e la stravaganza tipiche delle marce per l’Orgoglio omosessuale ma con la partecipazione significativa di molte famiglie eterosessuali con bambini al seguito. C’erano cartelli e striscioni portati soprattutto dagli appartenenti ad “Open House”, la più importante associazione glbt di Gerusalemme, affiancati dagli esponenti di “Queeruption”, anarchici radicali di Tel Aviv che hanno protestato energicamente contro la guerra che Israele sta continuando contro gli hezbollah insediati nel Libano del sud. Fra i due gruppi si è accesa una forte discussione: “Open House” ha accusato “Queeruption” di voler trasformare la protesta contro l’omofobia in una contestazione politica contro la guerra, argomento che divide anche la comunità glbt israeliana. Il raduno è stato protetto da qualche migliaio di poliziotti, dal cielo sorvegliavano numerosi elicotteri mentre, nei pressi del Giardino della Campana della Libertà, qualche decina di attivisti glbt tentavano comunque di dar vita una marcia non autorizzata con l’intenzione di raggiungere lo stadio. Ma la polizia è intervenuta immediatamente e ha fermato alcuni dimostranti, così come ha fermato un gruppo di ebrei ultraortodossi che avevano la stessa meta ma intenzioni diverse.
Come ha scritto Ralf Dahrendorf, in un articolo ripreso da Repubblica oggi, tutto questo è l’ennesima dimostrazione di quanto la religione condizioni fortemente la politica in tutto il mondo, con ingerenze evidenti a tutti e con la conseguenza di una sofferenza arrecata a molti. Daherndorf ricorda come Israele ha atteso molti anni prima di stilare la propria Costituzione poiché i laici temevano fortemente l’influenza degli ebrei ortodossi e conclude esortando chi ha a cuore la libertà di difenderla ora, prima che sia troppo tardi, prima che sia necessario battersi per riconquistarla. A Gerusalemme la libertà sembra definitivamente perduta e ci vorrà molto tempo e un serio impegno civile diffuso prima di ritrovarla.
Ricercatrice e attivista di sinistra, Dana era a Gerusalemme alla parata omosessuale. "Ci hanno messo in gabbia in quello stadio: provo delusione"
Gay Pride, parla la figlia di Olmert: "Sono lesbica, è stato un giorno amaro" *
TEL AVIV - "Per noi è stata una vittoria amara": così, in una rara intervista, una figlia del premier Ehud Olmert ha descritto le proprie sensazioni quando venerdì ha preso parte assieme alla propria compagna alla manifestazione del Gay Pride nello stadio universitario di Gerusalemme, fra ingenti cordoni di polizia predisposti per impedire attacchi da parte della comunità ultraortodossa.
Ricercatrice di letteratura ebraica e responsabile di una casa editrice, Dana Olmert ama di solito tenersi lontana dalla luce dei riflettori. Attivista di estrema sinistra, ha preso parte a un picchetto di protesta quando mesi fa una famiglia fu distrutta su una spiaggia di Gaza da una deflagrazione attribuita dai palestinesi alla artiglieria di Israele. Inseguita dai fotoreporter, la figlia del premier lasciò subito la zona delle proteste per difendere la propria privacy.
"Non sono una figura pubblica, non sono stata eletta da nessuno" ha replicato a quanti nelle settimane scorse si attendevano da lei una presa di posizione sulla Gay Parade di Gerusalemme. Oggi ha fatto una eccezione alla regola per descrivere il senso di "oltraggio" da lei provato durante la manifestazione di venerdì del Gay Pride.
Per la prima volta ha accettato di parlare della propria vita intima e ha confermato di essere lesbica. Assieme alla sua compagna, ha detto, vive e lavora a Tel Aviv. Una città dove a suo parere è più facile mantenere uno stile di vita omosessuale che non nella più conservatrice Gerusalemme.
"Da un lato sono stata molto felice di ritrovarmi fra quele che sono le persone più dolci che io conosca" ha detto, parlando della manifestazione del Gay Pride. "Ma d’altra parte - ha proseguito - c’era qualcosa di triste nel fatto che ci hanno rinchiusi in un ambiente limitato, sembrava di essere in gabbia. All’ingresso ci hanno chiesto di metterci un nastro rosa, siamo stati tenuti alla lontana dagli abitanti di Gerusalemme". Olmert Jr. ritiene che il governo si sia arreso alle forti pressioni degli ultraortodossi. A suo parere, quando il ministro Ely Yishay (del partito ortodosso Shas) si è scagliato contro "la manifestazione obbrobriosa" qualcuno in seno al governo avrebbe dovuto ribattere che era pieno diritto per gli omosessuali di sfilare per strada.
Nel campo privato Ehud Olmert e la moglie Aliza accettano comunque senza alcuna riserva le sue inclinazioni personali, ha aggiunto Dana Olmert: "Quando, passati i 20 anni, li ho informati delle mie tendenze, non hanno avuto assolutamente niente da ridire".
(12 novembre 2006)
IL «PRIDE» IN ISRAELE NON E’ UN LUSSO
di Gianni Rossi Barilli (Il Manifesto, 11.11.2006)
Caro Serra, che delusione. Leggendo su Repubblica la tua «amaca» del 10 novembre abbiamo scoperto che la questione delle identità sessuali è un lusso superfluo laddove, come in Israele, ci sono problemi molto più gravi.
Ma come? Non siamo perfino stati capaci di organizzare una sanguinosa quanto inutile guerra per andare a liberare le donne afghane dal peso del burqa? Forse intendevi solo dire che la questione delle identità (omo)sessuali, che si manifesta con l’esibizione di lustrini e paillettes, è un lusso superfluo. E allora faresti meglio ad andare a raccontarlo alla quantità incalcolabile di persone omo e transessuali che sono state perseguitate in nome di ragioni religiose, etniche, politiche e belliche nel corso dei secoli. E che lo sono tuttora nella gran parte dei paesi del mondo, incluse ampie zone del Medio Oriente. Le nostre paillettes, caro Serra, mettono per l’appunto in questione le dittature religiose e politiche che giustificano le guerre. E la liberazione delle identità sessuali oppresse mette in questione quel dominio maschile che da che mondo è mondo agisce le guerre, con il loro contorno di macerie e di vittime innocenti.
Quindi poter tenere pacificamente il «pride» a Gerusalemme, anziché uno sfizio partorito da menti frivole e «vagamente sadiche», sarebbe fare bingo. E affermare una buona volta che il valore della pace passa necessariamente attraverso il riconoscimento e il rispetto dell’altro. Il lusso e la frivolezza della democrazia, casomai, consiste nel consentire a opinionisti dalla mente torpida di reiterare pregiudizi vecchi come il cucco, spacciandoli per punti di vista liberali, dalla comoda postazione delle loro amache. Continuando serenamente a sentirsi progressisti.
Lettera a Serra sui gay e i valori della tolleranza
Caro Michele sbagli sul Pride a Gerusalemme
di Titti De Simone e Vladimir Luxuria *
Caro Michele Serra, abbiamo letto il tuo articolo ieri su la Repubblica contro i gay pride di Gerusalemme e vogliamo dirti perché siamo in dissenso con te. Tu definisci “sadico” avere promosso questa manifestazione e consideri un “lusso” voler portar lì, in quella terra martoriata, il tema dei diritti umani legati all’identità sessuale. Infine, asserisci che la democrazia ed i diritti non si esportano nemmeno con le paillettes.
A parte il fatto che questa tua visione del gay pride è quantomeno riduttiva e folcloristica, noi pensiamo che nel tuo ragionamento ci sia più di un pregiudizio ideologico e diciamo così, un po’ di retaggio vetero-comunista. In questa idea di stabilire una gerarchia dei diritti noi ci vediamo un po’ di quella ortodossia delle categorie culturali da cui Rifondazione si è per fortuna distanziata, avviando un processo di innovazione politico-culturale molto importante.
C’è l’idea innanzitutto che il tema dei diritti fondamentali della persona sia altra cosa, e comunque cosa secondaria, addirittura “un lusso” rispetto al grande tema della pace, della democrazia, della cittadinanza e della convivenza tra culture diverse che invece interroga così fortemente la politica di fronte ai conflitti e alle violenze a cui assistiamo. Assurdo, se pensiamo quanto sia indivisibile il campo dei diritti, a maggior ragione di fronte al tema della democrazia e al problema dei fondamentalismi religiosi che la insidiano anche in Occidente e anche in casa nostra, nel paese più cattolico del mondo.
Il tema dei diritti fondamentali della persona, compreso quello di cui sono portatori gay, lesbiche, transessuali, non è affatto “altro” dalla politica. Al contrario noi pensiamo che sia fondativo di un modo diverso di concepire le relazioni umane, quelle sociali, e fra culture. Ovvero, che il tema della diversità in tutte le sue declinazioni sia proprio alla base di un’idea di cittadinanza plurale e di pace. Dovremmo offrire una risposta politico-culturale al problema del fondamentalismo religioso che si è scatenato contro questa manifestazione come per altre. Inopportuno è a parere tuo il gay pride in Terra Santa, come altrettanto inopportuno fu definito il gay pride a Roma nell’anno del giubileo. Certo, i contesti sono diversi, ma tu sai che dietro i divieti in questi casi c’è sempre una matrice religiosa integralista. Si può continuare ad accettare?
Caro Serra, per noi il fondamentalismo religioso è nemico della democrazia, della pace e della libertà di donne e uomini. Non vogliamo esportare proprio niente, non abbiamo questa presunzione ideologica, ma vogliamo semplicemente essere a fianco degli omosessuali e dei transessuali israeliani e palestinesi convinti che insieme, nel loro impegno politico possono dare un grosso contributo al dialogo e alla pace fra questi due popoli. Ci crediamo e ci dispiace che tu non abbia colto l’importanza di questa occasione.
* Liberazione, 11.11.2006
GAY PRIDE A GERUSALEMME: NESSUN SERIO INCIDENTE *
GERUSALEMME - Si e’ concluso a Gerusalemme il Gay Pride, la manifestazione di gay e lesbiche organizzata dall’associaszione Open House nello stadio dell’Universita’ Ebraica. Non sono stati registrati incidenti di rilievo, ha precisato la polizia di Gerusalemme. Circa quattromila persone hanno partecipato al raduno, protetto da un imponente dispositivo di sicurezza. Tremila poliziotti hanno filtrato tutti gli accessi al luogo del raduno, sorvegliato dall’alto dagli elicotteri della polizia e da un dirigibile. Tutte le strade dell’area sono state chiuse al traffico.
La manifestazione era stata preceduta nelle ultime due settimane da violente proteste della comunita’ ebraica ultra-ortodossa di Gerusalemme, per la quale il Gay Pride costituisce una ’’profanazione’’ della citta’ santa di ebrei, cristiani e musulmani. Anche il Vaticano ha manifestato la sua contrarieta’.
Il dispositivo di sicurezza mirava a impedire possibili scontri con manifestanti ultraortodossi e a prevenire un ipotetico attacco da parte di gruppi armati palestinesi, dopo la strage di mercoledi a Beit Hanun, nella striscia di Gaza.
Ieri un compromesso era stato raggiunto fra organizzatori, polizia e leader ultraortodossi, in considerazione anche dello stato di massima allerta decretato nel paese da mercoledi per il rischio di attentati kamikaze. Diversi gruppi armati palestinesi hanno minacciato di colpire Israele per ritorsione dopo la strage di Beit Hanun. Il Gay Pride, previsto inizialmente come marcia per le strade di Gerusalemme, e’ stato trasformato in un raduno in un ambiente circoscritto, lo stadio della Universita’ ebraica. I dirigenti ultra-ortodossi hanno rinunciato a organizzare manifestazioni di protesta.
Durante il raduno ci sono stati oggi solo alcuni incidenti sporadici nel centro di Gerusalemme. La polizia ha fermato una ventina di manifestanti gay che volevano marciare dal quartiere della German Colony fino allo stadio, in violazione degli accordi raggiunti ieri. C’e’ stato inoltre qualche breve tafferuglio, subito sedato dalle forze dell’ordine, nel quartiere ultra-ortodosso di Mea Sharim.
ANSA 2006-11-10 10:44
La manifestazione è iniziata regolarmente ma nel chiuso dello stadio universitario. Polizia in stato di massima allerta per paura di kamikaze e di proteste degli ultrà religiosi Gay pride blindato a Gerusalemme tra rischio attentati e rabbia ortodossa *
GERUSALEMME - Ha preso il via nello stadio dell’università ebraica di Gerusalemme il gay pride israeliano. La manifestazione si svolge fra ingenti misure di sicurezza. Il traffico nella zona attigua alla Knesset, il Parlamento israeliano, è stato bloccato, per il timore di manifestazioni di protesta della comunità ultraortodossa.
In un’altra zona di Gerusalemme, nel ’Giardino della Campana della Liberta’, decine di omosessuali e lesbiche hanno cercato di organizzare una marcia non autorizzata nell’intento di raggiungere lo stadio. Ma la polizia è intervenuta immediatamente e ha fermato alcuni dimostranti, secondo quanto ha riferito radio Gerusalemme.
Lo svolgimento della manifestazione, per quanto in un clima di forte tensione, è frutto di un difficile compromesso raggiunto solo ieri sera quando gli organizzatori hanno accettato di trasformare la prevista marcia in un raduno in un luogo chiuso, lo stadio della Università Ebraica, lontano dal cuore ultraortodosso di Gerusalemme, il famoso quartiere di Mea Sharim.
Gli attivisti dell’associazione Open House hanno accettato di ripiegare su questa soluzione dopo che la polizia ha fatto sapere di non essere in grado, a causa dell’allerta attentati kamikaze - scattata su tutto il territorio nazionale dopo la strage di palestinesi mercoledì a Beit Hanun nella Striscia di Gaza - di fornire i 12.000 agenti che avrebbero dovuto proteggere il variopinto corteo dell’orgoglio omosessuale. In cambio i dirigenti della comunità ultraortodossa hanno promesso di rinunciare alle manifestazioni di protesta, di cui si temeva potessero degenerare in scontri violenti.
Per una settimana il quartiere di Mea Sharim è stato teatro di una vera e propria rivolta degli zeloti, che tutte le notti a centinaia hanno manifestato, bruciato cassonetti, lanciato pietre contro la polizia, per protestare contro la manifestazione gay da loro considerata una "profanazione" della città santa. Contro il gay pride era intervenuto in maniera durissima nei giorni scorsi anche il Vaticano. (10 novembre 2006)
Con Avigdor entra nel governo qualcosa di peggio del razzismo
Espulsione degli arabi, «modello Cipro», «strategia Cecenia»: ecco il vicepremier israeliano. Le idee che uccisero Rabin al governo coi suoi compagni di partito di Zvi Schuldiner (il manifesto, 09.11.2006)
Il vice primo ministro israeliano Avigdor Lieberman ha rilasciato dichiarazioni alla stampa inglese che dimostrano che la sua ideologia continua intatta e mentre lui attizza sempre di più il fuoco del razzismo in Israele, le forze armate continuano la loro violenta azione nella striscia di Gaza di cui l’ultima strage di civili palestinesi a Beit Hanoun non è che l’ultimo esempio. Il ministro della difesa Peretz fa la parte del moderato, però l’esercito israeliano va avanti con la sua sanguinosa mattanza nei territori occupati però il ministro Lieberman preferisce essere più preciso e invoca per Gaza i metodi dell’esercito russo in cecenia. E’ solo una questione semantica: l’esercito israeliano già li pratica senza dargli il colore russo.
Quando giovedì scorso i missili qassam dei palestinesi sono caduti molto vicino al nostro college, nel sud di Israele, e abbiamo sentito l’artiglieria israeliana, gli elicotteri, i caccia, e uno dei docenti è arrivato nel mio ufficio chiedendomi retoricamente come è mai possibile che i capi miliari e politici non capiscano che questo non funziona e che è necessario cercare un’altra strada. Nella vicina cittadina di Sderot è ormai comune che non pochi abitanti, quando sentono il rumore degli elicotteri israeliani dicono: «adesso arrivano i razzi qassam».
Però la violenza ha le sue leggi e il governo israeliano continua a rifiutare veri negoziati mentre infuria la repressione che nelle ultime settimane è costata la vita a un soldato israeliano e a più di 55 palestinesi (a cui vanno aggiunti i 19 di Beit Hanoun), senza contare i feriti. Tutti i palestinesi sono «terroristi» ma oggi si è saputo che, anche secondo le fonti ufficiali dell’esercito israeliano, il 25% dei morti non erano terroristi.
Dopo una settimana di operazioni l’esercito ha dichiarato che l’azione a Beit Hanoun è finita, ma i razzi qassam continuano a cadere su Sderot e le azioni militari per quanto ufficialmente non definite tali vanno avanti e mietono altre vittime.
Le condizioni nella striscia di Gaza sono insostenibili e tutto viene giustificato come una sacrosanta crociata contro il governo di Hamas, una crociata che apparentemente da i suoi frutti: in queste ultime ore arrivano echi dell’accordo a cui sarebbero arrivati il presidente Abu Mazen e il primo ministro Haniyeh per mettere in piedi un governo di unità nazionale che sarebbe retto da tecnici in apparenza neutrali. I guadagni politici di Israele e dell’«occidente democratico» nel rifiutare di accettare la decisione democraticamente espressa nelle elezioni palestinesi viene pagata dalla miseria e dalla fame di milioni di palestinesi che vivono un’occupazione sanguinaria come mai in passato.
Il rumore incessante dei cannoni è stato il sottofondo delle cerimonie per ricordare l’omicidio di Rabin. Il cicaleccio retorico degli attuali leader del partito laburista, il partito di Rabin, non può nascondere un fatto fondamentale e non poco paradossale: il partito forma ormai parte di una cinica coalizione composta da Olmert nella quale ha fatto il suo ingresso Avigdor Lieberman. La realpolitik del laburismo ha portato quel partito a sedersi vicino a uno dei principali esponenti del razzismo fondamentalista che è stato parte dell’ideologia che ha fatto uccidere Rabin.
Gli ottimisti pensavano che, con l’ingresso nella coalizione di governo, Lieberman avrebbe moderato la sua retorica e si sarebbe astenuto da dichiarazioni estremiste. Illusione senza fondamento: nelle sue dichiarazioni alla stampa britannica Lieberman ha invitato a usare il modello di Cipro - dimenticandosi di chi ha iniziato la guerra, del suo prezzo e dei suoi risultati - per arrivare a una separazione totale tra arabi ed ebrei, «unica ricetta per arrivare alla pace».
La demagogia di Lieberman è esplicita e potrebbe risultare attraente per molti, dentro e fuori Israele: propone di passare alla futura entità nazionale palestinese i territori popolati da arabi in Israele - fondamentalmente il cosiddetto «triangolo» in Galilea - in cambio dei territori popolati da israeliani in Cisgiordania.
Lieberman non si occupa esplicitamente di «piccoli» dettagli come le città israeliane con poplazioni miste, popolazioni beduine o arabe o druse che non fanno parte del territorio che è disposto a cedere «generosamente» allo stato palestinese. Né parla di cosa sarebbe necessario dare per garantire la presenza dei coloni israeliani in Cisgiordania. E’ ovvio che l’eventualità di un’espulsione di arabi israeliani è la parte centrale del suo piano razzista, che allo stesso tempe creerebbe una velata forma di occupazione di quei cantoni-bantustan che costituirebbero il futuro «stato palestienese» sotto controllo israeliano.
La cosa più preoccupante non è Lieberman in sé, ma il fatto che il governo israeliano non ritiene necessario dissociarsi pubblicamente ed energicamente dal razzismo di Lieberman. Durante la cerimonia in ricordo di Rabin, lo scrittore David Grosman l’ha detto chiaramente: Olmert e Peretz hanno nominato un piromane a capo dei pompieri. Liberman non è il primo razzista israeliano con radici ideologiche simili a quelle dei carnefici del popolo ebraico. Ma è il primo seduto su un’importante poltrona di governo e che peraltro gode di una grande popolarità in un’Israele stanco che non ha oggi la vitalità democratica necessaria per condannarlo fermamente.
ANNULLATA LA GAY PARADE IN ISRAELE, CI SARA’ UN RADUNO *
GERUSALEMME - La controversa gay parade in programma per domani a Gerusalemme e’ stata annullata e al suo posto ci sara’ invece un raduno nello stadio dell’ universita’ ebraica.
Secondo quanto ha riferito la radio statale questa soluzione di compromesso e’ emersa oggi a conclusione di un incontro tra alti ufficiali di polizia e gli organizzatori della manifestazione e dopo che i rappresentanti della comunita’ ebraica ultraortodossa cittadina hanno rinunciato alle dimostrazioni in programma per protestare contro la gay parade.
La polizia ha percio’ ridotto lo spiegamento di agenti senza precedenti per assicurare l’ ordine pubblico nella citta’. Il compromesso e’ stato apparentemente facilitato dallo stato di massima allerta esistente in tutto Israele per la possibilita’ di attentati suicidi palestinesi in reazione all’ uccisione di 18 palestinesi colpiti da fuoco d’artiglieria israeliano ieri a Beit Hanun, nella striscia di Gaza.
* ANSA: 2006-11-09 16:22
e l’odio contro i cattolici che cosa è?
I cattolici non odiano nessuno per essenza. Chi non li conosce dimentica forse Chi ha detto "amate i vostri nemici" e li ha perdonati nell’ora della sua morte in croce.
La Chiesa non odia l’omosessuale. Afferma che gli atti omosessuali sono disordinati, come sono disordinati altri atti eterosessuali al di fuori del matrimonio.
L’ostentazione gay è di pessimo gusto e auspico che i bambini siano adeguatamente protetti da ciò che farebbero fatica a capire, per non dire di peggio. Se non per noi adulti fatelo almeno per i più piccoli.
Non è questione di tolleranza o meno, non è un problema che esistano i gay o meno. I Gaypride sono delle pagliacciate di cattivo gusto che sviliscono gli omosessuali e inadatte per essere fatte pubblicamente, specie davanti agli occhi anche di bambini.
Luca
ISRAELE. LA CORTE SUPREMA RICONOSCE I MATRIMONI GAY CELEBRATI ALL’ESTERO
(ANSA - redazione, 22.11.2006)
L’appello era stato presentato da cinque coppie di omosessuali sposatesi anni fa in Canada. Gerusalemme - Una settimana dopo la Gay Parade a Gerusalemme, la comunità omosessuale in Israele ha registrato oggi un altro successo quando la Corte Suprema ha accolto (con sei pareri a favore e uno contrario) la richiesta che siano registrati dal ministero degli interni israeliano i matrimoni di omosessuali e lesbiche celebrati all’estero.
L’appello era stato presentato da cinque coppie di omosessuali sposatesi anni fa in Canada.
I giudici hanno precisato che la loro decisione ha solo un carattere tecnico "e non rappresenta alcun riconoscimento della cellula familiare unisex".
Fra i firmatari di questa decisione figura il presidente della Corte Suprema Aharon Barak, che ha terminato il suo incarico il mese scorso.
I movimenti laici e di sinistra hanno definito "storica" la sentenza della Corte Suprema mentre gli ambienti rabbinici hanno reagito con collera affermando che essa "sarebbe degna di Sodoma e Gomorra", due città vicine al mar Morto che secondo il racconto biblico furono distrutte per la estrema perdizione dei loro abitanti.
Sul piano pratico, tuttavia, la legge in Israele non è stata cambiata e ancora gli omosessuali che desiderino sposarsi dovranno necessariamente celebrare il matrimonio all’estero.